Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Se da una parte c’è la Dakar, o le Dakar magiche, dall’altra c’è per tutti anche la Dakar più triste. Non stiamo parlando delle Dakar tragiche, poiché non è possibile e giusto stilare una classifica delle tragedie, ma di quelle circostanze che ci hanno fatto stringere il cuore.
Per me l’edizione più triste, in questo senso e in assoluto, è quella del 1993, la Parigi-Tangeri-Dakar 15esima della serie. È una di quelle esperienze che ti fanno stringere il cuore per il numero e la qualità delle circostanze avverse. Quella del 1993 è innanzitutto l’edizione con il minimo storico di partecipazione. Dal 1986, anno in cui la Dakar aveva perso Thierry Sabine, la corsa più folle e difficile del Mondo era stata ereditata e organizzata dal padre del suo inventore. Gilbert Sabine, uomo sensibile e mite, forse non un grande esperto di marketing e di imprenditoria, assunse la guida della Dakar in un atto di amore per il figlio che vi aveva perso la vita. Ma le cose iniziarono ad andare male, e il numero degli iscritti calava. Nel 1993 siamo al minimo. 153 veicoli. 65 Auto, 46 moto e 42 Camion. Mitsubishi e Citroen resistono tra le Auto, Yamaha è la sola vera forza ufficiale, anche se c’è ancora la CaGiVa, le Gilera e, in forma ridotta, una rappresentanza BMW. Il solo ad aver partecipato a tutte le edizioni è Hubert Auriol.
Si comincia male e si prosegue peggio, sino al sospetto che alcuni Team ufficiali abbiamo effettuato delle ricognizioni troppo a ridosso del Rally, dunque irregolarmente. Non ci sono prove, o non si vogliono riconoscerle, ma il fatto mina l’ambiente.
Per me l’edizione più triste, in questo senso e in assoluto, è quella del 1993, la Parigi-Tangeri-Dakar 15esima della serie. È una di quelle esperienze che ti fanno stringere il cuore per il numero e la qualità delle circostanze avverse
Stephane Peterhansel prende subito il largo vincendo le prime tappe, dopo aver avuto un problema di alimentazione durante il prologo, ed impone un ritmo insostenibile, e definitivo, che massacra una volta di più il povero Jordi Arcarons. Le Citroen sono velocissime ma sono sospettate, ancora, di rifornirsi illegalmente. La terza tappa, tra El Golea e Bordj Omar Driss, una classica, è convertita in trasferimento a causa delle piogge torrenziali che hanno distrutto e reso impraticabili le piste sahariane, e quella successiva alla volta di Tamanrasset smembra definitivamente la già sparuta formazione dei motociclisti.
Arcarons vince sei delle tredici tappe, ma non può nulla contro Stephane Peterhansel che si aggiudica la sua terza Dakar consecutiva, e in mezzo a un’infinità di difficoltà dal cilindro della Dakar esce la memorabile 11ma tappa, il capolavoro di due appassionati amatori, Massimo Marmiroli e Massimo Montebelli. I due amici, in sella ad una Gilera e a una Yamaha rispettivamente, vincono la Atar-Atar, un anello dalla navigazione difficilissima che l’indimenticabile Montebelli risolve stupendamente trascinando l’amico avversario che, in vantaggiosa posizione di classifica, si aggiudica la storica Speciale.
Al traguardo del Lago Rosa i Motociclisti sono soltanto dodici. All’alba della disastrosa tappa di “Tam” Gilbert Sabine aveva tenuto un briefing triste e commovente, nel quale si diceva dispiaciuto per la sorte toccata a così tanti motociclisti. Avrebbe voluto portarli tutti a Dakar, ma vedeva sempre più difficile portare al traguardo il Rally stesso, che stava vacillando.
L’anno successivo la Dakar apparteneva a ASO, che metteva alla sua testa il geniale e un po’ folle Jean-Claude Morellet, alias Fenouil. L’organizzatore del Faraoni inventava una rocambolesca Parigi-Dakar-Parigi bersagliata dagli errori e dai colpi di scena, ma la Dakar era già rilanciata e si avviava alla sua terza, vincente generazione organizzativa.