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Jeddah, Saudi Arabia, 14 Gennaio. 44 edizioni sono in archivio. Sull’ultima, appena conclusa a Jeddah al termine di un periplo di due settimane, si può cominciare a ragionare. Dopo 12 giorni e 8.000 chilometri di azione il culmine è rappresentato dalle vittorie straordinarie di Sam Sunderland e Nasser Al Attiyah, quest’ultimo con Mathieu Baumel. Hanno meritato? Come hanno costruito la loro vittoria? E se… ?
Le Auto. La corsa del Principe del Qatar si potrebbe riassumere in quattro parole: bellissima ma senza storia. Si scopre l’importanza di essere pronti al momento giusto. Sia Al Attiyah che la Toyota lo erano e non per caso Nasser ha partecipato a 6 olimpiadi. In questa Dakar Al Attiyah ha vinto poco, due giorni, e hanno vinto un po’ tutti, Sainz, Lategan, Terannova, Ekstrom, Devilliers, Peterhansel, ma dal primo all’ultimo giorno al comando della corsa c’è stato lui. Le obiezioni: Al Attiyah non ha avuto avversari. È vero, ma non è stato solo lui a ridimensionarli o eliminarli. La Hilux del “Principe” ha beneficiato dei vantaggi dei nuovi regolamenti ed era stata definita e collaudata con largo anticipo. Vero. Anche la BRX di Loeb, Roma e Tarranova è una T1+ era pronta da tempo, e si è subito dimostrata competitiva, ma non ha potuto essere provata abbastanza in corsa.
Poi. Le Mini non c’erano proprio, dato che ormai sono macchine da noleggio, e per quanto riguarda le Audi semplicemente erano troppo nuove per poter andare a segno al primo colpo. Tutti molto bravi, insomma, ma Al Attiyah lo è stato di più. Audi ha provato una doppietta, Toyota ha risposto con un secco 1-2-3. AUDI e BRX hanno vinto 3 Tappe, Toyota 5. Sul valore delle individualità non si discute, Sainz, Loeb, Peterhansel sono dei fuoriclasse, e allora bisogna ammetterlo: con quattro Dakar vinte al suo attivo, Al Attiyah è anche lui un fuoriclasse. Il duello tra Al Attiyah e Loeb, infine, è stato molto interessante, a tratti avvincente e molto “promettente”, ma Loeb ha avuto un problema, Al Attiyah no, e quella mezz’ora persa ha di fatto reso impossibile una vittoria di Loeb.
Di Italiani parleremo ancora. Totani e Totani, con la loro “3 Tonnellate di Storia”, Sanz-Gerini, 23esimi assoluti.
Le Moto. Sunderland meritava di vincere? Datemi il nome di uno sportivo che vince e non merita. Sunderland è stato il Pilota più attento alla strategia ed è riuscito quotidianamente a vincere e non sbagliare. Pochi altri hanno espresso lo stesso livello generale di concentrazione, anche togliendo quel secondo giorno caratterizzato da pesanti errori di navigazione. Dopo due giorni la situazione era sconcertante, sembrava che a poter vincere fossero rimasti solo Sunderland, Walkner e Van Beveren. Brabec, Price, Cornejo, Barreda, Quintanilla, Branch, Short, tutti erano o sembravano completamente fuori gioco, e dell’atteso, vasto confronto tra KTM e Honda, erano rimasti solo degli sprazzi individuali.
Invece la gara delle Moto è diventata una delle più avvincenti degli ultimi anni. Sunderland e Walkner avevano la gara sotto controllo, o così pareva, e le Honda erano sparite. A metà gara due accelerazioni. Van Beveren esce allo scoperto e va al comando, Quintanilla e Kevin Benavides recuperano buona parte del ritardo e rientrano in gioco. A 4 giorni dalla fine Van Beveren torna in testa, Quintanilla sale al secondo posto, e Kevin Benavides rompe. La decima tappa diventa cruciale, e l’undicesima scioglie parte del nodo tattico. È la più difficile del Rally. Sunderland in testa, Quintanilla e Walkner inseguono vicini, Van Beveren ha sbagliato tattica e si stacca dal trio dei fuggitivi. L’ultima Tappa non è una formalità, Quintanilla può ancora vincere, ma Sunderland parte all’attacco insieme a Benavides, che diventa un alleato prezioso. L’Argentino apre la pista, l’inglese può correre veloce, contenere l’assalto furioso di Quintanilla, e vincere.
Il Podio. Sunderland, GasGas, vincitore per la seconda volta, Quintanilla, Honda, e Walkner, KTM. Danilo Petrucci, Franco Picco, altri italiani meritano in discorso a parte.
L’esplosione iniziale e la tragedia finale. Due giorni prima che la Dakar entri nel vivo, la macchina di Philippe Boutron, Sodicars Team, salta in aria. Nessuno dice che è una bomba, tutti lo pensano. Anche perché nessuno smentisce. Anche al Quai d’Orsay il tema è trattato con la massima serietà e riservatezza. Viene avviata una investigazione e gli organizzatori sono invitati a riflettere sull’opportunità che la Dakar continui.
Si accenna, ma non si completa mai l’informazione, l’indagine si perde nel silenzio e tutto resta sostanzialmente in sospeso. Così la Dakar va avanti. Philippe Boutron, le gambe dilaniate dall’esplosione, va recuperando pian piano una situazione molto grave. Alle bombe si è continuato a pensare ogni volta che si è vista una delle migliaia Toyota FJ Cruiser della Polizia che hanno scortato il Rally. L’ultimo giorno, invece, è morto il capotecnico del Team HP Sport, Quentin Lavalée, vent’anni, durante il trasferimento alla volta dell’arrivo della Speciale. Il pick up sul quale viaggiava si è scontrato con un Camion ed è andato distrutto. Insieme a Lavalée viaggiava Maxim Frere, ora ricoverato a Jeddah.
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