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Jeddah, 4 Gennaio 2020. Buongiorno. Buon Anno. Nessuno sa da dove si comincia. Se dalla fine di un’era o dall’inizio della successiva, se con il cuore ancora in Sud America (o in Africa) o con le ali già spiegate verso il cielo e il sole d’Arabia.
3 e 4 gennaio. Di scena le verifiche tecniche e amministrative della Dakar 2020, le punzonature e il primo briefing, che sta in mezzo tra le raccomandazioni, le linee guida e il saluto, il benvenuto al terzo capitolo della Leggenda.
Jeddah è il primo impatto con l’Arabia Saudita. Un’altra lingua si sovrappone alla stratificazione della Storia. Altre abitudini, altre tradizioni, altra cultura. In che modo potranno permeare la Dakar? Oppure, in che modo staranno in una distinta terra di nessuno in attesa dei presupposti di una nuova compatibilità? Sulla carta, cinque anni di processo già fissato per saperlo. Intanto è Dakar numero 42.
A Jeddah e dintorni non è successo ancora nulla, a parte al povero Martin Kolomy che ha disintegrato il proprio prototipo Ford e una vertebra tra e dune dello shakedown, e che quindi non prenderà il via.
Tuttavia io so da dove iniziare con il rispetto che si deve a una passione e alla Storia, anche nel risvolto più tragico che sia possibile immaginare. Incomincerò da Gilbert Sabine, che pur sfiorandolo non è venuto con noi nel nuovo anno. Aveva 97 anni. Gilbert Sabine era il padre di Thierry, l’inventore della Parigi-Dakar.
Nel 1986 il tragico incidente di elicottero del 14 Gennaio a Gourma Rharous, cento chilometri da Timbouktou, nel quale il creatore della Leggenda perse la vita. Gilbert osò quello che non si può augurare a nessuno. Raccolse l’eredità del figlio e si pose alla guida della Dakar e dell’Enduro del Touquet, opera prima di Thierry.
Della Dakar Gilbert fu il condottiero triste e gentile per sette anni, fino all’edizione del 1993, la più povera. Fu una Dakar difficilissima, segnata da una congiuntura che sembrava potesse portarla alla fine. 153 partenti, 55 auto e camion all’arrivo, prima la Mitsubishi di Saby-Serieys, e appena 12 Moto al traguardo del Lago Rosa, per la terza volta consecutiva prima la Yamaha di Stephane Peterhansel.
Gilbert Sabine, che aveva lasciato lo studio di chirurgo dentista per seguire le orme del figlio, vendette Thierry Sabine Organization alla Famiglia Amaury, e si ritirò a Ile de Re. Jean-Claude Morellet, in arte Fenouil, l’inventore del Rally dei Faraoni, fu la guida della Parigi-Dakar-Parigi 2004, prima dell’era ASO.
Ricordi lontani, di un mondo diverso. Oggi a Jeddah ci si prepara a partire per l’Avventura modificata di un mito persistente, potente.
Per scaldare l’ambiente. Il fuoco dell’ultimo minuto. È arrivato anche Cyril Despres. Si sapeva che quest’anno “intendeva divertirsi”, e che si era avvicinato al progetto-giovani di Red Bull Desert Wings, che ruota attorno ai nuovi OT3 di Overdrive, in qualità di coach. Invece all’ultimo minuto utile, saltata la partecipazione di Seth Quintero mentre stavano già ritirando la passerella, Despres è salito su uno dei piccoli buggy “specializzati” a ha aperto la portiera (si fa per dire) destra del suo OT3 a Mike Horn, l’esploratore sudafricano icona dell’avventura.
A parte i cinque titoli di Campione della Dakar in moto e i due del Silk Way Rally in auto, il resto è tutto nuovo. Così come è stato a più riprese per l’asso franco-andorrano, sempre disponibile a imbarcarsi in una nuova sfida. Mike ha maggiore esperienza con i grandi silenzi del grande freddo, e passa direttamente dal tavolo al cockpit dell’amicizia con l’obiettivo di… imparare correndo. Cyril è un buon maestro. A volte un po’ nervoso, ma un grande!
Avvicendamento in famiglia in Casa Sherco. Michael Metge si è fatto male in Marocco, un ginocchio in disordine, e il recupero va oltre i limiti di Jeddah. David Casteu ha così deciso di sostituire il suo asso con il… fratello Adrien, in panchina nel team Sherco TVS Rally Factory che già conta Jonnny Aubert, Lorenzo Santolino e Harith Noah.
Non proprio dell’ultimo minuto è la notizia del forfait obbligato di Andrea Mayer-Peterhansel, la moglie di Stephane che era parte dell’equipaggio ufficiale della Mini (Bahrain) John Cooper Works Buggy numero 302. Andrea non ha superato un vecchio problema legato all’equilibrio (che lo scorso anno sembrava debellato) e così la coppia più bella del mondo ha dovuto rinunciare, per il momento, al sogno di correre, e magari vincere, una Dakar insieme.
I coniugi Peterhansel si accontentano, per il momento, di aver conquistato la Coppa del Mondo Rally-Raid 2029, e su una delle Mini più accreditate (l’altra è nelle mani di Carlos Sainz e Lucas Cruz) sale il navigatore portoghese Paulo Fiuza, dieci Dakar all’attivo.
Le star più in vista sono spagnole. Forse perché nessuno le aveva viste riunite. Improvvisamente sono per la prima volta tutte insieme e esplode il delirio iberico. La prima e di maggiore grandezza è quella di Fernando Alonso, il Campione del Mondo di Formula 1 che si cimenta alla Dakar da perfetto rookie.
La seconda è Marc Coma, altre cinque vittorie in moto e tre anni da Direttore sportivo della Corsa, che altrettanto all’improvviso diventa il navigatore di Alonso sulla Toyota Hilux ufficiale.
Terza stella è Carlos Sainz, bi Campione del Mondo World Rally Car, che corre sulla Mini ufficiale insieme a Lucas Cruz, e quarta quella di Joan “Nani” Roma, vincitore in moto, 2004, e in auto, 2014, della Dakar, che porta in corsa insieme a Daniel Oliveras la Borgward BX7 assistita Wevers Sport. Opinioni discordanti sulla partecipazione e sulle qualità utili di Fernando Alonso. A me sembra una persona concreta e capace di trasferire il suo livello di talento in un’altra disciplina. Lui si accontenta di entrare con umiltà e molta curiosità, e si compiace di concentrare le sue possibilità in uno dei commenti inediti e più espressivi che arrivano dal suo Paese: “Fernando tiene dos cojones”!
Non è proprio l’ultimo minuto ma lo sembra, tale è il clamore che suscitò la notizia dell’abbandono del Sud America in favore del nuovo Continente. Per la seconda volta è Dakar 100% un solo Paese. La prima volta è stata… l’ultima sudamericana, Perù 100% magnificenza.
Per chi si chiede se l’Arabia Saudita è abbastanza grande da ospitare la maratona motoristica per definizione, diremo subito che il Paese “misura” un milione di chilometri quadrati, poco meno del Perù ma il doppio, per esempio, dell’Egitto dove è andato in scena uno dei più bei Rally-Raid della Storia, il Rally dei Faraoni, dieci giorni di Deserto e di Storia indimenticabili.
I deserti dell’Arabia Saudita sono non meno estesi, belli, colorati, suggestivi. La sabbia è “mas fina” rispetto a quella sudamericana, più difficile in certe condizioni, e si torna al concetto originale di “solitudine” caratteristico delle Dakar originali africane, alla navigazione complicata e vitale, alle notti gelate.
Si comincia. Palco di partenza in centro, poi la prima tappa.
Un momento e parliamo di cose più tecniche, di terreni, di Macchine & Piloti. Dei favoriti, dei Campioni in carica.
Buona Dakar a tutti!
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