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In politica parlano di nuovo “boom” e allora, si pensa anche all’automobile, ma si pensa solamente. Già perché prima di entrare nel merito del contesto odierno, 2019, per fortuna dire boom economico italiano riporta agli anni in cui l’auto era un simbolo assoluto del concetto di crescita economica e tecnologia, per tutti. Per chi la possedeva per la prima volta (in genere era una Fiat, 500 o 600, ndr), per chi lavorava nella filiera in totale crescita specie al centro e nord del Paese e via dicendo.
Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, di auto l’industria italiana ne sfornava sempre più e più belle, ambite, ma poi anche possedute, godute, sostituite ma ricordate con un sorriso a oltranza, anche oggi. Tutti potevano dire la loro sul tema auto per esperienza diretta. Certo in varia misura, con le dovute sproporzioni, ma l’auto italiana era costantemente in crescita, per quantità, qualità e contenuti condivisi (a suon di fatiche o gioie al volante e non solo con un click e tanta aria fritta, ndr).
La frase del Ministro di Maio oggi invece, parte da una fase nazionale dove l’auto dal cittadino italiano medio è ambita un po’ meno; posseduta nuova (per sostituzione o prima volta) magari italiana, ancor meno; goduta? Quando mai, roba per pochi con i limiti e gli oneri; per non parlare dell’opinione, colpa forse anche di globalizzazione e web, con le sue ondate di argomentazioni negative non sempre così veritiere e profonde, ma pronte a infrangersi sulle nostre coste dai mari dei social. Insomma, prendiamo per buono il concetto ma in modo molto, molto, relativo, per l’auto. Mezzo secolo fa Fiat, Alfa, Lancia, Autobianchi, Innocenti e perchè no, anche Maserati, Ferrari e più tardi Lamborghini (nata nel '63) si diffondevano sempre più con nuovi modelli, fatti in Italia, su nuove strade e soprattutto autostrade italiane. Oggi, con la sospirata realizzazione delle nuove "autostrade", quelle della rete dati veloce, certo il movimento, le attività economiche correlate, potranno essere favorevolmente mosse, ma non da miracolo, almeno non di certo per il mondo dell’auto nazionale.
Già che si fa un po’ finta di prendere alla lettera la frase di un membro del governo, alcuni dei motivi alla base della crescita economica esagerata nel secolo scorso, peraltro non così duratura, come ovvio che sia, oggi non sussistono. Non si arriva da guerra che abbia coinvolto l’Italia e piani conseguenti; non ci sono forti richieste internazionali per prodotti o servizi che alcuni dei nostri settori sono pronti a sfamare con successo rispetto ad altre nazioni; non esistono per certi settori in forte crescita potenziale, condizioni sociali così favorevoli e legate a un passaggio, tra quelli da soppiantare e i nuovi; l’Italia non ha una propria moneta che, come allora fu per la Lira, resta solidamente ben valutata lunghi anni rispetto a quelle, tutte diverse, delle nazioni con cui si ha scambio; ancora socialmente, non vi sono all’orizzonte cambiamenti pratici di vita, come quelli a livello geografico, dell’urbanizzazione di quel tempo, che necessariamente alimentò, insieme al lavoro, la spirale dei consumi positivi. L'auto nuova per gli italiani serviva, o comunque si legava, anche a questi fattori
In ogni caso la buona politica può fare molto e siccome non è mai bello ripercorrere allo stesso modo il passato storico, da italiani speriamo in un percorso positivo in chiave moderna, che non si possa (ri)dire boom, o miracolo (termine peraltro già usato anche da Berlusconi, per le proprie campagne nei decenni scorsi) dove la storia positiva la facciano gli italiani di questo momento, senza che ci siano pescicani (vedi industrie ma anche enti o altri poteri superiori al cittadino) pronti a spartirsi, divorando con vari metodi, le risorse che a livello sociale il governo si appresta a mettere in campo, grazie alle nuove misure economiche (non solo Ecobonus per auto ibrida o elettrificata).
A contrasto del concetto di boom, almeno se vogliamo intenderlo come fase economica, ci sono i recenti dati Istat divulgati sulla produzione industriale tricolore: ancora in negativo e ben accompagnata da quella di altre economie a noi correlate. Senza entrare in ambiti esterni al nostro amato mondo automotive, parlando di macroeconomia, di correlazione tra inflazione e disoccupazione, di scienza delle finanze e politica economica… Vediamo che gli indicatori italiani odierni, tutti, molto poco hanno a che fare, con quelli del vecchio boom. Invertirli almeno in parte è sogno di tutti, ma non sarà certo immediato, per quanto prima o poi avverabile. L’auto made in Italy? Ormai ha poco a che fare anche lei, salvo rari casi, fatti più di nome e forma che di sostanza; ma almeno quelli teniamoceli stretti.
Banda larga? Ben venga. Costo del lavoro? Altroché se da moderare. Formazione e incentivi? Ora e sempre, ma che siano sostanziali e giusti, piuttosto che uno sperpero. Le politiche sono nella teoria di scopo giuste e da molti attese, dovute anche, ma pur sommate agli sforzi innovativi di altri “bonus” totalmente economici in arrivo, da sostenere, sole non basteranno certo a rinverdire quanto richiamato nel concetto di antico boom nazionale; di certo non per l’auto.
In attesa di vivere il loro, di boom, i giovani è bene che si facciano raccontare dai nonni come fu realmente quello del secondo dopoguerra, prima di confondersi le idee con certe enciclopedie o discussioni virtuali, in voga sui monitor dei loro dispositivi. Ah, nei racconti veri la parte che spesso non viene ripresa dai social oggi, è che quei punti percentuali di crescita economica nazionale si basavano sempre sul darsi da fare incessantemente, ovvero anche su tanta fatica per tutti, durante le ore di lavoro, pur compensata poi da nuovi beni posseduti come l'automobile nuova "fiammante".