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Sfrontato, ribelle e fierissimo sin dal suo debutto precocissimo in Formula 1, Max Verstappen sembra fatto per essere l’antagonista per l’eccellenza. Ma derubricare l’uomo che sta definendo questa era della massima serie del motorsport al semplice cattivo della storia rende piatto un personaggio tridimensionale. Che, pur essendo una figura polarizzante mal digerita anche da tanti appassionati, dietro l’amaro candore con cui si esprime e la sua efferatezza in pista nasconde un animo sorprendentemente riflessivo.
Lo abbiamo capito quando in un incontro riservato alla stampa italiana a Monza ha raccontato come vede il suo futuro. “Potrei restare in F1 fino a 40, 42 anni – ha spiegato, con la mente che correva agli esempi di Fernando Alonso e Lewis Hamilton -. Ma passerei metà della mia esistenza a correre e non a vivere. Vorrei scoprire il mondo, fare altre cose, perché la vita non è solo F1. Rappresenta una parte fondamentale, ma ad un certo punto ne avrò abbastanza. E non dipende da quanto vinco o quanto guadagno”.
Di successi, Verstappen in Formula 1 negli ultimi anni ne ha colti a ripetizione, con quattro titoli consecutivi con la Red Bull. E nel tempo è stato capace di smussare gli spigoli di un talento spettacolare sin da quando era ancora grezzo. Che Max fosse speciale – anzi, un talento generazionale - lo si capiva benissimo anche quando, ancora acerbo, mosse i suoi primi passi in F1. Merito di un aggressivo stile di guida che lo vede esaltarsi al volante di una monoposto con l’anteriore preciso, quasi tagliente, mentre gode del brivido di controllare il posteriore all’ultimo, pennellando delle traiettorie difficilmente replicabili da chi guida la sua stessa macchina.
Verstappen è diventato negli anni l’ingranaggio chiave del meccanismo della Red Bull, ed è rimasto tale anche quando quest’ultimo ha cominciato a dare i primi segni di cedimento. Max è stato in grado di esaltarsi talmente tanto con una vettura difficile da aver costituito uno specchietto per le allodole per la Red Bull, che avrebbe invece dovuto prendere sul serio l’allarme lanciato lo scorso anno da Sergio Perez, Cassandra inascoltata. A Verstappen interessa vincere il più possibile, il resto è secondario. Ma è indubbio che il meglio di sé l’abbia dato quest’anno.
Dilaniata da lotte di potere interne emerse in superficie in maniera grottesca a inizio anno dopo aver sobbollito per diverso tempo nascoste in un mare di successi, la Red Bull ha vissuto una stagione complessa. Le straripanti vittorie della prima parte della stagione si sono rivelati una crudele illusione, e Verstappen dall’estate in avanti si è ritrovato per le mani la terza vettura più prestazionale del lotto. E in certi frangenti, in cui si è trovato con l’acqua alla gola, Verstappen ha dimostrato di essere sempre lo stesso.
Che Verstappen spesso in pista si comporti come se corresse da solo è un dato di fatto. Messosi nell’ottica di idee che l’unica priorità fosse quella di tenersi alle spalle Lando Norris a tutti i costi, Max ha ripetutamente sfruttato le zone grigie del regolamento sportivo, puntiglioso e paradossalmente allo stesso tempo confusionario, così come i tecnici della sua Red Bull cercano di capitalizzare il non detto delle normative tecniche. È una tattica che può non piacere, ma che sicuramente denota l’intelligenza di Verstappen, oltre alla sua sfrontatezza. E nel momento in cui a Max sono state comminate pesanti penalità che dovevano servirgli da lezione, lui ha capito l’antifona, rimodellando il suo comportamento in pista ai nuovi confini che gli erano stati imposti.
Strozzati come sono stati i suoi spunti con una RB20 capricciosa, Verstappen in certe circostanze è sembrato un leone in gabbia. Ma ha saputo anche accontentarsi di restare davanti al suo rivale per il titolo, senza strafare. Bastava guardare la sua espressione sconsolata mentre scuoteva il capo davanti al monitor dei tempi dopo le qualifiche a Las Vegas per capire che per uno come Max un quinto posto non è mai abbastanza, anche se la ragione suggerisce che non sia così. Verstappen, però, ha dimostrato di saper trasformare in forze anche le debolezze della sua auto, cercando di compensarle.
Verstappen ha un senso per le corse che solo un uomo programmato per sbancarle potrebbe avere. E Max nella sua vita non ha conosciuto altro che questo, per volere di un padre che così ha vissuto per interposta persona i successi che non ha mai colto in una carriera modesta. C’è vita oltre la F1, però. E Max vuole scoprirla, prima e non poi. Si dirà che tanti piloti da giovani pensavano di mollare il colpo presto, e si sono ricreduti. Ma nei piani per il futuro di Max c’è la stessa fierezza con cui vive la sua carriera. È pronto a prendere la sua esistenza a morsi così come sta facendo con i chilometri percorsi in pista, magari affrancandosi da quel ruolo da antagonista che, a ben vedere, gli sta stretto già oggi. Perché questa è la F1 di Max. Che vi piaccia o meno.