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Sono passati dieci anni da quando dalle monoposto di Formula 1 sono spariti i loghi e le scritte di quelli che fino al 2007 sono stati gli sponsor più munifici della storia della Formula 1: le marche di sigarette. Era il 2001, quando la FIA decise per il “tobacco ban”, dandosi cinque stagioni di tempo per rimuovere le bionde dalle carrozzerie.
La lunga e ricca era del tabacco iniziò nel 1968, quando la Lotus si presentò al via del GP di Monaco con una monoposto adornata con i colori della marca “Gold Leaf”. L'idea era venuta a Colin Chapman qualche settimana prima al GP del Sudafrica, in cui una vettura locale era stata sponsorizzata dalla locale marca di sigarette “Gunstone”. Prima di allora le vetture correvano con i colori nazionali (blu per la Francia, verde per l'Inghilterra, rosso per l'Italia, bianco per la Germania, giallo per il Belgio ad esempio) e le sponsorizzazioni erano limitate a benzine, lubrificanti e pneumatici.
Nel 2005, a porre fine a questa pratica durata quasi quaranta anni, sarebbe arrivata una legge dell'Unione Europea che avrebbe proibito la pubblicità di prodotti legati al tabacco nelle competizioni e la loro visibilità sui media. Al di fuori dell'Europa, nel frattempo, altri paesi in cui si disputavano i GP adottavano la stessa politica restrittiva nei confronti del fumo. Il processo era già iniziato qualche anno prima: la Germania Ovest aveva varato il bando della pubblicità del tabacco nelle competizioni motoristiche già nel 1974, la Gran Bretagna nel 1984, mentre in Francia il divieto divenne legge nel 1992. Bernie Ecclestone, però, riuscì in molti casi ad ottenere una deroga ad hoc per la Formula 1.
Per le squadre non fu facile separarsi dal tabacco, perché già allora la Federazione stimò prudenzialmente in 350 milioni di dollari all'anno l'entità del contributo che le multinazionali investivano sul Circus. Per capire quanto fosse stretto il legame tra “tabaccai” e F.1, basti pensare alla BAR, che fu il team creato nel 1999 dalla British American Tobacco appositamente per pubblicizzare i marchi dei propri prodotti, venduto poi alla Honda nel 2006 alla vigilia dell'entrata in vigore del bando.
Il 2006 fu l'ultima stagione degli sponsor del tabacco in Formula 1. Ormai il fumo era un tabù, erano finiti i tempi di piloti come Jochen Rindt, James Hunt e Patrick Depailler, che con la sigaretta a pendere dalle labbra si aggiravano tra box e griglia senza che nessuno si scandalizzasse, uomini visti più come romantici scavezzacollo che come atleti alla ricerca della massima prestazione.
Vi furono però alcune resistenze: rinunciare ai fondi delle multinazionali era difficile, così nei primi anni dall'entrata in vigore del divieto si videro in pista livree con stratagemmi piuttosto fantasiosi per evitare di esporre il marchio delle varie Marlboro (McLaren, Ferrari, BRM, Alfa Romeo), Camel (Lotus, Benetton, Williams, Tyrrell), Rothmans (Williams), John Player Special (Lotus), Benson & Hedges (Jordan), Lucky Strike (Lotus, BAR, Honda), Mild Seven (Benetton, Renault, Tyrrell), West (McLaren, Zakspeed) o Barclay (Arrows, Williams), tanto per citarne alcuni.
Tra i più celebri il codice a barre adottato dalla Ferrari in sostituzione della scritta Marlboro tenuto fino al 2010, le sette corone di alloro della Lotus (tanti quanti i Mondiali vinti) al posto del logo John Player Special, oppure l'enigmatico ma non troppo “R.?” sulle fiancate della Williams a sostituire lo sponsor “Rothmans”.
Curiosamente, Philip Morris e Ferrari sono ancora legate, pare fino al 2018 stando a quanto si dice, visto che i termini dell'accordo sono riservati. Del resto il team principal Maurizio Arrivabene proviene proprio dalla multinazionale del tabacco, dove ricopriva il ruolo di Vice President Consumer Channel Strategy and Event Marketing, mentre tra i direttori non esecutivi di PMI figura Sergio Marchionne (che pare fumi sigarette di marca Muratti).
Oggi il fumo nella Formula 1 è talmente un tabù che Nico Rosberg in un'intervista di poco tempo fa disse, senza però fare il nome, «C'è un mio collega che si accende una sigaretta dopo l'altra», come se fosse la rivelazione del secolo.