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Per chi frequentava l'ambiente della F.1 le condizioni di salute di Dietrich Mateschitz, il signor Red Bull, erano note. A 78 anni si è spento il padre della nota azienda di bevande energetiche e al quale il mondo della F.1 deve molto in fatto di investimenti, passione e, non ultimo, la nascita di due team di F.1 come appunto Red Bull e Toro Rosso, ora Alpha Tauri, poi. Era malato da qualche anno ma aveva sempre combattuto con grinta e determinazione la sua battaglia, tanto che solo quest'anno non si era presentato al "suo" GP, su quel Red Bull Ring ex circuito di Zeltweg, che aveva rilanciato non solo con una struttura di primo piano ma anche con una serie di servizi connessi, da hotel a ristoranti a locali nella zona. La sue condizioni erano già critiche e note nel circus, ma non si poteva ovviamente darne notizia pubblica, ma questo spiega il retroscena del mancato accordo con Porsche, siglato tempo fa e non concretizzato.
Infatti, dopo la scomparsa del socio di Mateschitz avvenuta nel 2019, la società aveva assunto un nuovo assetto: il 51 per cento in Thailandia, nelle mani dell'erede del socio e il 49 in Austria. Mr Red Bull aveva una passione smisurata per tutto quello che aveva le ali. A Salisburgo aveva fondato Hangar 7, dove cucina, arte e aviazione andavano a braccetto. La sua passione per il volo gli aveva fatto comprare anche aerei d'epoca e finanziare l'impresa di Felix Baumgartner che si era lanciato dallo spazio in caduta libera con una operazione costata parecchio e con un ritorno di immagine unico. La passione per i motori nasce da lontano: Gerhard Berger lo ricordava così: "Mi avvicina agli inizi della mia carriera, mi dice sono un tuo grande fan ma non ho un solo. Bene, siamo in due gli rispondo. E lui di rimando se posso cercherò di darti una mano".
Cosa puntualmente avvenuta: "Sì, era diventato ricco con la sua bevanda energetica e mi disse: vale ancora il nostro accordo?" e così è diventato un mio sponsor. Per capire l'entità del fenomeno Red Bull basti dire che nel 2020 ne hanno vendute 7,9 miliardi di lattine, il 5,2 per cento in più dell'anno prima, 12 mila dipendenti, fatturato di oltre 6 miliardi di euro. Dopo gli aerei e le ali, la F.1, le corse, il circuito di Zeltweg ribattezzato Red Bull Ring, con la sua casa, un castello su una collina che domina il tracciato, alternandolo al sottomarino che usava alle isole Fiji. Ma anche il calcio fra le sue passioni e investimenti, ma anche hockey su ghiaccio, skateboard. Fu lui ad assumere Trapattoni al Salisburgo. E pensare che la sua storia era fatta di precariato, di un impiego come guida turistica in estate e maestro di sci in inverno, poi come rappresentante a vendere dentifrici, creme e shampoo per una azienda di cosmetici.
Poi l'idea della bibita energetica, i dubbi del mercato, poi fenomeno di moda. Basti dire che un anno, negli USA, vendette oltre 1 miliardo di lattine con un margine utile di 20 centesimi a lattina. Da qui la grande disponibilità di soldi e la voglia di investire in tutto quello che fosse estremo. "Il bibitaro" lo chiamavano con un misto di disprezzo e rispetto in F.1. In fondo con Red Bull ha vinto molto: gli 8 titoli piloti e costruttori con Vettel, poi i mondiali con Verstappen. Ha trasformato una squadra scalcinata come la Jaguar di F.1 nella armata vincente Red Bull, ha salvato la Minardi e il suo destino trasformandola in Toro Rosso e vincendo pure a Monza. Ha creato un impero in cui TV e stampa sono stati creati a sua immagine e somiglianza. Oggi di tutto questo resta solo il ricordo di uno squattrinato che sognava di fare qualcosa di buono da grande. C'è riuscito.