Bertrand Gachot, quel processo che spianò la strada a Schumacher

Bertrand Gachot, quel processo che spianò la strada a Schumacher
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Intervista con il pilota protagonista nel 1990 di una sfortunata vicenda che lo portò in carcere per una lite, spianando la strada della Formula 1 a Michael Schumacher. Ecco chi è oggi Bertrand Gachot | <i>P. Ciccarone</i>
19 giugno 2015

Il fisico non è più quello magro di una volta, di quando Bertrand Gachot correva in F.1, ma l’espressione e il viso sono rimasti quasi inalterati dal passare del tempo anche se oggi ha 53 anni. Madre tedesca, padre francese, nato in Lussemburgo, pilota belga e ora cittadino americano. Un bel miscuglio di esperienze e culture, nulla da dire. 


Il suo nome è associato al debutto in F.1 di Michael Schumacher, cosa che avvenne nel GP del Belgio del 1991 a causa di una storia turbolenta e che oggi Gachot ricorda con amarezza. Facciamo un passo indietro. 

Galeotto fu quell'incidente...

Era l’inverno del 1990 e Gachot era a Londra con la sua auto quando ebbe un incidente con un taxi. Nacque un diverbio con l’autista e Bertrand, per difendersi da quella che pensava fosse una aggressione, usò una bomboletta spray urticante comprata in Germania, e lì perfettamente legale, solo che in Gran Bretagna era considerata un’arma a tutti gli effetti vietata per legge. 

Bertrand Gachot 1991 USA
GP degli USA 1991, primo Gran Premio della stagione: Gachot porta al debutto la Jordan

 

Ci fu un processo, una condanna esemplare da parte di un giudice, soprattutto perché Gachot di mestiere faceva il pilota di F.1 e bisognava dare un esempio forte. E poi parlano dei giudici protagonisti in Italia… 

Il debutto inaspettato di Schumacher

E si arriva così, nove mesi dopo, alla settimana del GP del Belgio a Spa. Il giudice spicca un mandato di cattura e appena Gachot, che correva per la Jordan, sede a Silverstone, mette piede sul suolo britannico, scatta l’arresto e la detenzione. Eddie Jordan si ritrova alla vigilia del GP con una macchina libera da affiancare all’altro pilota, Andrea De Cesaris, e la Mercedes, che ha un budget di 500 mila dollari a gara, spinge per far debuttare Michael Schumacher. In poche ore si raggiunse l’accordo e quando si venne a sapere che fine avesse fatto Gachot, scattò la solidarietà del mondo della F.1 con una maglietta bianca e la scritta «Gachot, why?», cioè «Perché arrestarlo?». 


Anche se qualche inglese, ligio alle leggi di sua Maestà britannica, si distinse aggiungendo un “not”, cioè «Gachot, why not?». Perché no? Oggi, a distanza di tempo, mentre è sul van navetta che porta dal circuito di Notre Dame a Montreal al centro della città, Gachot rivive quei momenti difficili… 

Ci ho messo due anni, fra mesi di arresto, intervento della comunità europea e pressioni internazionali per tornare libero, ma ormai la mia carriera era finita, distrutta

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«E’ stata una condanna esemplare, fatta solo per colpire e punire il pilota, in spregio alle norme elementari del diritto. Ci ho messo due anni, fra mesi di arresto, intervento della comunità europea e pressioni internazionali per tornare libero, ma ormai la mia carriera era finita, distrutta e tutto per un giudice inflessibile uno che sembrava quasi godere delle sofferenze inflitte a una persona che fino a quel momento era stata ligia e rispettosa delle norme, era solo un litigio stradale, per giunta senza conseguenze fisiche per nessuno». 

Bertrand Gachot Hype Energy Drinks
Gachot con Kim Kardashian e Sergio Perez ad un evento della Hype, l'azienda di energy drink che adesso l'ex pilota guida

 

Hai mai incontrato il tassista?

«No, mai, anzi non si è nemmeno presentato al processo, per lui il problema era superato, non voleva tanto clamore».

 

E del giudice?
«Non so più nulla, non so nemmeno se è vivo o se è morto, so solo che mi ha distrutto la vita mettendomi in galera come se fossi un delinquente, a contatto con altri delinquenti, a patire per una litigata banale».

 

Senza arresto Schumacher non avrebbe mai corso in F.1 al posto tuo…
«Ho rivisto Michael diverse volte e ci siam parlati, con me è sempre stato molto gentile, comprensivo, un vero signore. Aveva talento e i soldi della Mercedes, sarebbe arrivato lo stesso in F.1, era questione di tempo. Di certo è stato fortunato a debuttare con una Jordan che era competitiva, se avesse cominciato come me con Onyx o Coloni, che all’epoca erano piccoli team, far capire che Schumacher aveva talento sarebbe stato più difficile. E’ la storia di tutti i piloti, se l’esordio avviene con una macchina buona, passi subito per fenomeno, guarda Hamilton al primo anno con la McLaren, gli altri ci mettono del tempo, ma poi alla fine si emerge e Schumacher sarebbe uscito lo stesso, era un grande». 

bertand gachot 24 ore le mans
Gachot festeggia la vittoria alla 24 Ore di Le Mans 1991 in coppia con Johnny Herbert sulla Mazda 787B con motore Wankel

 

Poi hai smesso con le corse, perché?
«Ero andato nei prototipi, ho vinto pure la 24 ore di Le Mans, corso in Giappone con le turismo, ma volevo solo la F.1, era una categoria unica, non volevo correre con altre auto e così ho smesso, ho acquistato una azienda di bevande energetiche, la Hype, e con quella son diventato sponsor in F.1. Ha sede negli USA e per questo mi muovo da queste parti in Canada e USA, finanzio la Force India, ma prima avevo aiutato altre squadre. La F.1 è un buon business internazionale, vale ancora come vetrina unica con costi accettabili, almeno nel mio caso».

 

In Europa non torni più?
«Certo, ho mio figlio Louis di 15 anni che corre nella F4 insieme a Giuliano Alesi e a Mick Schumacher, fa i due campionati. E’ bello vedere a quell’età la passione per le corse, anche se devo dire usano poco il cervello. Certe volte vorrei impedirgli di correre, almeno quando fanno sportellate, ma se penso che la mia vita è stata rovinata da una banale questione di precedenze in città. Beh, meglio che si sfoghi in pista…». 

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