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Yanbu, 30 Dicembre. Quando organizzavamo le gare di Enduro clandestine si faceva presto. Eravamo tutt’uno, una ventina di organizzatori/concorrenti, un solo mezzo d’appoggio, un furgone carico di fettucce e paletti stra-usati. Si partiva prima dell’alba e il pomeriggio presto si era già tutti in pizzeria a commentare. Vi voglio svelare un segreto: la Dakar è un’altra cosa! Un pelo diversa. Intanto bisogna pensare alle dimensioni. Per 800-900 concorrenti bisogna immaginare il triplo, 2.500-3.000 persone, di popolazione totale. Un Paese! Un paese che ogni giorno cambia luogo, che si muove. Ogni sera svanisce nelle sabbie del Deserto e la mattina dopo risorge da un’altra parte. Assistenti, commissari, giudici e federali, medici e piloti di elicotteri e “Tango” (le jeep mediche), l’esercito della logistica, della “bouffe” (il catering), 7-8.000 pasti al giorno sotto un ettaro di tendoni. I servizi sportivi e quelli… vitali, insomma. Questi sono i numeri colossali dell’umanità mossa dalla Dakar.
Immaginate, poi, la moltitudine dei mezzi. Non solo quelli da corsa. Ci sono i bilici, i camion, i furgoni della logistica, i mezzi delle comunicazioni, tracking e gestione della Corsa, camion e pullman della produzione TV, i 4x4 che scorrono quotidianamente le piste con apripista, addetti ai timbri e ai controlli, cronometristi. Gli aerei ponte radio, gli Elicotteri, le auto cisterna dei carburanti dei mezzi da corsa e degli elicotteri. I concorrenti poi, da capo. Camion e furgoni, più i mezzi d’appoggio, camper e motorhome per chi può, i mezzi di giornalisti, media, gli ospiti e i viaggi V.I.P., le navette da e per gli aeroporti, vicino ai quali di solito sorge il “paese” della Dakar. Addirittura motrici e mezzi pesanti, macchine movimento terra per allestire e tenere in perfetto ordine il terreno.
In realtà i bivacchi sono più di uno, e vengono montati alternativamente in modo da essere già sostanzialmente pronti, alla partenza della Tappa, per l’arrivo successivo. Un caso a parte è il Bivacco Marathon. A questo bivacco accedono solo i concorrenti e gli ufficiali strettamente necessari per il controllo sportivo, ridotte unità mediche, di catering e media (non tutti i giornalisti son ammessi a questi bivacchi (per paura che trasportino clandestinamente ricambi e generi di conforto ai concorrenti)). A questi bivacchi non accedono gli assistenti, senza deroga alcuna. Ci si può assistere e aiutare solo tra Concorrenti e solo con le attrezzature e i ricambi a bordo. Va da sé che, se me lo posso permettere, mi faccio seguire da un autotreno in gara carico di tutto e di più, ma è altrettanto vero che tempistiche e condizioni limitano di molto lo spettro delle astuzie praticabili.
Un altro caso a parte, inedito, è il Sea Camp di quest’anno. In questo caso si è voluto isolare completamente le fasi preliminari del Rally dal contesto urbano nel quale di solito venivano svolte. Non più, quindi, le grandi strutture (generalmente stadi, palazzetti, centri congressi) messe a disposizione dalle municipalità, bensì un super bivacco completamente isolato. Come abbiamo avuto modo di sottolineare, lo scorso anno ci furono un paio di attentati di troppo, e quell’idea di sicurezza in casa d’altri aveva vacillato. L’Arabia Saudita ha reagito e, di comune accordo con l’Organizzatore, ASO, ha realizzato qualcosa che solo da queste parti, e con risorse illimitate a disposizione, può essere possibile. È stato scelto un punto GPS, per chi voglia paracadutarvisi è il punto 24°24'32.8"N 37°26'00.1"E, 100 chilometri a Nord di Yanbu, sulla spiaggia del Mar Rosso. Qui tutto è amplificato nelle dimensioni, si pensi che il Sea Camp occupa un’area di ben 270 ettari! Qui la carovana della Dakar vive per cinque giorni. Di fatto è anche un esempio del potenziale di un’organizzazione che non si pone limiti.
Il bivacco è off-limits. Di default NON-SI-ENTRA, a non essere accreditati, ossia aver acquistato il diritto di accesso. È completamente recintato, vigilato, sorvegliato speciale. Le (poche) vie d’accesso sono dei veri e propri posti di blocco, e i militari… ops, le guardie sono piuttosto ruvide, tanto per dare quell’idea di durezza che, tra amici, non guasta. L’ingresso al bivacco è sempre qualcosa di vagamente inquietante. Se arrivi di notte ti sparano una torcia in faccia, e già quello è un atto spettacolare e spietato, fatto da gente esperta che conosce i suoi polli. Poi si sottopone il proprio pass alla lettura di una specie di gameboy. Al “verde” si passa al controllo, ugualmente digitale, del pass incollato sul parabrezza del mezzo. i Piloti hanno un braccialetto, ugualmente “sensibile”. Una volta abilitati, finalmente arriva, ma non sempre un tiepido “Buonasera”.
Una volta dentro non si creda di essere a casa propria. Anche per mangiare devi passare il tuo pass al lettore, e lo stesso dicasi, per esempio, per la sala stampa. Non si illudano, sceriffi e gestapo. I clandestini, i portoghesi ci sono sempre, i più astuti soo sempre avanti e non li fotti. Non vi sto a dire come si fa, in fondo è il patrimonio di ingegni che meritano tutto il nostro rispetto.
I giorni del Sea Camp passano velocissimi, sembrano lunghi e è già il tramonto, bellissimo sul mare. Troppe cose da fare, troppe ansie, troppa impazienza. Le verifiche sono l’ultimo scoglio burocratico, dopo è gara ed è un’altra cosa. Per contro è bello ritrovarsi tra “Dakariani”, magari non ci si vedeva da un anno, è bello riunirsi per le prime pastasciutte, è bello esserci. Dove c’è moltitudine c’è bisogno di regole, e di un certo rigore nell’applicarle. Tuttavia, il rischio che si perda molto dell’umanità e dell’atmosfera che caratterizza le società felici, è piuttosto alto. E lì viene il delicato: deve entrare in scena l'umanità dell'organizzatore!
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