Renault, BMW, Daimler ed FCA: 2019 la stagione dei “profit warning”

Renault, BMW, Daimler ed FCA: 2019 la stagione dei “profit warning”
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La Casa della Losanga avvisa: gli utili caleranno. E' l'ultimo annuncio di una nutrita serie di allarmi simili da parte di molti costruttori. Il problema? Gli investimenti necessari per l'auto elettrica, ma non solo
23 ottobre 2019

Il settore dell’auto non se la passa tanto bene. Non tanto perché si vendano meno auto, il che è pure vero, ma soprattutto perché gli utili si sono assottigliati. La ragione? I massicci investimenti in ricerca e sviluppo che i costruttori si devono sobbarcare per via delle norme sulle emissioni che impongono loro di sposare l’idea dell’auto elettrica.

L’ultima in ordine di tempo a lanciare un “profit warning”, cioè l'annuncio di una società quotata in Borsa che i suoi profitti saranno inferiori rispetto alle attese, è stata Renault, che ha rivisto le stime sui ricavi per il 2019 dandole in calo tra il 3 e il 4% rispetto al 2018 «A causa di una congiuntura meno favorevole del previsto e in un contesto normativo che richiede spese sempre più elevate».

Il 2019 è stato costellato da annunci simili: a lanciare l’allarme è stata BMW in marzo, che ha lanciato un programma di tagli per ridurre i costi di 12 miliardi di euro entro la fine del 2022, e lo ha fatto per ben quattro volte nel corso dell’anno anche Daimler, giustificando l’outlook negativo con gli accantonamenti necessari per fronteggiare risarcimenti e spese legali per lo scandalo dei Diesel “taroccati” e degli airbag difettosi.

Pure FCA a febbraio aveva lanciato l’sos per via della stagnante situazione del mercato europeo, anche se il Gruppo italoamericano rispetto ad un costruttore comparabile come Renault, che non a caso è ancora indicato come il principale candidato di un’ipotetica operazione di M&A nonostante il naufragio del primo tentativo, ha dalla sua parte l’accesso al mercato USA che può mantenerla a galla.

Alle difficoltà del mercato si aggiungono poi altri fattori, tutti negativi per la salute dei bilanci: si va dall’introduzione a partire dall’1 settembre del nuovo sistema di omologazione WLTP che ha fatto calare gli ordini in attesa che fossero aggiornati gli stock, alla guerra dei dazi tra USA e Cina, con Trump vicino ad alzare la barriere doganali anche per le auto europee, fino allo spauracchio della Brexit che potrebbe ridimensionare la Gran Bretagna dal ruolo di “major market” del Vecchio Continente per arrivare alla calante popolarità (e alla messa al bando in alcuni casi) delle motorizzazioni Diesel causata dall’indirizzo politico prevalente sul tema inquinamento. Intanto le immatricolazioni europee scendono: -1,6% in UE nei primi nove mesi rispetto al 2018. Un dato che conferma le paure di chi le auto le produce.

Di recente la società di consulenza strategica AlixPartners ha parlato di un “deserto dei profitti” che le Case dovrebbero attraversare da qui al 2025, per via dei costi da sostenere necessariamente per non incorrere nelle sanzioni “antinquinamento” della UE e non solo: è stato calcolato che all’industria produrre un’auto elettrica costa 2,5 volte in più che produrre un’auto con un motore termico. In media un motore elettrico costa circa 16.000 dollari USA contro 6.500 dollari di un benzina o Diesel non ibrido, ma si prevede anche che i costi si abbasseranno via via di un 4% all’anno grazie al perfezionamento della produzione ed alle economia di scala, quindi la situazione gradualmente migliorerà. Prima, però, bisognerà attraversare indenni il deserto...

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