Michele Cinotto: «La Dakar 2014 punta a recuperare lo spirito della Dakar degli anni '80»

Michele Cinotto: «La Dakar 2014 punta a recuperare lo spirito della Dakar degli anni '80»
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Pochi italiani al via in auto, ancor meno in camion. Michele Cinotto prosegue a bordo di una Toyota l’avventura iniziata lo scorso anno, in compagnia del figlio Pietro. Da lui gli auguri di Buon Anno | <i>P. Batini</i>
31 dicembre 2014

Quattro auto italiane soltanto, e due di queste saranno guidate da Michele e Pietro Cinotto, padre e figlio. Sono entrambi alla seconda esperienza nella maratona organizzata da ASO. Michele, Toyota numero 412, 55 anni il sei gennaio, un passato nei Rally con Abarth, Lancia e Audi, sette Faraoni e un interessante “intermezzo” al Montecarlo del 2010 concluso al quindicesimo posto insieme al figlio, avrà al suo fianco Fulvio Zini, un amico dai tempi delle vittoriose “campagne” A112 Abarth degli anni ottanta.

Pietro, 27 anni, ha iniziato con i Rally “tradizionali” nel 2009 nel Trofeo Suzuki, ha partecipato a due Faraoni e a una Dakar, ogni volta al traguardo, correrà con un’identica auto e con il numero 396, e potrà contare sull’esperienza di Maurizio Dominella. Il “Progetto Dakar 2014” della famiglia Cinotto Racing si appoggia al Team francese di Patrick Lardeau.

Facciamo il punto della situazione della spedizione della Famiglia Cinotto alla Dakar 2014.
Michele Cinotto«Siamo al via della Dakar Argentina-Bolivia-Cile io, con Fulvio Zini come navigatore, e mio figlio Pietro, “navigato” da Maurizio Dominella. Corriamo con due vetture identiche, due Toyota Land Cruiser 120 preparate dal Team Lardeau, nella categoria T2, derivate dalla serie».


L’anno scorso la partecipazione famigliare era, però, più numerosa. Com’era andata?
«Sì, lo scorso anno siamo partiti con tre macchine, e c’era anche l’altro mio figlio, Carlo, che quest’anno però non ha potuto essere della partita. Pietro è arrivato fino in fondo, Carlo si è fermato alla decima tappa, ed io purtroppo ho avuto un problema di frizione durante la seconda tappa».

Gli obiettivi, alla Dakar, non si dicono. Sappiamo benissimo che la prima vittoria è riuscire ad arrivare fino alla fine del Rally. Certo, anche ieri abbiamo ristudiato il percorso, i chilometraggi, le tabelle di marcia, e devo dire che la Dakar di quest’anno si annuncia massacrante!


Pare di capire che l’obiettivo, per quest’anno, sia di portare al traguardo di Valparaiso entrambe le auto…
«L’obiettivo! Gli obiettivi, alla Dakar, non si dicono. Sappiamo benissimo che la prima vittoria è riuscire ad arrivare fino alla fine del Rally. Certo, anche ieri abbiamo ristudiato il percorso, i chilometraggi, le tabelle di marcia, e devo dire che la Dakar di quest’anno si annuncia massacrante! Sin dal primo giorno, massacrante. Saltiamo la Bolivia, “riservata” ai motociclisti, ma faremo ugualmente la Salta-Salta, che sulla carta è sicuramente dura, e partiamo dall’Argentina, che solitamente riserva dei percorsi più “rallistici”, in senso tradizionale, e scopriamo che dovremo fare comunque anche là cinquecento chilometri di dune. Altre dune per altri cinquecento ci aspettano in Cile. Duemila chilometri di PS su terra, più 500 di dune, più trecento di pietre. Questa, tanto per incominciare, è l’Argentina. Fate voi!».

Infatti si dice che questa Dakar si collega idealmente agli “inferni” delle edizioni “classiche” degli anni ’80, estremamente selettive. Condividi questa opinione?
«Non ho esperienza diretta di quelle Dakar, ma ho anche io questa impressione. Ce lo conferma anche Maurizio Dominella, che è il navigatore di Pietro ed è alla sua ventiduesima Dakar. Noi diciamo che sono pazzi a proporci un percorso di questo tipo. Lui ci dice che non lo sono, che semplicemente stiamo tornando alle Dakar come si facevano una volta. Bisognerà stare molto attenti, a partire dai primi tre giorni di gara, nei quali la selezione sarà certamente fortissima. Noie meccaniche, défaillance fisiche, sarà dura!».

Cosa trovi di particolarmente affascinante nella Dakar in Sud America?
«I paesaggi, prima di tutto. Sono fantastici. L’anno scorso mi sono ritirato al terzo giorno, ma poi ho seguito tutta la corsa, e ho visto deserti ai quali non credevo, piste che salgono sulle Ande fino a cinquemila metri, laghi verde smeraldo sulle cime delle montagne. È bellissimo. Rispetto al Rally africano, poi, la Dakar sudamericana è forse meno affascinante, ma più coinvolgente. C’è la gente, i bivacchi sono quasi sempre vicini ai centri urbani, e il tifo ti arriva e ti travolge. Milioni di persone. Quando passi tra due ali di folla è impressionante. Puoi essere Stephane Peterhansel o Michele Cinotto, ma dal primo all’ultimo dei concorrenti ci si sente quasi osannati».

Rispetto al Rally africano la Dakar sudamericana è forse meno affascinante, ma più coinvolgente. C’è la gente, i bivacchi sono quasi sempre vicini ai centri urbani, e il tifo ti arriva e ti travolge. Milioni di persone. Quando passi tra due ali di folla è impressionante


Parliamo delle esperienze sportive, per favore.
«Io ho fatto il Pilota professionista, con le auto da Rally. Quattro anni fa i miei figli mi hanno detto che anche a loro sarebbe piaciuto correre, e non potevo essere certo io a dire loro di no. Impossibile. Sono cresciuti vedendo in giro le mie foto in corsa e sentendo i miei racconti, e non ho potuto, anzi non ho voluto e sono stato ben contento di non dire di no. Hanno iniziato anche loro con i Rally, poi due anni fa siamo andati a fare il nostro primo Faraoni, tutti e tre insieme e con tre macchine uguali, e siamo stati affascinati tutti e tre. Siamo arrivati in fondo, primo, secondo e terzo di classe. Sotto il profilo sportivo e per me come padre è stata una esperienza bellissima. Il massimo».


I figli hanno iniziato a sognare sulle gesta del padre, e adesso sono loro che lo coinvolgono nel proseguimento di quest’avventura famigliare e sportiva, insomma.
«Devo dire che coinvolgermi non deve costare molta fatica, il terreno che hanno trovato è molto fertile! Abbiamo corso al Faraoni, e quindi in Marocco. Non lo facciamo da vent’anni, certo, ma devo dire che la Dakar è diventata un po’ un punto di riferimento fisso, e stiamo già pensando anche all’edizione 2015. È una gara che comunque ti prende metà dell’anno, tra preparazione fisica e allenamento, seguire l’allestimento della macchina, il Team, gli Sponsor. Tra una cosa e l’altra l’adrenalina sale per sei mesi. Io ho corso con macchine da assoluta nel Mondiale Rally, sono stato Pilota ufficiale, e sono sempre stato una persona molto tranquilla. Questa volta, invece, devo dire che mi sento un groppo allo stomaco, che non sentivo da molti anni. È come se l’insieme delle cose vissute per preparare il Rally avesse deciso di farsi sentire, all’improvviso. Sai, un qualsiasi Rally, metti anche un Montecarlo, lo provi, lo fai, ti va bene o ti va meno bene, ti impegna una settimana e ci hai pensato magari per due mesi prima. La Dakar ti coinvolge molto di più, ti tiene sulle spine per tantissimo tempo, ed è una volta all’anno!».

Comunque ormai ci siamo. Vogliamo risentirci durante la corsa?
«Certamente, con pazienza però. Ho visto le tabelle dei tempi, e ne ho appena parlato con il mio navigatore per telefono, prima di partire per l’Argentina. Se non abbiamo problemi durante la tappa, cosa che non succede quasi mai, arriveremo sempre non prima delle otto di sera, per ripartire alle sette del mattino successivo. Se poi ci sono problemi, buonanotte! Compatibilmente con tutte queste circostanze, comunque, rimarremo in contatto. Volentieri, e invito tutti anche a seguirci sulla nostra pagina di Facebook.

Per iniziare a rimanere in contatto con i lettori, prima di tutto gli auguri. Vorrei augurare a tutti i lettori di Automoto.it e Moto.it un grande 2014».


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