Il Bar della Dakar 2020. Marathon di lusso e intrigo SSV

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L’evoluzione della Corsa offre un break inaspettato. Ricky Brabec è sempre più sicuro in testa alla Gara delle Moto, e un piccolo colpo di scena sembra aver spianato la strada anche a Carlos Sainz. La “verità” sui piccoli SSV
16 gennaio 2020

Shubaytah, Arabia Saudita, 14 Gennaio 2020. Altro che punizione! La Tappa Marathon della Dakar 2020 “rischia” di diventare una piccola vacanza, l’oasi di pace del Rally infernale, il punto mistico di raccolta dell’energia necessaria per affrontare le ultime due Tappe e, contestualmente, il verdetto della 42ma Edizione.

Non ci sarà il Bar, a Shubaytah, ma nemmeno gli implacabili, inarrestabili generatori di corrente e di decibel. Non ci saranno frotte di giornalisti arrembanti con le loro mitragliette di piccolo calibro caricate a domande tutte uguali. Non padri e fratelli con i loro consigli esperti. Non il manager che viene puntualmente a redarguirti perché hai incoscientemente spremuto oltre ogni limite la meccanica. È il quadro della pace assoluta.

Vale per tutti quelli che non hanno avuto la loro botta di sfortuna. È noto che i non fortunati hanno sempre da lavorare, per definizione e colmo di sfiga, e la sera della Marathon non farà eccezione. La 10ma Tappa è stata accorciata, bei 200 chilometri cancellati dal programma, e il convoglio in trasferimento ha limitato, per non dire azzerato, la instancabile, caratteristica “produzione” di danni che escono 24 ore su 24 dalle linee della Premiata Fabbrica Dakar.

La cena non sarà un granché, ma non lo è mai stata in queste due settimane, e niente vino o birra. Anche noi, del resto, serviamo solo aranciate e analcolici colorati come quelli veri. Il nostro cocktail da battaglia è un fake-spritz a base di succo di melograno, ginger ale e una spruzzata di benzina con piombo per dargli la carica.

Neanche l’albergo è di design, come non lo è l’architettura delle infrastrutture di ogni bivacco. Enormi, squadrati tendoni semi-rigidi, bianco imperante, pendenza del tetto limitata, tanto non piove mai. Il bivacco della Marathon non fa eccezione. Non è paragonabile all’Hilton, a parte per il prezzo della notte, e di camere singole non se ne parla. Un unico, immenso locale che riunisce fraternamente tutta la sezione agonistica della fratellanza dakariana. Materassi… singoli a terra pensati per i Motociclisti e letti a castello a due e tre piani. Devono aver pensato di tenere uniti gli equipaggi auto e camion. Poi come al solito è caos e rimescolamento. Non essendoci rumori esterni, va finalmente in scena lo Snore Contest, Concours du Ronflement nella lingua ufficiale del Rally, il francese, o mi pare مسابقة الشخير nella lingua di cortesia del Capitolo 3. Insomma, a due Tappe dalla fine intanto si decide chi russa più forte!

 

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E riflettiamo. Corta Speciale, alla fine. Niente di fatto nella Gara delle Moto, il che equivale a un rafforzamento esponenziale della posizione di Brabec. Invece, colpo di scena nella Gara delle Auto. Peterhansel e Al Attiyah persi! Mi viene in mente l’Africa Eco Race. Il giorno un cui Botturi e Ullevalseter devono fare la differenza per poi dirimere al questione personale, invece di staccare tutti si perdono insieme mentre giocano a chi è più bravo e vince un giovane debuttante, Paolo Lucci. Peterhansel e al Attiyah sono attizzati da un conto personale perennemente aperto, e anche se non lo dicono, soffrono che in testa ci sia Carlos Sainz, il quale a me è simpaticissimo ma non è così per tutti, soprattutto se fai il suo stesso mestiere. Infine cordoni di dune e dune tagliate da superare con quel tuffo al cuore ogni volta che passi la cresta. Insomma, una situazione non facile per Peter e il Principe, ma questo non toglie che l’errore è grave e la condanna è già scesa. Pollice verso del plebiscito e giù la mannaia.

Io vorrei spezzare una lancia a favore dei due pivelli. Quasi sempre è un errore, uno sbaglio madornale e umano. Fischi per fiaschi e Sainz se la ride e saluta. Talvolta, tuttavia, succede una cosa che non si mette quasi mai in conto. E cioè che l’errore possa essere stato indotto dalla perfidia del tracciatore, su ordine dell’Organizzatore.

David Castera e compagni sono gente scafata, e se si pensa che a rendere perfetto il road book è stato chiamato niente di meno che Jean-Paul Cottret, il navigatore di tutte le vittorie in Auto di Peterhansel, allora si capisce che il road book è buono. 100% buono. Ma così come puoi fare un buon road book, con la stesa esperienza puoi scegliere dei punti in cui rendere la navigazione un inferno e il “libro” un incubo. A quel punto sbagliare, soprattutto se sei agitato perché insegui un Sainz che non ti va giù, è un attimo.

 

Stephane Peterhansel
Stephane Peterhansel

Il Maestro

Vi racconto questa, di tanti anni fa. Io credevo di sapermela cavare abbastanza bene, a navigare. Avevo viaggiato nell’Empty Sahara alla bussola e in mare sugli Oceani. Un giorno vado in Africa con Fabrizio Meoni, che ci organizza una piccola scuola di navigazione. Traccia un anello di qualche chilometro, scrive il road book, ci fa partire uno alla vola a distanza di sicurezza. Bene, se non mi viene a prendere sono ancora lì che cerco di sottrarre un osso ai lupi. Fabrizio ce lo disse. Navigare è facile, se non ti dai mai per vinto, se non ti credi mai vincitore e se resti concentrato anche sulle note più facili, evidenti.

Ecco come può funzionare. Una nota difficile, un momento di tensione o di distrazione, e anche Peterhansel e Al-Attiyah cascano nel tranello principe del Rally-Raid.

 

Lo strano "caso" degli SSV

Mi intriga sempre di più la corsa dei piccoli SSV. Vi dico questa. In dieci tappe disputate, gli SSV hanno premiato sei vincitori diversi. Solo Farres, Guthrie e Hildebrand hanno vinto due volte, e prima che Currie si installasse stabilmente al comando della Corsa, ben 5 Equipaggi si sono alternati in testa. Ammesso che sia chiusa lì, la battaglia a suon di colpi di scena continua senza tregue per la conquista di un posto sul podio. “Chaleco” Lopez, che è il Campione in carica ed è stato due volte in testa alla corsa, si è reso protagonista di alti e bassi clamorosi, e anche oggi che poteva giocare la carta dell’esperienza nella Marathon per tornare al comando, è invece crollato con una ruota kaput al terzo posto. Farres, che ha vinto due volte, non è neanche nella top ten, e Varela, che ha vinto l’ottava tappa ed era il Re della specialità, ci rientra per il rotto della cuffia. Lopez è riuscito a spaziare tra il 1° e il 33° posto, Farres dal 1° al 34°. Curiosamente, ma non troppo per la Dakar, Casey Currie, che corre con un Can-Am in compagnia di Sean Berriman, non ha ancora vinto una Speciale ma ha evitato gli svarioni di classifica mantenendosi molto regolare tra il secondo e il settimo posto.

Decisamente, la corsa dei piccoli SSV è avvincente, forse la più eccitante. Perché?

La mia chiave di lettura è la seguente. Gli SSV sono mezzi giovani, nemmeno teen agers della Dakar. Sono piccoli e relativamente robusti, il che significa che sono più verosimilmente relativamente fragili. Sono mezzi scattanti e performanti, capaci di grandi evoluzioni e di bei disastri, spinti da piccoli motori abbastanza… spinti. La logica mi spinge a dire che la qualità degli innovativi veicoli forza, competitività e affidabilità, dipende essenzialmente dalla forza, dalla competitività e dall’affidabilità dei loro Equipaggi.

Tutt’uno Pilota-Macchinina, o prima forma di antropomorfismo alla Dakar per parte di nuovi replicanti SSV?

Resta ora da disputare la seconda parte della Marathon. Shubaytah - Haradh, 365 chilometri di trasferimento più 379 di Speciale. Poi tornano tutti qui all’Arabian Bar della Dakar che abbiamo in gestione. C’è da aspettarsi altri colpi di scena? Possibile.

 

 

© Immagini ASO/DPPI/Delfosse/Flamand/LeFloch/Vargiolu/Gooden – X-raid – RedBull Content Pool

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