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In Formula E tira aria di tempesta. Nell'arco di pochi giorni, due dei costruttori più rilevanti della categoria 100% elettrica, Audi e BMW, hanno annunciato l'addio alla fine della prossima stagione. Audi ha scelto di lasciare la Formula E per intraprendere un programma ambizioso, che la porterà non solo a tornare a competere alla 24 Ore di Le Mans, facendo sognare i raffinati appassionati del genere, ma anche ad approdare alla Dakar con una vettura green. BMW, invece, ha addotto la decisione di non competere più in FE al raggiungimento del limite di trasferimento tecnologico tra le monoposto della categoria e la vetture di serie e alla necessità, nel contempo, di allocare risorse allo sviluppo delle auto elettrificate che entreranno nella gamma della casa dell'Elica nei prossimi anni.
Si tratta di un campanello d'allarme da non sottovalutare per la Formula E, che si trova ad incassare defezioni importanti dopo aver vissuto un boom negli ultimi anni, con l'arrivo di moltissimi costruttori. Attirati sia dagli investimenti contenuti per competere nella categoria - nell'ordine dei 20 milioni di euro all'anno - che dalla spinta di marketing dovuta alla partecipazione ad una serie che sposa la stessa filosofia elettrica perseguita dai costruttori, sempre più orientati verso la mobilità ecosostenibile. Ma la copertura mediatica offerta dalla Formula E non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella della Formula 1. Spettacolare, ma forse troppo simile ad un videogioco come resa televisiva, la FE attuale non convince appieno i puristi del motorsport e coinvolge relativamente lo spettatore occasionale.
E questo scenario non giustifica il fatto di investire somme, pur contenute, per mettere in pista vetture che non sono nemmeno lontanamente parenti delle auto che i costruttori propongono sul mercato. Sembra un controsenso, pensando alla F1, ma, lo ribadiamo, il Circus e la FE sono realtà diversissime. Sarebbe impossibile, per un campionato ancora acerbo come la FE - la prima stagione risale al 2014 - mettersi sullo stesso piano di una categoria che vanta una storia di 70 anni e uno stuolo di fan che, nonostante le perplessità per i regolamenti attuali, è disposto a seguire ancora le gesta dei piloti. Con un'esposizione importante per realtà come Mercedes, che da sette stagioni a questa parte è sempre sulla bocca di tutti.
In mancanza di una copertura mediatica di questo tipo, la strategia migliore per un costruttore è quella di mandare in pista vetture che abbiano una somiglianza passabile con le auto che i consumatori trovano nella gamma della casa in questione. Secondo quanto riportato da Autosport, è proprio questo il ragionamento - non esplicitato pubblicamente - del nuovo CEO di Audi, Markus Duesmann. Perplesso dal fatto che le monoposto di Audi in FE, visto il regolamento tecnico della categoria, non siano assolutamente riconoscibili come macchine dei Quattro Anelli. Di qui la decisione di puntare sul WEC, e in particolare sulla categoria LMDh, che dal 2023 sarà comune per il mondiale prototipi e per l'IMSA.
C'è da pensare che il WEC, sull'orlo di una crisi quasi irreparabile negli ultimi tempi, con la sola Toyota superstite nella costosissima categoria LMP1, possa vivere un Rinascimento meraviglioso. Perché sia le hypercar della categoria LMH, su cui Toyota e Peugeot sono già al lavoro, che le LMDh, che consentiranno di correre a Le Mans, Daytona e Sebring, la triade dell'Endurance, rappresentano opzioni attraenti. Non solo dal momento che, come già spiegato, saranno più simili alle vetture per la produzione di serie, ma anche perché non richiedono gli stessi esborsi mostruosi delle sofisticatissime tanto fragili LMP1. E c'è il rischio che le sorti del WEC e della Formula E si invertano nei prossimi tempi. Con buona pace dei fautori dell'elettrico puro.