Dakar Rewind. Sud America. Un Viaggio Indimenticabile Durato 10 Anni. 12 Perù, 100%, Machu Picchu

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10 anni in due settimane, il Viaggio dell’ultima Dakar in Sud America per ripercorrere un’era del Rally più famoso del Mondo attraverso alcuni dei luoghi più significativi
13 luglio 2019

Somewhere, some days after. 12. 13° 9′ 48″ S, 72° 32′ 44″ W. Perù. La Valle Sacra e Machu Picchu. La Mèta. Una dozzina di “riflessioni”, puntate, luoghi e scorci di Dakar e Sud America. Più precisamente e coerentemente, di Dakar in Sud America. Se e quando si tratta di decretare il “vincitore”, il luogo che batte tutti gli altri nei dieci anni di Dakar, ecco che alla fine per “scoprirlo” bisogna tornare in Perù e, tra l’altro, scoprire che c’entra con la Dakar solo marginalmente, tangenzialmente, solo se la Dakar diventa un “pretesto” per estendere l’esperienza di Viaggio. Come abbiamo cercato di fare noi tutte le volte che ci è stato possibile.

Insomma, eccoci. Il luogo che rappresenta la mèta ideale del Viaggio in Sud America è Machu Picchu. Sin dalla prima volta che abbiamo pensato a una Dakar in Perù abbiamo saputo che saremmo andati a Machu Picchu. Solo dopo abbiamo scoperto (io, Mr. Franco lo sapeva già bene) quanto vale il Perù, anche senza o a prescindere dalla sua mèta iconica. Sì. Di tutti i Viaggi “Dakariani” l’esperienza peruviana è la più intensa.

Tutto questo, tuttavia, solo pensando di dover stilare questa specie di classifica. Globalmente, infatti, restiamo della nostra idea: viaggiare fa sempre bene ed è sempre bello, ovunque si vada. Bisogna chiarire, dunque, che nessun essere umano dovrebbe privarsi di un Viaggio in Cile, di uno in Argentina, in Paraguay, di un… mezzo Viaggio in Bolivia.

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Torniamo al Perù e a Machu Picchu.

Perù 100%. Lima, l’Oceano e le sue spiagge, i deserti, le Ande, i cieli che scendono fino al mare tempestati di uccelli, i suoi scorci di vita e le isole incantate, il suo vento perenne e stimolante. Le sue strade. Le strade della fortuna. Di trovare prima di ogni tramonto un luogo memorabile, un angolo dalla suggestione emozionante e indelebile. Ad ogni angolo di strada, e per le strade e nel deserto, nella metropoli insopportabile come nei piccoli villaggi di frontiera o ex frontiera, la Gente, i Peruviani. È la gente che colora il viaggio, che lo rende importante, che gli dà i colori dell’esperienza da custodire nella memoria. È la vita nel Viaggio. La strada.

Davvero memorabile è la strada che porta a Machu Picchu, la meraviglia di dieci anni di Dakar in America del Sud. Pochi dubbi al riguardo. Se dovessimo fare un solo viaggio nel continente americano del Sud, la mèta sarebbe Machu Picchu.

Machu Picchu non in aereo da Lima, però. Come dice Mr. Franco, Machu Picchu alla fine della Strada che porta lì attraverso la trasformazione che vivrete man mano che conoscete il Perù. Non vi sembrerà strano, o tempo perso, di aver visto, lungo la Strada, Pisco, Paracas, Palpa, le meraviglie misteriose di Nazca, Puquio, Abancay, le Ande da un’altra angolazione. A un certo punto il bivio. Da una parte Cuzco a portata di mano, dall’altra Urubamba. Ecco, stiamo entrando nel cerchio magico della marcia di avvicinamento a Machu Picchu. L’ascensione lenta verso la mèta porta con sé il piacere squisito del viaggiare, la sensazione di “meritare” l’obiettivo, che matura nella Valle Sacra. Il viaggio rallenta per l’ultimo “stadio” prima della spinta nell’orbita delle sensazioni. Tempo permettendo, conviene dividere gli obiettivi. Urubamba, la Valle Sacra degli Inca e Machu Picchu, almeno due giorni. Cuzco, Sacsayhuamán, Pisac (da non confondersi con Livornoc) e dintorni, una visita rallentata alla scoperta degli “strati” inca, spagnolo e repubblicano della Capitale dell’Impero. È una visita obbligatoria. Cuzco è LA Città peruviana, quella che ne raccoglie la Storia e ne esalta la tradizione. Possibilmente, è vivamente consigliata anche una serata tra le vie e le piazze della Città, per ristoranti e caffè, per passeggiare, e magari una notte in uno degli antichi alberghi, quali l’Aranwa o l’Inkaterra, di quella che è stata Capitale Inca e storica del Perù.

Il viaggio, finalmente, a Machu Picchu parte da Urubamba e passa per Ollantaytambo, l’antica fortezza ultimo baluardo della resistenza Inca dopo la disfatta di Cuzco, che è il capolinea del Viaggio in auto e l’inizio dell’ultimo tratto che porta a Machu Picchu. Da Ollantaytambo, che meriterebbe una visita più “ragionata” e invece è vittima dell’impazienza di chi va a Machu Picchu, si prende il trenino che porta a Aguas Caliente, o Machupicchu Pueblo, che infine è il campo base dell’ultima ascensione. Si potrebbe andare anche a piedi, fino alla Montagna, fino alle rovine, ma ci vogliono tre giorni, spirito e adattamento.

L’esperienza di Machu Picchu ve l’abbiamo già raccontata. Ci siamo arrivati all’alba di un capodanno. La sera ci siamo inzuppati di pioggia a Aguas Caliente e siamo andati a letto presto. Niente veglione o tirar tardi in un dei cento locali dell’avamposto turistico-logistico. Alle sette di mattina eravamo sugli scalini dell’Ingresso. Momenti di panico. La Montagna, la “skyline” e la fortezza religiosa erano completamente avvolti in una nuvola impenetrabile. Minacciava pioggia (capita molto spesso). Machu Picchu era lì, ai nostri piedi, ma non vedevamo oltre la piazzola del belvedere. Poi la nuvola ha iniziato a spostarsi, a salire, a liberare l’aria per l’arrivo dei primi raggi di sole. È stata una fortuna incredibile. Non il fatto di poter vedere Machu Picchu, ma di avere la visione svelata lentamente, cambiando luce e colori, vivendo l’esperienza di una “fotografia” in un film. Senza muoverci abbiamo aspettato in religioso silenzio che il quadro fosse completo, ci siamo lasciati stupire e avvolgere dal senso compiuto del Viaggio giunto alla sua mèta. È un’esperienza indimenticabile, viva nella memoria che riaffiora di tanto in tanto, intatta.

Avremmo voluto che la Dakar passasse per Machu Picchu. Probabilmente non sarebbe mai più andata via dal Perù. Certo, è impossibile portare una carovana di 500 persone fin lassù. No te lo lascerebbero fare, oggi. Mr. Franco, ai tempi dell’Incas Rally leggendario, ebbe l’idea giusta. Le Moto in basso, d’accordo, ma i Concorrenti, la Carovana dell’Incas Rally doveva vedere, capire, vivere l’esperienza. E la cerimonia di premiazione si fece a Machu Picchu.

A parte la visita delle rovine, in buona parte ricostruite, e del complesso, è strano pensare che tutta l’intensità del Viaggio possa essere racchiusa in un’immagine, in quella panoramica che tutti hanno già visto su un libro, sulla rete o al monitor. Andarci regala una sola, fondamentale differenza: essere dentro la foto.

Per un attimo si è portati a pensare che pur sempre di una “foto” si tratta, di un’icona o dell’immagine che rappresenta un viaggio al cospetto di una delle sette meraviglie. Ma è in quel momento, in cui si sente di essere parte dell’immagine, che esplode l’intensità del lungo viaggio, della marcia di avvicinamento a quell’obiettivo, dell’esperienza così come l’aveva immaginata e suggerita Mr. Franco. Torniamo a valle. Come si dice, arricchiti.

Perù infinito. Siamo andati nel Deserto di Ica, fino al confine con il Cile, oltre quello con la Bolivia, a Nord fino a che abbiamo potuto, schiavi del tempo. Ogni giorno, ogni ora un’immagine incancellabile. Ancora. Puerto Inca, abbiamo visto gli scheletri fossili dei cetacei di Sacaco. Il più antico porto inca, datato di 4.000 anni, con la planimetria chiara della sua funzione e i suoi magazzini “frigo” sotterranei, è nascosto dietro un resort che porta il suo nome, e forse per questo il sito archeologico si chiama Quebrada De La Vaca. Il “Mare di Sacaco”, balene, delfini, scheletri fossili in perfetto stato di conservazione, resistenti al passare del tempo ma, forse, non alla pressione di un turismo incontrollato, è su una strada laterale che bisogna conoscere, per accedere a questa incredibile, “facile” meraviglia. Visioni straordinarie, testimonianze chiare, precise. Un po’ come Caral, tuttavia, Sacaco e Puerto Inca sono luoghi, se ci si riferisce a un qualsiasi standard di riconoscimento turistico, dimenticati. Ci si arriva casualmente o invitati da un anfitrione dalla memoria lunga e dall’orgoglio culturale forte, Kike, il “fratello” peruviano di Mr. Franco.

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