Come si fa a immaginare una Formula 1 senza Kimi Raikkonen?

Come si fa a immaginare una Formula 1 senza Kimi Raikkonen?
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Kimi Raikkonen ha annunciato il suo ritiro. Ma come si fa a immaginare la Formula 1 senza l'unica sua vera rockstar?
2 settembre 2021

Sepang, 2009. Tempo da lupi. Abbastanza pioggia da costringere la direzione gara a interrompere la corsa dopo 33 giri e condannare i piloti di Formula 1 a una lunga attesa sulla propria vettura, sperando in una clemenza da parte del meteo. Tutti, tranne uno. Kimi Raikkonen, ad un certo punto, era sceso dalla monoposto, si era tolto la tuta e, una volta in borghese, era andato a mangiarsi un gelato nel motorhome della Ferrari. Non gli importava quello che sarebbe stato deciso. Per lui quella gara era già conclusa. Aveva ragione, peraltro: sarebbe finita così. 

12 anni dopo, ancora una volta, Kimi ha scelto di dire basta, con i suoi tempi e i suoi modi, annunciando il ritiro dalla Formula 1 al termine della stagione 2021, la diciannovesima in una carriera dalla durata ventennale. Raikkonen ha sempre saputo cosa fare, e in che modo farlo, come ci tenne a ribadire in un team radio destinato ad entrare nella storia dello sport di cui ha amato l’essenza, ma certamente non il contorno. Kimi ha vissuto la F1 a modo suo, diventando un personaggio senza volerlo essere.

Kimi che a Montecarlo si ritira e va a consolarsi su uno yacht senza passare dal via, Kimi ubriaco per settimane consecutive prima di un GP, Kimi che saluta Nicole Kidman con lo stesso interesse che avrebbe riservato a un fermacarte, Kimi sbronzo alla cerimonia di premiazione della FIA: sono solo alcuni degli episodi che lo hanno reso un idolo delle folle. E che sottolineano quanto, del patinatissimo mondo della F1, a Raikkonen sia sempre interessata solo una cosa: correre. Tutto il resto – le domande stupide dei giornalisti, le scenette promozionali – è sempre stato esclusivamente fonte di fastidio.

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Ed è proprio così che è nato il mito di Raikkonen. Il suo essere laconico oltre ogni immaginazione, la sua insofferenza verso certi meccanismi, lo hanno reso una presenza rassicurante, anche se non ha mai desiderato esserlo. Kimi è l’unica vera rockstar di una F1 asettica, sempre più impersonale, in cui prevalgono dichiarazioni vuote, senza mordente. Non gliene frega niente, di piacere alla gente. E per questo ha fatto impazzire tutti.

Lo abbiamo visto crescere, farsi una meravigliosa famiglia con cui ora potrà finalmente passare tutto il tempo che vorrà, senza i vincoli che hanno caratterizzato la sua esistenza per due decenni, ma Kimi è sempre rimasto coerente con sé stesso. Parlare solo della sua personalità, però, vorrebbe dire fargli un torto. Perché Kimi è stato, ed è ancora, un campione. L’ultimo in grado di portare la Ferrari all’iride, grazie a quella velocità che, in un test al Mugello nel 2000, aveva attirato l’attenzione dell’uomo cui sarebbe succeduto nell’albo d’oro della Rossa, Michael Schumacher. 

«Prendetelo, sarà veloce», aveva detto il Kaiser all’ingegnere di pista della Sauber da cui era andato a chiedere informazioni sul ragazzino dagli occhi di ghiaccio che era sceso in pista sotto pseudonimo, Eskimo. L’anonimato era destinato a durare ben poco. Perché Raikkonen, pur con tutta la timidezza del mondo, aveva già lasciato il segno al volante, e avrebbe continuato a farlo per anni. Tanto da rendere impossibile pensare a una Formula 1 senza di lui. Perché Kimi-Matias Raikkonen, da Espoo, Finlandia, è unico nel suo genere. Irripetibile.

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