Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
“Sono un ipocrita”, aveva candidamente ammesso Sebastian Vettel qualche tempo fa, una volta messo di fronte alle contraddizioni della sua vita professionale. Muoversi sul filo sempre più sottile che collegava la sua passione per le corse alla crescente incompatibilità del suo ruolo con le cause in cui crede deve essere diventato un peso insopportabile. Tanto da indurlo a porre fine a una carriera lunga quindici anni, in cui ha colto quattro titoli mondiali con la Red Bull e 53 vittorie, alcune delle quali con quella Ferrari per cui ha provato un amore devastante, ma che non ha riportato sul tetto del mondo. Ma ora i rimpianti e l’ambizione di successo rappresentano preoccupazioni ormai lontane nel tempo, diluite da urgenze più grandi.
Che l’uomo analogico per eccellenza abbia abbracciato i social media, che ha sempre rifuggito, per annunciare il suo addio la dice lunga sull’importanza del messaggio che ha voluto lanciare nel video in bianco e nero che sta viaggiando ancora più veloce della sua AMR22 sulla pista della comunicazione digitale. Un annuncio intriso di significati, che sottolinea con delicatezza le priorità di Vettel. La sua giovane famiglia, e la volontà di essere un padre presente, capace sia di insegnare ai propri figli che di apprendere da loro. E la necessità di contribuire fattivamente a salvare il pianeta, attuando comportamenti responsabili che non avrebbero potuto conciliarsi con la sua carriera in F1.
Un percorso di cui, nel giorno dell’annuncio del suo ritiro, non possono che venire in mente sia gli alti che i bassi. Le vette da ragazzino terribile in Red Bull, con il ditino pronto a indicare il numero uno, di cui si è potuto fregiare per quattro anni consecutivi in F1. Il nadir alla Rossa, con quell’infinito ritorno dello stesso errore, frutto di una mente bloccata nel momento in cui, ad Hockenheim nel 2018, si ruppe il suo meccanismo vincente. E l’ultima stagione da divorziato in casa, con il volto prostrato dall’amore per una scuderia che gli era entrata sottopelle finendo per gelargli le vene. Come spesso accade in F1, Vettel è passato dall’essere idolatrato all’essere oggetto di scherno, senza passare dal via. La verità, come sempre, sta nel mezzo. E racconta di un pilota micidiale soprattutto se messo nelle condizioni di scattare davanti e fare la lepre.
Ma Vettel è molto di più di quanto abbia incarnato, e rappresenti tutt’ora, in pista. Lo ha detto lui stesso, e condividiamo la sua opinione. Nei complessi anni della sua maturità agonistica Sebastian ha sempre avuto il coraggio di esprimere la sua opinione. Tanto sui fatti della F1 che su argomenti extra sportivi, senza mai alzare i toni, ma con un fare sicuro, andando dritto al punto. Non è un caso che Vettel sia uno dei due direttori della GPDA, l’associazione dei piloti del Circus. E l’avremmo visto molto bene nel ruolo di direttore di gara della F1, visti la sua autorevolezza e il rispetto di cui indubbiamente gode da parte dei propri colleghi.
Forse solo un personaggio come Vettel saprebbe esercitare la stessa influenza che ebbe Charlie Whiting. Ma non lo sapremo mai, con tutta probabilità. Perché Sebastian, per scrollarsi di dosso quell’ipocrisia di cui si sentiva colpevole, deve indossare degli altri panni. Quelli da pilota, così come quelli di altri ruoli nello stesso ambiente, gli stanno ormai stretti. L’assenza di Vettel si farà sentire più di molte presenze, però. Perché è uno dei pochi ad aver avuto il coraggio di esporre l’incoerenza di una categoria che vuole votarsi all’ecosostenibilità nonostante una logistica mastodontica. E che sposa solo di facciata cause non rispettate in alcuni dei paesi in cui corre. Perché è la F1 la vera ipocrita. E, a differenza di Vettel, non troverà mai il coraggio di ammetterlo.