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Neom, 7 Gennaio 2020. Insomma, un giorno Fernando Alonso spacca la sua Toyota ufficiale da un milione di dollari, e passa qualche ora nel deserto, sotto il sole e con le tasche piene di sabbia, a ricostruire la preziosa Hilux insieme a Marc Coma. Chissà come incrociano le bestemmie un catalano e un asturiano, dando per scontato che lo facciano nel proprio idioma preferito. Poi sono ripartiti, magari Marc gli ha consigliato di andare più piano per l’ennesima volta, e Fernando gli ha risposto che con quella polvere andar piano a sufficienza vuol dire fermarsi, e quindi che, muover per muovere rischiando, tanto vale levarsi di mezzo il problema il più presto possibile.
Al bivacco come nuovi. Sonno, cibo, briefing. In ordine inverso cronologicamente, giusto se si pensa alle priorità.
Ripartono per la terza Speciale della prima Dakar della loro vita (di coppia e di Campione del Mondo di Formula 1). Partono in buona posizione, privilegio dei prioritari, tre volte in una Dakar. E vanno forte, subito e per tutta la speciale. Sicuri, decisi. Potenti. Marc ha imparato in fretta ad anticipare le note salienti, Fernando schiaccia in anticipo di suo, un vecchio vizio di chi consce bene le curve che lo aspettano. Il finale è da brivido, quinti assoluti. Solo Sainz, Przygonski, Seidan e Al Attiyah meglio degli iberici più in vista di questa Dakar.
Nasser fa loro i complimenti, e conforta le parole con un dono. Hanno penalizzato Al Attiyah perché non ha dato strada a un avversario nel finale della Speciale (strano, i Principe è un gentleman, si vede che non ha sentito il clacson), e ne approfitta per regalare quei tre minuti, che equivalgono a un posto nella classifica di tappa, proprio a Alonso e Coma, che salgono così al quarto posto assoluto.
Ancora più interessante, eloquente.
Insomma Fernando va forte. Mi fa impressione. Non gli davo così tanto credito. Supponevo che non fosse facile superare la barriera del suono nel Deserto per uno che è abituato a girare, girare, girare…
Adesso lo vedo piuttosto simile a Sébastien Loeb. In un certo senso meglio. Migliore è una parola grossa, ma meglio è un punto di vista accettabile. Il nove volte Mondiale WRC è nato fuoristrada e nell’incerto incostante della terra, quindi un certo feeling ce l’aveva per forza. Alonso no. Asfalto. Una cosa ben diversa.
Allora che significa? Che il talento per la guida, la forza di un Pilota sta solo in parte nella “piattaforma” sulla quale è espresso. Il resto è nella mente, nelle braccia, nel cuore del Campione. E nel piede, naturalmente.
La Gara di Fernando Alonso e Marc Coma diventa tutto d’un tratto autenticamente interessante, spogliata di ogni qualsiasi prurito gossip. Affare vero, serio
E Peterhansel dov’è? Dov’è Mister Dakar con il suo nuovo navigatore portoghese, Paulo Fiuza? Al quinto posto, a una ventina di minuti da Carlos Sainz, stessa Mini JCW Buggy. Per uno con un pedigree come “Peter” è una posizione che corrisponde all’anonimato.
Ma non è così. A parer di molti, e mio, è la posizione giusta, perfetta, per uno che, come si dice da noi, sa dove dorme il polpo. Venti minuti da suddividere in otto tappe sono pochi, tutto sommato, e avendo davanti a sé quattro forsennati, a parte Terranova e Al Rajhi, Sainz e Al Attiyah lo sono per la circostanza che li vede uno di fronte all’altro, direi che Peterhansel vale oggi esattamente il potenziale della Mini… in rodaggio, ovvero il podio.
Stiamo a vedere dopo il tagliando cosa vale l’accoppiata.
Mi piace la gara degli SSV. I piccoli SSV stanno per entrare anche nel mio rude cuore a quattro valvole per un solo cilindro. Sarà che la vedo animata, impreziosita dall’azione di ex motociclisti. Il Campione in carica è Francisco “Chaleco” Lopez, un autentico eroe che mi riporta all’epopea delle ultime Aprilia alla Dakar. Il vincitore della terza Tappa è Gerard Farres, uno dei più grandi gentiluomini della storia della Dakar. Ricordate che è stato il potatore d’acqua di Chaleco? Bene. A parte il fatto che al termine della terza in testa c’è l’americano Currie, Lopez è a una manciata di secondi nonostante una doppia foratura. Niente da fare, Francisco era un fuoriclasse in moto e lo è anche con la quattro ruote, seppure piccole come quelle di un SSV.
A proposito di Fuoriclasse. Con un SSV corre adesso Cyril Despres. Guida un OT3 Red Bull. Oggi gli è andata male. Ha arrostito il motore e passa nella categoria degli “sfigati” che continuano, ma fuori classifica. Si chiama Dakar Experience, vuol di “sbattici il naso!”
Mi piacciono gli SSV anche perché ci corrono Camelia Liparoti, sangue molto vicino, il brasiliano Varela che è stato uno dei pionieri, e che come tutti i brasiliani ti ci affezioni, Michele Cinotto che è un compassato signore che non diresti così “teen”, Elvis Borsoi che con Stefano Pelloni è deciso a fare il grande salto, e il mio idolo e conterraneo Stefano Marrini, un autentico universale della passione.
Mi preoccupa un poco che gli SSV siano oggetto di una escalation di costi che ne snaturi lo spirito e la “missione”.
Chi sono gli “enormi”? sono gli Elefanti del Deserto. I Camion, i mastodonti della Formula 1 della Dakar.
Gara come sempre piuttosto blindata. Al momento è in testa il “povero” Viazovich con il Maz bielorusso. Dico “povero” perché l’armata russa gli è già alle calcagna. In particolare, Karginov, che sa come si fa a vincere la Dakar perché ne ha vinta una nel 2015, è già con il fiato sul collo del collega camionista vicino di Casa, a due minuti. I nostri Equipaggi, Cabini-Verzeletti-Cabini, Bellina-Minelli-Gotti e Calabria-Calubini-Fortuna gli proteggono le spalle… a partire dalla 34ma posizione. Ma la loro è una storia di passione, non di agonismo.
Una storia di Dakar.
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