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Buenos Aires - Il 26 dicembre 1978, è il giorno in cui dal Trocadero, sulla spianata che si affaccia sulla Senna e sulla Tour Eiffel, parte la prima edizione della Dakar. Sarebbe diventata famosa con il nome di Parigi-Dakar, ma allora si chiama Oasis Rallye Paris-Dakar. L’ha inventata Thierry Sabine, che nel 1978 ha ventinove anni. La Dakar diventerà un evento sportivo e mondano, una leggenda dello Sport motoristico, una fucina di Campioni speciali e di personaggi, e un contenitore di avventure ineguagliabili.
Parigi-Dakar: le origini
La prima Parigi-Dakar è suddivisa in otto tappe e dura venti giorni, raccoglie 90 moto, 80 auto e 12 camion e si conclude a Dakar dopo 10.000 chilometri di gara e l’attraversamento di Francia, Algeria, Niger, Mali e Burkina Faso con la vittoria di un motociclista sconosciuto di Orleans, Cyril Neveu, in sella a una Yamaha XT500. Gilles Comte è secondo, e Phlippe Vassard terzo con una Honda. La classifica è generale e non suddivisa per categorie di veicoli, la prima auto al traguardo, una Range Rover dell’equipaggio Gnestier-Therblaut-Lemordant, ottiene il quarto posto.
All’arrivo, che allora non era sulle rive del Lago Rosa, 74 equipaggi, tra cui le quattro Fiat “Campagnola” degli equipaggi italiani di Giraudo-Cavalieri, Carletti-Carletti, Tocci-Fucci e Arbizzi-Crappolo. Il successo della Corsa, che Sabine aveva prelevato dalla fantasia di Jean-Claude Bertrand, l’inventore della specialità e creatore della Abidjan-Nizza nella quale lo stesso Thierry era rimasto disperso per tre giorni, è istantaneo.
Etienne Smulevici: 33 Dakar sulle spalle
Etienne Smulevici ha vissuto 33 edizioni della Dakar, ne è stato fulminato per caso, ed è rimasto fedele a un concetto di competizione e al ricordo dell’avventura più bella del Mondo che si rinnova ogni anno alimentando un mito infinito. «Avevo fatto un viaggio in Africa nel 1982 e ne ero tornato innamorato, e una mattina del dicembre di quell’anno, erano le sei di mattina, passando per caso da Place de la Concorde, ho scoperto la Dakar che partiva da lì. Ho provato un momento di emozione di quelli rari, e mi sono detto: l’anno prossimo ci sarò. Il primo gennaio dell’anno successivo c’ero davvero, al volante di un PickUp Peugeot 504 Dangel. Oggi so che un giorno smetterò, perché non avrò più il fisico, forse l’entusiasmo, quindi lo annuncio adesso ufficialmente. Ne ho fatte 33, a cinquanta smetto, largo ai giovani!»
«Mi chiedono cosa è cambiato nella Dakar in trent’anni e passa di storia. Rispondo. Molte cose, ma nessuna in modo realmente rivoluzionario. La Dakar è stata come una scala, un gradino alla volta è cresciuta e si è trasformata, in funzione però dei tempi che cambiavano, quelli si scanditi da fatti anche rivoluzionari. All’inizio era una grande avventura umana accompagnata da un rally, oggi è certamente un Rally accompagnato da un’avventura umana. Il lato umano esiste ancora, intatto, ed è quello che apprezzo. I momenti di solidarietà ne sono una prova».
“Thierry Sabine, mi vengono ancora i brividi e le lacrime agli occhi a pensarci”
«Non si è perso niente dello spirito originale»
«La Dakar ha vissuto tutta la sua storia epica in Africa, siamo stati accolti dai nostri amici africani per trent’anni, e quando è stata spostata in America del Sud ero combattuto tra il sentimento di tristezza di dover lasciare un Terra magnifica con i suoi luoghi divenuti magici, come il Tenéré o la “brousse”, e l’idea di vivere un’avventura come un viaggio sulla luna. Dopo la prima partecipazione in America del Sud non ho avuto che il pensiero di tornare ancora. Qui c’è la stesso senso della bellezza del territorio, la stessa ospitalità che incontravamo in Africa, e in più un’autentica cultura dello sport motoristico, quel valore che porta accanto ai Campioni e agli ultimi degli arrivati milioni di persone appassionate».
«Thierry Sabine, mi vengono ancora i brividi e le lacrime agli occhi a pensarci. È stato l’Uomo che mi ha fatto scoprire delle cose straordinarie, a me e ad altre migliaia di persone con una simile passione per l’avventura. Per dirla come si farebbe oggi, mi ritengo un “puro prodotto Thierry Sabine».