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Qiddiyah, Arabia Saudita, 17 Gennaio 2020. Non solo Ricky Brabec e Carlos Sainz. Loro sono le star assolute della 42ma Dakar. Non c’è dubbio. Brabec è quello che ha spezzato una tradizione quasi ventennale premiando un lavoro di Honda iniziato nel 2013, e che ha portato per la prima volta la bandiera a stelle e strisce sul gradino più alto del podio della Dakar. Scusate se è poco.
Carlos Sainz è un idolo tutti i giorni, anche per le vie di Madrid, ma è certo che questa terza vittoria alla Dakar lo imbottisce di nuove ragioni d’orgoglio. È la terza, con tre Marche diverse, ogni volta portando alla causa un contributo, agonistico e prima ancora tecnico, che ha dell’incredibile, e ogni volta riuscendo a emerge e svettare sul massimo livello della concorrenza.
Ma ci sono altri protagonisti, alla Dakar e della Dakar, che valgono il massimo, il riconoscimento del valore e dello spessore che portano all’evento, aprendo una finestra su altri mondi meno eclatanti, forse, ma di uguale caratura emozionale.
Sono le gare dei Quad, degli SSV, degli Elefanti del Deserto. Vediamo come è andata e chi è andato sul podio di Qiddiyah.
Quad. è stata la conferma del valore cileno alla Dakar. L’armata sudamericana era nutrita e forte, ma i cileni ci tenevano a considerarsi la bandiera del continente “ripudiato” al nuovo teatro della Dakar.
I cileni avevano motociclisti e piloti di Quad e di SSV in grado di vincere le rispettive categorie. Pablo “Quintafondo” Quintanilla, Francisco Lopez, a un certo punto magari Ignacio Cornejo, Giovanni Enrico e Ignacio Casale. Questi ultimi due hanno animato la fase iniziale della corsa dei Quad fino alla quinta Tappa, quando Enrico è stato costretto al ritiro.
Da lì in poi è stato monologo Ignacio Casale, che ha vinto quattro tappe ed è stato in testa alla corsa dalla prima all’ultima Tappa, ottenendo così la terza vittoria alla Dakar dopo i successi del 2014 e 2018.
Sul podio finale di Qiddiyah salgono, dunque, Ignacio Casale, Simon Vitse e il “Vecchio Leone” Rafal Sonik. Tutti con un Quad Yamaha.
La gara dei Camion, gli “Elefanti del Deserto”, è stata ancora una volta dominio dei russi Kamaz. Per un certo periodo, tuttavia, come in altre occasioni, c’è stato un Davide che è sembrato poter impensierire il Golia russo. Questi è il Camion “cugino” bielorusso Maz, guidato a un primo Exploit dall’Equipaggio Viazovich, Haranin e Zaparoshchanka, in testa fino alla terza tappa e poi scivolato al secondo e infine terzo posto finale.
Sui primi gradini del podio i Kamaz di Karginov-Mokeev-Leonov, vincitore di sette tappe e in testa alla corsa dalla quarta, e Shibalov-Nikitin-Tatarinov. Karginov, all’ottava Dakar, si era imposto anche nell’edizione 2014 con quattro vittorie di tappa.
Bellina-Minelli-Gotti sono stati travolgenti nel finale con il loro vecchio, valido Ginaf, Cabini-Verzeletti-Cabini, Unimog, e Calabria-Calubini-Fortuna, Man, completano l’Opera Italiana alla Dakar degli Elefanti del Deserto.
SSV del miracolo. Economico, forse anche. Infatti una “macchinina” vincente costa un terzo e forse meno di una “macchina”… perdente, fa divertire e da spettacolo. Cocktail vincente per la Dakar. È stata battaglia, incredibile battaglia. 7 vincitori diversi nello scorrere avvincente delle 12 tappe, 5 leader diversi fino alla sesta tappa, quando finalmente è andato in testa l’americano Casey Currie con un Maverick Can-Am di South Racing.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, Currie (che fa un meraviglioso, inedito paio americano con Brabec) non ha vinto una sola speciale, ma è stato indubbiamente esemplare nel gestire la delicata competitività dei piccoli quattro ruote riuscendo con regolarità assoluta, due secondi e due terzi posti, poi anche settimo/ottavo a parte la “rallentata” tappa finale del trionfo, ad avere la meglio su una lunga serie di magnifici ma frustrati exploit.
C’è un’altra gara nella gara, quella che premia la categoria Original by Motul. È l’”antica” Malles Moto, la gara che evoca da sempre il “martirio” dei Privatoni, costretti a far tutto da soli. Anche in questo senso la Dakar è evoluta parecchio, ma il concetto resta abbastanza aderente all’originale.
Niente assistenza, l’organizzazione ti porta una “malle”, una cassa nella quale deve stare tutto quello che pensi ti servirà, ti da un punto d’appoggio, il camion che trasporta le casse ma anche attrezzi, aria compressa, utensili e lubrificanti, naturalmente Motul, ma il resto è tutto nelle tue mani, nella tua testa e in quanto è disposto a soffrire e combattere il tuo cuore.
È stata subito battaglia tra il rumeno Emanuel Gyenes e il francese Benjamin Melot, neo Campione del Mondo Cross-Country Bajas. La guerra è venuta meno già dalla seconda tappa, Quando Melot è caduto e per un momento non si ricordava neanche chi era.
Ripartito un po’ acciaccato Ben ha ripreso la sua corsa e l’ha portata a termine, soffrendo il doppio, certo, ma senza mai riuscire a riprendere “Mani”, lontano più di un’ora in testa. Sul terzo gradino del podio dei “privatoni assoluti” un altro francese, Florent Cayssade.
Sul palco dei “puri” facciamo ora salire anche i nostri irriducibili, Super Dakariani “Original”, Alberto Bertoldi, Cesare Zacchetti, Mirko Pavan, Matteo Olivetto!
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