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Lima, 4 Gennaio. Il conto alla rovescia è più simile allo stillicidio di una roulette russa che al countdown del lancio di un missile. Il carico emotivo è troppo forte. La ragione di tanta tensione è, lo sappiamo ormai da quarant’anni di Storia, l’importanza di un evento che arriva una sola volta all’anno. Arriva e ti tiene in sospensione per due settimane. Troppo tempo. Se ce la fai sarai un dio da settimo cielo, se la Dakar ti sconfiggerà sarà un anno di fiele, in attesa di poter lavare l’onta.
E poi alle spalle della partenza c’è un anno di preparazione, interminabile e ancora troppo eterea, che svanisce per lasciare il posto a un potenziale emotivo tremendo. Alla base aerea di Las Palmas, Lima Sud non lontana dal Pacifico, i partecipanti arrivano, mettono insieme i pezzi della loro avventura sbarcata al porto di Callao, Lima Nord, e si sottopongono alle forche caudine delle verifiche tecniche e amministrative. Va tutto bene, diamine, ma diventa snervante anche l’ottenimento di quell’ultimo visto per l’impresa.
Lima è un caos, non diverso da quello di altre metropoli sudamericane, ma con le sue particolarità. La scena, innanzitutto. Non è raro che il cielo di Lima sia coperto, ma piove poco, l’effetto non è esaltante. Il traffico, altra discriminante della ritmica della vita di Lima. Dicono che l’imbottigliamento perenne delle strade del centro (ma anche della Panamericana) sia dovuto alla crescita della popolazione della metropoli “peruana”. Non è vero, secondo Sebastian Salazar anche vent’anni fa, quando gli abitanti erano un quinto degli attuali dodici milioni, la situazione era così, immodificabilmente critica. È che c’è un metodo per stare nel traffico che è davvero singolare, un thriller. Tutto succede lentamente, ma inesorabilmente. Non si passa, ma si deve osare. Non ti lasciano passare, ma quando le macchine sono ormai a pochi centimetri dal disastro uno dei due cede, lasciando il passo e riconoscendo la sconfitta. Milioni di “duelli” così, tutto il giorno, ogni giorno che si accende il saluto del posteggiatore è lo stesso: “Pronto a la Guerra?”
È la domanda che si sentono porre tutti i protagonisti, pronti ormai ad esasperarsi all’ennesima declinazione della stessa domanda: “Pronto alla Guerra?”
Ormai non ci si può più tirare indietro, e per taluni dichiarare un obiettivo al di sotto della logica ambizione è un’offesa. Così il Team Peugeot Total. C’è ancora chi chiede: “Quali sono i vostri obiettivi?”, “Come fa, lei Signor Famin che è il Direttore, a gestire questi quattro galletti del pollaio?” “Chi sarà il vincitore?”
Bruno Famin, forte di due Trofei della Dakar che ha “aspirato” al suo Campione irripetibile, Stephane Peterhansel, risponde laconicamente: “Siamo venuti qui senza nessun altro obiettivo che vincere”! I suoi Piloti sono straordinariamente diplomatici e si scambiano complimenti indiretti, che fano passare attraverso le pagine dei taccuini dei colleghi. Peterhansel, Carlos Sainz, Cyril Despres, Sebastien Loeb. Ciascuno ha almeno tre favoriti, naturalmente i tre compagni di Squadra. Sono chiacchiere che servono a distendere l’atmosfera a poche ore, ormai, dalla partenza, ma è anche chiaro che una buona parte del fair play dipende dal fatto che la Vettura è magnifica, e trasuda potenziale da ogni… maglia del velo di composito che la riveste. Ogni parte della 3008 DKR Maxi è stata rivisitata, migliorata, ridefinita al limite della perfezione. Il nuovo regolamento, una novità voluta per chetare i piagnistei degli avversari, ricopre un poco le carte della mano due volte vincente, ma basta dare un’occhiata ai “mostri” per capire che la gara sarà, sì, più interessante, ma che da lì a liquidare quella che potrebbe essere l’ultima Dakar dell’Era Famin-X008 ce ne vuole. Le 3008 DKR Maxi si presentano apparentemente solo “personalizzate”, pennellate di giallo per “Peter”, blù per Sainz, rosso per Despres, bianco per Loeb, ma hanno raggiunto una larghezza “inquietante” che le fa correre sulle impronte a terra dei camion, hanno ottimizzato di conseguenza il sistema di sospensioni che ne fa una Macchina a sé, cambiato il… cambio e dato una registratina allo straordinario V6 di tre litri bi-turbo che ironicamente viene accreditato degli stessi 340 cavalli di sempre. Abbiamo visto le 3008 DKR Maxi in azione sul circuito desertico di La Chutana, 60 chilometri di Panamericana inghiottiti dal traffico. Bene, pur in assetto “sociale”, una passeggiata per gli occhi privilegiati di pochi, l’”arma” di Peugeot fa paura. Sembra un’astronave.
A due giorni dal podio di avvio al Villaggio Dakar di Pentagonito, arriva la conferma ufficiale del ritiro di Paulo Gonçalves. Il portoghese, infortunato a una spalla in un incidente a due settimane dal via, è obbligato ad alzare bandiera bianca. Era arrivato a Lima con le idee chiare ma con gli occhi umidi. Ha provato e ri-provato la sua Honda 450 Rally i primi giorni dell’anno, ma alla fine ha dovuto risolversi ad abbandonare la “manche”. Troppo dolore, ma il portoghese potrebbe anche resistere alla pressione fisica. Il fatto è, tuttavia, che la Dakar è una Gara in tutti i modi difficile, e la cosa migliore che si possa fare è affrontarla in condizioni fisiche perfette. La cosa peggiore, invece, è affrontarla in condizioni critiche, perché è un modo poco intelligente per mettersi nei guai. Paulo lo riconosce e annuncia l’abbandono.
Ancora un giorno per concludere le operazioni di verifica, poi non resta che… correre. Gli appassionati arrivano a oceani, la fascia costiera che da Lima porta fino a Pisco è un tapis roulant di mezzi, Lima si addobba per completare la scenografia della partenza.