F1, Alberto Ascari: 65 anni fa moriva l'ultimo campione del mondo italiano

F1, Alberto Ascari: 65 anni fa moriva l'ultimo campione del mondo italiano
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Il 26 maggio del 1955 moriva Alberto Ascari, l'ultimo italiano a vincere il mondiale di Formula 1
26 maggio 2020

Di lui resta una curva dedicata all'autodromo di Monza e un lontano ricordo come dell'ultimo italiano campione del mondo di F.1. Di Alberto Ascari fra leggenda e superstizione, i libri ne hanno raccontate a bizzeffe. Di sicuro le analogie col padre Antonio sono impressionanti: entrambi piloti, entrambi morti durante una corsa o un collaudo. Entrambi alla stessa età, mancavano due mesi ai 37 anni. Entrambi morti di 26: luglio il padre, maggio il figlio. A due mesi dal loro compleanno: il 15 settembre per il padre, il 13 luglio per il figlio. E poi quel tragico volo in mare a Montecarlo, pochi giorni prima. Conclusosi senza danni ma con tanta paura.

E quel test improvvisato a Monza, qualche giorno dopo il volo senza danni alla chicane del porto. Villoresi e Castellotti stavano provando una Ferrari 750 per il GP Supercortemaggiore. Lui, sempre superstizioso e che non sarebbe mai salito su una vettura da corsa senza i suoi oggetti, a partire dal casco, chiede di fare tre giri per sgranchirsi, tanto per riprendere certi meccanismi che 4 giorni prima durante il GP di Montecarlo, stavano per costargli la vita. Su una macchia d'olio lasciata dal motore rotto di Moss, Ascari aveva sbandato, rotto la protezione di paglia e volato in acqua. Lo tirarono fuori con la rottura del setto nasale, ma senza danni. E a Monza, dopo la telefonata degli amici Villoresi e Castellotti, voleva respirare un po' di quell'aria che da bambino, col padre Antonio, era entrato nei suoi polmoni dandogli un senso alla vita da seguire.

"Ragazzi, faccio tre giri, tanto per sgranchirmi, vi raggiungo al ristorante" disse. Prese il casco di Eugenio, lo indossò, partì, Primo giro, secondo giro, terzo giro: la tragedia. Qualcuno disse che uno spettatore aveva attraversato la pista, ma Tino Brambilla, all'epoca spettatore, disse che la Ferrari sbandò, si capovolse e schiacciò Alberto Ascari, che morì sul colpo anche se lo trasportarono all'ospedale San Gerardo di Monza, poco distante dall'autodromo. In quella stessa curva, l'anno prima, era uscito di pista con la sua Lancia D50. A quel tempo Alberto Ascari aveva già vinto due mondiali di F.1, aveva segnato sette giri più veloci consecutivi, si divideva fra monoposto e vetture sport, andando sempre al massimo. La sua scomparsa colpì moltissimo l'ambiente e la Lancia smise con le competizioni nella massima formula.

A Milano, in corso Sempione 60, c'è una targa ricordo a lui dedicata nella palazzina dove abitava. E a Monza una curva fra le più tecniche del mondiale. E dopo 65 anni, l'Italia aspetta ancora un campione del mondo che possa interrompere quel lungo digiuno iridato

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Quel 1955 segnò un anno tristissimo per l'automobilismo italiano e mondiale. La baby formazione della Ferrari fu decimata in poco tempo, a Le Mans si consumò la tragedia Levegh, la Mille Miglia vide la tragedia De Portago. Enzo Ferrari veniva dipinto come un Saturno che mangia i suoi figli. In quel giorno di fine maggio, in un parco di Monza silenzioso, rotto solo dal rombo di quella Ferrari sport, si concludeva la vita e la storia di Alberto Ascari, pilota come il padre, due volte campione del mondo di F.1, uno che non sarebbe mai salito su una vettura da corsa il giorno 26, col casco di un altro pilota, pochi giorni dopo l'avviso di Montecarlo. Eppure il destino si è compiuto lo stesso. A Milano, in corso Sempione 60, c'è una targa ricordo a lui dedicata nella palazzina dove abitava. E a Monza una curva fra le più tecniche del mondiale. E dopo 65 anni, l'Italia aspetta ancora un campione del mondo che possa interrompere quel lungo digiuno iridato.

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