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C’è stato un momento in cui l’Italia della F.1 stava sognando. Era il 1985, verso giugno, Michele Alboreto con la Ferrari vinceva il GP del Canada con la sua rossa numero 27 e con Elio De Angelis su Lotus comandavano la classifica iridata. Due italiani in testa al mondiale F.1, un sogno. Uno sulla Ferrari, l’altro sulla Lotus, ovvero i due team più blasonati in assoluto. Un mezzo miracolo che non si concretizzò. A fine anno Alboreto lasciò il titolo a Prost con la McLaren, De Angelis lasciò la Lotus perché la presenza di Senna era diventata ingombrante. E forse proprio il supporto del team al brasiliano impedì ad Elio di giocarsela per il mondiale. Passano pochi mesi, una decina, lo scenario cambia completamente. Alboreto in crisi con una Ferrari fragile, De Angelis in crisi con una Brabham sogliola inguidabile e fragile.
Si arriva a Montecarlo, le Brabham si ritirano. Il team decide di andare al Paul Ricard, pochi chilometri oltre, per collaudare qualcosa di nuovo e porre rimedio a una stagione deludente. Patrese è il pilota incaricato dei test, De Angelis chiede se può farli lui per prendere meglio in mano i sistemi di lavoro della squadra. Riccardo acconsente. Elio parte e durante il test si stacca l’ala posteriore, la Brabham decolla e atterra dopo vari ribaltamenti contro uno dei guard rail bassi che si usavano all’epoca. Prost si getta fra le fiamme, cerca di estrarlo dalle lamiere, Mansell e Piquet soccorrono, ma c’è poco da fare.
Meno di 24 ore dopo finisce la storia di Elio De Angelis. Sono passati 32 anni e di questo pilota gentiluomo se ne ricordano in pochi, un peccato perché il suo spessore morale e umano era forse superiore alle doti, enormi, di pilota. Di De Angelis cominciai a sentirne parlare, male, ai tempi della F.3. In quel periodo, fine anni 70, lui e Beppe Gabbiani erano considerati i privilegiati della categoria. Infatti, erano gli unici che per disputare il campionato italiano si presentavano con una Chevron e una Ralt, una passo corto l’altra passo lungo, a seconda del circuito. Uno sproposito visto che gli altri, Ghinzani col quale si divideva l’amicizia o il semisconosciuto ma gran piedone Orazio Ragaiolo, per mettere insieme una macchina (la March) si doveva lavorare di notte, saldare e recuperare pezzi qua e là. Maniche tirate su, sporchi di grasso, poi tuta e casco zozzi e giù in pista. Invece “quello là” arrivava fresco come una rosa, tutto pulitino, due telai a disposizione, una squadra di meccanici. Uno schiaffo alla povertà dell’ambiente.
Il primo approccio della categoria fu questo. Tanto era pulito, educato e per bene Elio, tanto rudi, sporchi e cattivi gli altri. Poi la legge della pista cambia le cose. Puoi essere pulitino quanto vuoi, ma se non hai il piedi non ti considera nessuno, e De Angelis, figlio del campione del mondo di motonautica Giulio De Angelis, era uno che il piede e il talento l’aveva. In pista si era guadagnato il rispetto di tutti, da Ghinzani, che divenne suo amico, a Piquet, diverso anni luce dal romano. Quando De Angelis arrivò in F.1 con una Shadow poco competitiva e un solo sponsor, Guida Monaci, si pensò subito ai suoi soldi. Poi Elio conquistò tutti. Alla Lotus se la giocava alla pari (e forse no, nel senso che il team non lo favoriva) con Senna, divise la sorte con Mansell, se la batteva con Alboreto, Prost, Piquet e tutto il resto della pattuglia fatta da grandi nomi, grandi piloti, gente tosta.
Sono passati 30 anni e di questo pilota gentiluomo se ne ricordano in pochi, un peccato perché il suo spessore morale e umano era forse superiore alle doti, enormi, di pilota
Mentre in F.3 usava l’aereo privato con cui portava a spasso Ghinzani e Piquet, in F.1 spesso viaggiava pure in classe economica. Non se la tirava. E quando in Sudafrica, durante l’unico sciopero dei piloti che protestavano contro la superlicenza imposta da Balestre, presidente della federazione, De Angelis si mise al piano e cominciò a suonare tenendo allegra la compagnia. Un signore dal gran piede, nulla da dire. Difficile da approcciare e fare breccia con lui se non eri del giro giusto, uno dei pochi di cui fidarsi. Forse non tutti sanno che un altro pilota gli ha reso omaggio in pista. Jean Alesi, infatti, era un grande tifoso di Elio, il casco di Jean è un omaggio a quello del romano, con lo stesso disegno laterale ma con l’aggiunta della calotta blu. Ecco, quando oggi si vede Alesi in azione sulla Ferrari, una parte di Elio (che si salì per un test) era con lui. Sono passati 32 anni, i ricordi di due vittorie (quella in Austria 1982 incredibile) e il sorriso di un ragazzo per bene.