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Toscana, 24 Dicembre 2019. Me ne sto a casa. Niente di meglio che festeggiare il Natale tra le colline toscane. Dunque innanzitutto Buon Natale, Buon Anno Nuovo, Buon Tutto. Da qualche anno è una bella tradizione: gli auguri di Buone Feste si inviano direttamente dal trampolino della Dakar.
Buon Natale Saudita, però. Al riguardo, ho sentito lamentarsi e essere contenti. Lamentarsi del fatto che avrebbero anche potuto chiedere se il nuovo indirizzo ci piaceva, prima di traslocare la quarantaduesima edizione (sempre quel numero che balla, a seconda che si conti o no anche la Dakar annullata del 2008) dall’America del Sud all’Arabia Saudita. Essere contenti, anche favorevolmente impressionati, grati, per la “sorpresa” accettata a priori come un regalo, un’opportunità inedita, una novità da accogliere senza riserve.
Tra gli estremi in questione (ammesso si voglia farne una questione) c’è tutto e di più, e più genericamente c’è che la Dakar, l’essenza di questa Corsa impossibile che sta da quarant’anni sul cielo del mito, e che è sempre e sostanzialmente… sorprendente.
Ci siamo, se n’è parlato già a lungo prima ancora che fosse una cosa reale, ma ora che i mezzi sono in… mezzo al Mediterraneo e navigano alla volta del “Capitolo 3” del Rally più duro del Mondo, e prima ancora di immergerci nella nuova Avventura, vorremmo quietare rispettosamente gli entusiasmi per risentire quel lungo brivido lungo la schiena che ha accompagnato dieci anni e undici edizioni di Dakar in Sud America.
Già. Si riparte dall’Edizione annullata clamorosamente quando tutto era già pronto e fibrillante. Da quel 4 Gennaio 2008 quando la trentesima edizione non s’ebbe da fare. Perché alla fine di Dicembre 4 turisti francesi e 3 militari mauritani erano stati uccisi in quel Paese che avrebbe dovuto ospitare metà del Rally. Dapprima si “sconsigliò” di aderire a una situazione che si legava a un rischio potenziale, poi il Governo francese (e le società assicuratrici) spinsero ASO a trasformare il messaggio in qualcosa di molto meno subliminale o soggettivo. Niente da fare. La Dakar 2008, alla vigilia della partenza da Lisbona, era annullata. Era la prima volta che succedeva.
Nel frattempo ASO aveva già allo studio un’altra corsa ambientata in America Latina, così la “proprietà intellettuale” di Tiziano Siviero, cui si dovevano già il Mondiale WRC Argentino e un affascinante Por Las Pampas Rally, venne fatta propria e rapidamente convertita nell’”alternativa”. L’unica, all’epoca, ragionevolmente praticabile. Per dieci anni Tiziano è stato il protagonista “in ombra” dell’Avventura sudamericana della Dakar. Di un’epoca, in verità.
E così fu. Sembrava difficile, impossibile, ma la Società organizzatrice dimostrò ancora una volta, se ce n’era bisogno dopo il clamoroso ponte aereo sui cieli del Niger nel Gennaio 2000, che non c’erano limiti all’estro, alla fantasia e alla potenza (anche economica) della Dakar.
La Dakar in Sud America è stata un bellissimo viaggio. Agonistico, mentale, emotivamente incalzante. Anche il nostro viaggio (link) lo è stato. Dieci anni, undici edizioni, qualcosa come 95.000 chilometri di Gara, oltre due volte il giro dell’Equatore di Avventura, di Esperienza. Tutto maiuscolo. D’improvviso, dopo quell’anno di sospensione, sono cambiate molte cose. Il Rally si è trasformato, la Dakar è rimasta sostanzialmente la stessa, la più grande Avventura che la storia del motorsport possa registrare. D’improvviso, è scoppiato l’entusiasmo sudamericano, dei sudamericani e dei nuovi, pacifici “conquistatori”.
Dalla solitudine alla moltitudine. Un nuovo modo di correre. Soli contro il Deserto per trent’anni, tra due ali di folla palpitante per dieci. Un viaggio meraviglioso, scandito da incredibili episodi sportivi. Vediamone alcuni, senza alcun criterio di ordine, attraverso la lente d’ingrandimento dei numeri.
Un motivo rilevantemente e incontestabilmente immutabile è stato il risultato di KTM, che ha vinto tutte le undici edizioni della Dakar Sudamericana. La Marca austriaca era arrivata in Argentina all’inseguimento del record di Yamaha, nove vittorie, dopo aver preso il volo nel 2001 con il primo successo firmato Fabrizio Meoni. Non altrettanto “stabili” i numeri espressi dai suoi Piloti, immancabilmente vincitori. Per i primi sette anni è andato avanti il duello decennale tra Cyril Despres e Marc Coma, concluso nel 2015 con la quinta vittoria, o del pareggio, di quest’ultimo. Cinque a cinque, i due assi superano Edi Orioli, 4 vittorie, e vanno ad appaiarsi a Cyril Neveu, il primo vincitore della Dakar. Despres aveva smesso un anno prima per lanciarsi nell’avventura delle auto con Peugeot, Coma avrebbe partecipato anche alle successive tre edizioni, ma con il ruolo di Direttore Sportivo del Rally. Dopo Coma, 4 vittorie in Sud America, e Despres, tre, si assiste a un cambio generazionale importante. KTM vince ancora le restanti 4 edizioni con Toby Orice, due volte, Sam Sunderland e Mathias Walkner. Ci hanno provato Joan Barreda, Kevin Benavides, Adrien Van Beveren, ma nessuno degli assalti di Honda e Yamaha è andato a buon fine. La sfida riprende in Arabia Saudita.
Sul fronte delle Auto si arriva in Sud America con l’esplosione delle Volkswagen, che non erano riuscite e vincere per sei anni di fila con la Tuareg 4 Ruote motrici e che ottengono le prime tre vittorie, rispettivamente con Giniel De Villiers, Carlos Sainz e Nasser Al Attiyah in una sequenza di record. La prima volta di un sudafricano, di uno spagnolo, di un qatariota, la prima volta di un diesel.
Successivamente l’affare Dakar resta sempre molto aperto. Alla fine dei dieci anni e delle undici edizioni, Stephane Peterhansel ottiene 4 vittorie portandosi a quota 7. Più le sei in Moto, entrambi i record sono del fuoriclasse francese, si capisce bene come mai lo chiamino “Monsieur Dakar”. Al Attiyah raggiunge Metge e Lartigue al livello delle tre vittorie e punta alle 4 di Vatanen, e gli altri tre successi della serie America Latina sono di Sainz, due, e Joan “Nani” Roma che ottiene la sua vittoria in Auto dieci anni dopo la prima in Moto.
Equilibrio quasi perfetto di suddivisione per Marche, 4 volte Mini, 3 Volkswagen e Peugeot, la Toyota vincitrice per la prima volta quest’anno. A ciascuna la sua epoca e la sua tripletta, o poker. L’epopea Peugeot è strabiliante. Un anno di attesa, poi il Dream Team diretto da Bruno Famin e composto da Peterhansel, Sainz, Despres e Loeb, esplode, sbaraglia il campo e ripete la leggendaria serie delle Grand Raid della fine degli anni ’90 portandosi a quota sette vittorie. Mitsubishi resta largamente al comando con 12 successi, intoccabile anche sommando alle sette vittorie Peugeot le 4 delle Citroen “figlie”. In ambito Camion nessuna particolare scossa all’egemonia Kamaz, nove vittorie sudamericane contro le due IVECO, record personale di Nikolaev con 4 successi. I record di categoria sono del “camionista” Chagin, sette vittorie, e dall’”Elefante Russo” Kamas, ben sedici.
Pern concludere la breve carrellata storica, numeri geografici e statistiche di popolazioni. L’Argentina ha visto la Dakar per dieci volte, 7 volte il Cile, 5 la Bolivia, 4 il Perù, che tuttavia vanta il primo record di “esclusiva” con la Dakar 2019 100% Perù, e una volta il Paraguay. Si parte con 500 partenti, si scende a quota 318 nel 2017, si sta spesso oltre i 400. 330 per la Dakar dell’addio sudamericano.
Emotivamente gli “episodi” della saga che resteranno nel cuore della Dakar sudamericana sono molti. Dal duello Al Attiyah – Sainz del 2010, due minuti di scarto al traguardo, all’assenza di Coma nel 2013, un incidente alla vigilia. Dalla vittoria di Roma del 2014 decisa da Sven Quandt, ufficialmente per non destabilizzare l’ordine delle cose introducendo elementi di rischio, all’avvento dell’Armata Peugeot e del suo Dream Team. Dall’arrivo di Dinamite Loeb nell’anno del primo “direttorato” di Marc Coma, alla tripletta Peugeot dell’anno successivo. Dai successi mancati con un tuffo al cuore alle vittorie record o inedite, all’eroismo di Price quest’anno, vincitore con un polso fratturato. Emozioni Dakar.
Avanti Arabia Saudita. Facci vedere!
Tanti Auguri a Tutti.