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Quanto l'auto elettrica era agli inizi, e stiamo parlando di una dozzina di anni fa, presso i grandi carmakers un'idea era molto chiara: "...noi facciamo le auto, a come si debbano ricaricare, ci penseranno altri". Ed era chiaro che "altri" sarebbero state le Energy company, gli Stati, i gestori delle reti di distribuzione, ma non di certo i costruttori di motori e carrozzerie. In fondo, il ragionamento era "noi mica fabbrichiamo la benzina e le pompe, e le auto le vendiamo lo stesso". Solo Tesla, come sappiamo, l'ha pensata in modo diverso sin dall'inizio, e i risultati si vedono.
Solo in tempi relativamente recenti i grandi brand dell'auto hanno capito che, se vogliono vendere le auto su cui stanno investendo decine di miliardi di euro, non possono restare fuori dai progetti di distribuzione, anzi, con tutta probabilità chi ne resta fuori perderà gran parte del business futuro, che sarà molto più lucrativo nella vendita dei servizi piuttosto che del "ferro".
Nella grafica qui sopra, ecco come si stanno organizzando i grandi gruppi automobilistici, convinti oramai dai fatti che una volta create le reti, i clienti arriveranno, qualcuno più volentieri, altri un po' meno ma di fatto "costretti" dalle circostanze: divieti locali, incentivi, prezzi in salita per alcuni tipi di motori termici. Com'è evidente, molti capitali sono destinati al territorio cinese, che sta spingendo molto forte sull'elettrificazione, ma anche nel Vecchio Continente i progetti sembrano promettenti. Molti però si stanno arenando nelle paludi burocratiche dei singoli Paesi. In questo scenario c'è un "grande assente", il primo costruttore al mondo, cioè Toyota, non ha resi pubblici i propri programmi, pur avendo presentato un vasto progetto di elettrificazione basato su moltissimi nuovi modelli.