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La F.1 come biglietto da visita per una Nazione. Non è la prima volta e l’Azerbaijan non fa eccezione. Così come Bahrain una ventina di anni fa, quando ci fu la prima edizione del GP sulle strade di Baku, la F.1 fu l’occasione per scoprire un paese cuscinetto in una delle zone più calde del medio oriente.
Il problema principale sono i voli. Diretti ce ne sono pochi e con cadenze non utili alla F.1, quindi si opta per Lufthansa via Francoforte o Monaco oppure Turkish via Istanbul, ma con orari e scali davvero scomodi. Di solito si arriva la sera tardi e si riparte nel cuore della notte, per cui dopo il GP la sala partenze dell’aeroporto è intasata da paura con gente che dorme per terra, visto che si parte fra le 4 e mezza e le 6 del mattino quando va bene. Stretta fra Russia, Armenia e Iran, il mar Caspio, un enorme lago salato grande il doppio del mare Adriatico, a fare da cuscinetto con le estreme regioni dall’altro lato della sponda. E in mezzo navi da guerra, incrociatori, e qualche postazione militare sul bellissimo lungo mare (o lago, fate voi) di Baku, la città del vento. Il tracciato percorre tutta la parte più turistica di Baku, infatti i paddock circondando il palazzo del parlamento, che sorge proprio in mezzo e attorno al quale gira la pista per un bel tratto, così anche per il lungo rettilineo, oltre 2 km, parallelo al lungo mare (o lago) dove fa da cuscinetto una serie di parchi, viali alberati con giostre, esposizioni varie, bancarelle e strutture per famiglie con vista mare (o lago).
E poi la città vecchia, dichiarata patrimonio dell’Unesco, attorno alla quale gira la pista in un girotondo dove il saliscendi è comprensibile solo passeggiando, perché le riprese TV non danno l’idea del dislivello. Baku è una città gradevole, coi ritmi lenti, ma con tanti soldi. L’esportazione di gas e petrolio sono alla base della ricchezza del paese per i ceti medio superiori, le supercar si sprecano e la voglia di divertimento è altissima, siamo in un mix fra i russi straricchi e la discrezione araba della non opulenza visibile. Per cui era facile finire in un ristorante che all’esterno era senza pretese, e poi vedere all’interno ragazze stupende, macchine sportive ultimo modello e ricchissimi giovanotti con orologi da migliaia di euro al polso e poi mangiare pollo, patate (piatto tipico alla russa) e bere spendendo al massimo 10 euro. Un contrasto forte che nella città vecchia, raggiungibile a piedi durante il week end di gara perché le strade sono tutte chiuse, e mangiare in un ristorante tipico a meno di 5 euro. Questo agli inizi, poi il turismo ha cominciato a inserire Baku come nuova meta e qui le cose sono cambiate un po’ come sempre accade con la F.1. Gli hotel che costavano pochissimo, adesso viaggiano a prezzi europei nel week end di gara. Una caratteristica del tracciato è che sorge in mezzo a enormi palazzi, con facciate tipicamente di regime. Poi, una volta che provi a entrare, vedi che gli interni sono disabitati, che il retro è fatiscente così come le strutture interne.
In una delle prime edizioni, un gruppo di fotografi italiani era salito su all’ultimo piano perché la vista del circuito era perfetta per le foto dall’alto. La maggior parte delle stanze era chiusa, tranne una. Entrarono decisi, c’era silenzio, attraversarono il salone per andare verso il balcone e, sorpresa, trovarono una famiglia a pranzo che li guardarono stupiti ma non spaventati. Tanto che furono ospitati a pranzo e riveriti come ospiti di prestigio. Un’altra volta, sulla terrazza di uno dei due hotel che si trovano all’estremità degli ingressi paddock (in uno, Hilton, c’è la sala stampa al primo piano), ci fu un ricevimento per i media internazionali. Servizio talmente di lusso da far stare male qualcuno, che ne approfittò specialmente per gli alcolici. La sorpresa fu poi quando tornando verso il paddock e commentando in italiano la serata, facendo degli apprezzamenti per le numerose ragazze presenti, uno dei guarda spalle in vestito nero e auricolare, ci rispose in perfetto italiano: “Eh beh, le nostre donne sono eleganti perché comprano moda italiana e per il cibo ci siamo ispirati a voi”. Alla fine si scoprì che eravamo sorvegliati da agenti che avevano studiato in Italia e ci capivano perfettamente. Da quel momento silenzio e nessun apprezzamento pubblico, anzi una certa dose di sospetto e attenzione.
In pista, invece, ci pensò il collega Pino Allievi a dare spettacolo. Quando sullo schieramento si presentò il presidente Ilham Aliyev con la moglie Mehriban Arif, appena nominata vicepresidente del paese (una questione di famiglia, visto le altre cariche…) il nostro collega si avvicinò con fare amichevole al presidente, gli diede una pacca sulla spalla e gli disse in un inglese misto italiano con accento…da film alla Peter Sellers: “Carissimo, come stai? Siamo parenti lo sai?” e gli mostrò il pass con la scritta Allievi: “Io Allievi, tu Aliyev, sei del ramo locale della famiglia, dimmi come si vive qui, cosa possiamo fare di bello insieme?” e il presidente stupito strinse la mano, presentò la moglie e rimase inebetito davanti al nostro eroe che osservavamo con serietà e ossequianza, ma ridevamo sotto ai baffi come matti: “Occhio che qui ci fanno sparire da qualche parte e non trovano tracce” dicemmo al collega. “Ma chi se ne frega, vuoi mettere che bel posto? Poi possiamo sempre dire che siamo parenti, mica di fanno niente” e in effetti fu così, perché la scorta armata (agenti grossi come armadi alti almeno due metri) ci guardavano con rispetto. Si sa, in certe parti essere di famiglia fa sempre bene…
Lo scoprì anche una società che ebbe un problema coi controlli. Le casse di acqua minerale, comprate in un rivenditore in centro (quando appena fuori dalla recinzione c’era un supermercato dove però, stranamente, non era possibile fare acquisti…) furono bloccate davanti all’ingresso del paddock e il trasporto fu fatto a mano dai meccanici dei vari team. Lo stesso per le derrate alimentari, fino a quando si scoprì che bisognava… convincere qualcuno lasciando il classico obolo. Per aggirare il problema un team, invece, che evidentemente aveva informazioni ben precise, fece arrivare da Mosca (2293 km, tanto per capirci) un Tir carico di alimenti, acqua, caffè e pasta. Lo chef era stato mandato a Mosca dall’Italia con un volo di linea e da lì, fatti gli acquisti, fu spedito a Baku dove attese l’arrivo del Tir. Inutile dire che molta roba dopo fu buttata, perché non poteva rientrare da nessuna parte, visti i carnet di viaggio e le regole di import export. Festeggiarono gli addetti alle pulizie del giorno dopo, quando recuperarono tutto il ben di Dio lasciato lì. Compreso un paio di prosciutti di Parma non ancora tagliati e buttati lì… Altri tempi, altri sprechi…