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Forse è vero che era sfigato, nel senso che la sfortuna si accaniva contro di lui. Ma come diceva Enzo Ferrari la fortuna e la sfortuna non esistono, dovendo scegliere un pilota meglio puntare su uno meno bravo ma fortunato. E Chris Amon era bravissimo, al punto che oggi, dopo la sua morte, lo ricordano tutti come un talento che ha ottenuto molto meno rispetto a quanto meritato. Colpa degli episodi unici e incredibili che in F.1 gli hanno precluso la vittoria in un Gran Premio, ma se poi guardi l’epoca in cui ha corso, a cavallo fra gli anni 60 e 70, quando morivano quattro o cinque piloti all’anno, dire che Chris Amon è stato sfortunato è sbagliato.
Lui è morto in un letto di ospedale, con una malattia che non lascia scampo, come accade a miliardi di esseri umani. Non è morto in pista come successo a tanti suoi colleghi, era un sopravvissuto, come ama dire Lauda ricordando quell’epoca. Amon era amato dalla Ferrari, da Mauro Forghieri in particolare che per il neozelandese aveva un debole, perché oltre che veloce era anche un ottimo collaudatore, uno che parlava di tecnica e sapeva di auto, motori e meccanica. Una persona per bene, apprezzato da tutti anche se quel non vincere mai in F.1 se lo è portato dietro come un macigno sulla propria reputazione.
La leggenda narra di Andretti che disse: “Se apre una impresa funebre la gente smette di morire”.
A Monza, 1971, con la Matra partì in pole, era il più veloce, invece finì fuori con una vittoria assegnata in volata a Peter Getin che per molti anni non capì mai come fece a vincere in un gruppo di cinque monoposto in meno di mezzo secondo. Una volta si rompeva il bullone dell’alternatore, un’altra la visiera del casco che vola via e lo lascia sanguinante al volante, un’altra ancora un bullone non stretto su una gomma e via di questo passo, tanto che la leggenda narra di Andretti che disse: “Se apre una impresa funebre la gente smette di morire”.
La frase la riportano tutti, che fu detta davvero non si sa, meglio non metterci la mano sul fuoco, di leggende metropolitane spacciate per verità assolute ne è pieno il mondo delle corse. Amon diede il meglio coi prototipi, vincendo gare di spicco, Le Mans, Daytona o le corse della Tasman Cup, dove vinse anche al volante di una Ferrari. Con la rossa ebbe tre anni terribili, fatti di ritiri a ripetizione con un solo podio, le polemiche per l’arrivo di Jacky Ickx e il ruolo di prima guida.
Dopo di che fino al 1976 ci fu un lento trascinarsi con team di secondo piano fino al ritiro dalle corse. Fu però anche merito suo se cominciò la leggenda di Gilles Villeneuve, perché Amon correva con la Wolf del magnate canadese Walter Wolf con cui Gilles disputava la serie americana coi prototipi. Quando chiesero informazioni a Chris Amon su questo ragazzotto canadese, Amon non ebbe dubbi e disse che era quello giusto per la Ferrari. E poi, sul finire degli anni 90 e inizio 2000, qualche apparizione a Melbourne al GP di F.1 dove si presentava come consulente della Toyota.
L’ambiente gli piaceva, ma vedeva troppe incongruenze, le stesse che dieci anni dopo affliggono la F.1 attuale, gran conoscitore di piloti (stimava Alonso e Hamilton) e di macchine, ha chiuso la sua strada morendo in un letto invece che in pista. E qualcuno lo considera ancora l’emblema della sfortuna in F.1…