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L’impatto che Michael Schumacher ha avuto sulla Formula 1 è talmente grande da riverberarsi ancora oggi, a otto anni esatti dall’incidente che il 29 dicembre del 2013 gli cambiò per sempre la vita. C’è molto di Schumacher in quella Mercedes per cui corse negli ultimi tre anni prima di chiudere per sempre la porta del Circus. Se la Stella a tre punte è stata protagonista di un successo travolgente nell’era dell’ibrido, è anche merito di Michael, che credette subito al progetto di Norbert Haug.
A fine 2009, decise di unire le forze con quella Mercedes che lo aveva accompagnato prima dell’esordio in F1, chiudendo idealmente il cerchio di una carriera straripante. All’epoca, della scuderia delle meraviglie che sarebbe diventata più avanti, c’era solo la base della BrawnGP, assurta al ruolo di Cenerentola grazie all’intuizione geniale di Ross Brawn. Michael fu, di fatto, uno dei padri fondatori della Mercedes che conosciamo oggi.
La sua vastissima esperienza gli consentì di dare un contributo fondamentale allo sviluppo della scuderia, ponendo le fondamenta dei successi che sarebbero arrivati più avanti. Ebbe il coraggio di rimettersi in gioco, mostrando ancora, all’occasione, i guizzi che lo avevano reso il più vincente di tutti i tempi. E fu in grado di far intravedere alla dirigenza di Daimler le potenzialità della scuderia nel caso in cui avessero avuto il coraggio di investire di più.
C’è moltissimo di Michael Schumacher anche in suo figlio Mick, arrivato in Formula 1 quest’anno, chiudendo a sua volta un cerchio. Non tanto per emulare papà Michael, ma per sentirlo vicino, in una comunanza di passione e di intenti che va al di là dei limiti da cui è ristretta la loro comunicazione oggi. Una condivisione che lo inorgoglisce, pur lasciandogli la bocca amara per quello che poteva essere e non è stato.
Vedi Mick sorridere e pensi inevitabilmente a quanto siamo simili ai nostri genitori nei piccoli dettagli, nelle smorfie, nel modo di porsi. Lo vedi assorto di profilo e provi una sensazione di déjà-vu, rivedendo la sagoma di mille vittorie. Ma c’è molto di Michael anche nella riservatezza di Mick, capace di rivendicare con gentilezza e fermezza allo stesso tempo la privacy del padre, cercando nel contempo di farsi strada per il pilota e la persona che è.
Sono passati otto anni da quel 29 dicembre 2013, dalle notizie febbrili sulle condizioni di Michael, dalle operazioni per salvarlo, dai bollettini seguiti con apprensione dai fan. La Mercedes ha vinto otto titoli, suo figlio ha seguito le sue orme. E la sua assenza assordante si è fatta presenza delicata, nella Formula 1 che continua a suo modo ad influenzare, 2922 giorni dopo quella caduta sulle nevi che gli ha stravolto l’esistenza.