Dakar 2019. Alto Mare o Spiaggiata?

Dakar 2019. Alto Mare o Spiaggiata?
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Le iscrizioni aprono il 15 Maggio, oggi 14 doveva essere svelato il Percorso dell’Edizione 2019, ma l’annuncio è saltato. Trattative lunghe e estenuanti e un delicatissimo braccio di ferro tra ASO e ben 5 Paesi. XXX-Dakar numero 41
14 maggio 2018

Parigi, 14 Maggio 2018. A quest’ora, gli scorsi anni, era tutto talmente definito e definitivo (beh, sì, tranne nel caso dell’improvviso forfait del Perù di due anni fa) che le presentazioni ufficiali delle Dakar neanche facevano notizia. Quest’anno le cose vanno diversamente, molto diversamente, al punto che a un giorno dall’apertura delle iscrizioni si rischia di non aver nulla da presentare.

Le ragioni e le scelte sono poca cosa il giorno in cui tutto sarà deciso e si saprà che la 41ma Dakar si farà, in un modo o nell’altro, ma la storia interessante e un po’ preoccupante è che, quest’anno, ci si sta arrivando con grande difficoltà.

Nell’affrontare le trattative con i Paesi interessati a una partecipazione alla Dakar, infatti, ASO, la società che detiene Marchio, Organizzazione e diritti, ha dovuto muoversi su uno scenario il cui sfondo è cambiato più volte e su un terreno reso di giorno in giorno più instabile e insidioso. I funzionari di Amaury Sport Organisation, e Etienne Lavigne che è il Direttore della Dakar, hanno dovuto più volte cambiare passo e strategie, modificare i programmi della lunga “tournée” di trattative o, addirittura, ripartire da capo o da presupposti totalmente differenti da quelli che avevano promosso la negoziazione. Del resto, questa è un po’ la metafora di ogni Tappa della Dakar. Caratteristiche e sviluppi chiari e definiti sulla carta, può succedere ed è successo più volte che, per ragioni che divergono da quelle previste o per il mutamento delle condizioni iniziali, si debba cambiare rotta, tempistiche o, addirittura, cancellare.

Diciamo subito che la grande questione economica, fenomeno limitato nella Dakar euro-africana ma fondamento per molto tempo sconosciuto sul quale poggia da dieci anni, ormai, la “tracciatura” del percorso della Dakar, è entrata in un’era difficile, forse cruciale. Per dieci anni il rapporto tra ASO e i Paesi “candidati” è stato semplice e chiarissimo. “Investire” per ospitare il passaggio, la partenza, la giornata di riposo o l’arrivo del Rally, con l’obiettivo di un “ritorno” calcolato sulla somma degli introiti diretti, soprattutto a livello di infrastruttura ricettiva, e indiretti o di “equivalente” immagine, ovvero di pubblicità per quel Paese realizzata e diffusa dalla formidabile macchina di comunicazione della Dakar. Tale valore corrisponde a quello che in Sud America chiamano il “canone”.

Trattativa economica, ovvero soldi. Cifre da capogiro. Vediamo. La valuta è il “Verde”, il dollaro americano in Sud America, l’unità di misura il “Palo”. Un “Palo” è un milione di dollari. Infine la quantità. È una cifra indefinibile a priori e che si compone in funzione delle circostanze, nell’ultimo periodo oggetto di accentuata e volubile considerazione. Quest’anno una partecipazione seria poteva equivalere, stando alle “indiscrezioni”, a un ammontare compreso tra i quattro e i sei “Pali”. Questo per il solo “canone”. Sicurezza, ordine pubblico, messa a disposizione dei siti e preparazione dei bivacchi sono a parte.

Facciamo un passo indietro. Negli anni d’oro la trattativa è stata cosa facile e spedita. C’era un enorme entusiasmo per la Dakar sbarcata in Sud America e molti Paesi avrebbero fatto carte false pur di ospitare sul proprio palcoscenico il Rally più duro e difficile del Mondo. In un rapporto così vantaggioso tra domanda e offerta, ASO poteva giocare al rialzo, imporre le condizioni e far lievitare i “Pali”. Con così tanti Paesi a contendersi uno spazio limitato a due o tre soltanto, c’è stato un momento in cui Lavigne ipotizzava il disegno di una grande Dakar-Sorriso dal Cile al Brasile attraverso l’America del Sud, e l’assegnazione dei ruoli di anfitrione poteva seguire una trattativa su base d’asta.

Poi le prime battute d’arresto. Intanto il lato meno “sportivo” del Rally era diventato di dominio pubblico, poi sono cominciate ad apparire le prime incrinature del sistema. Problematiche diverse che si inserivano turbando l’atmosfera della trattativa, di solito a matrice ambientale, archeologica, sociale, ma anche alcuni “sgarbi” o scivoloni comportamentali, poi i cambi di governo o dei funzionari preposti alla “discussione”, buchi temporali o improvvisi vuoti di interlocutore che rendevano via via più impervia la piattaforma della negoziazione. Sono circostanze che hanno reso più critico il protocollo d’intesa e che hanno generato le prime inversioni di tendenza. Il Cile che rinuncia, il Perù che fa marcia indietro dopo aver garantito, l’Argentina che inizia a rivendicare un ruolo chiave, e dunque il “valore” di qualcosa che, fino a quel momento, aveva dovuto pagare profumatamente. Sull’altro piatto della bilancia, l’arrivo di altri Paesi sudamericani interessati alla “spedizione”, Bolivia, il Paraguay dell’isolata partecipazione 2017, nuove candidature o “ri-candidature”, Uruguay, Perù, Cile, Ecuador, contribuivano a tenere a galla il sistema, il protocollo e, non ultima, la Dakar.

Torniamo ai giorni nostri. Non si era neanche all’epilogo di un’edizione a mio avviso eccezionale, oserei dire perfetta come quella del 2018, l’ultima da Direttore Sportivo di Marc Coma di cui risuona ancora l’eco, che sembrava cosa fatta. Fatta, originale, inedita. La Dakar 2019 si sarebbe corsa sull’asse Cile, Perù, Ecuador. Il Perù magnifico del territorio e della storia, dell’entusiasmo, delle dune, del ritorno alle Dakar “originali”, il rientro del Cile dopo tre anni, quasi per acclamazione, e l’ingresso dell’Ecuador, un nuovo Paese, credo il trentesimo nell’élite del Rally-Raid-Avventura per definizione. Progetto di Dakar stupenda! Suonava un po’ sconcertante la fuoriuscita dell’Argentina, immancabile da dieci anni, dall’inizio, e un po’ strana quella della Bolivia, ma nessuno si sarebbe strappato i capelli o si sarebbe messo a piangere per l’assenza del Paese della pioggia e dell’altitudine nella testa. Per la sua Gente magari sì. Insomma, sembrava il sogno inevitabilmente realizzabile di una stupenda volata da Santiago a Quito, sulle rive e sulle dune del Pacifico e con un magnifico scalo tecnico a Lima.

Da lì in poi molte cose sono cambiate. Il primo Paese a cambiare le carte in tavola è stato l’Ecuador. Sì, avevamo detto che ci saremmo stati, ma intendevamo prima o poi. Diciamo poi, nel 2020. Spaventati dalla fretta di concludere? Dall’importo sul “preventivo”? Non importa saperlo, l’Ecuador aveva infranto il sogno in quattro e quattr’otto, rimettendo la questione nelle mani dal cartaio. Fuori Ecuador, ma sempre buoni Cile e Perù, tornavano automaticamente in ballo Bolivia e Argentina. La Bolivia per quella rassicurante sensazione del contante in tasca, l’Argentina come una necessità. Ma ecco che il Governo argentino nicchia, si orienta su un “no” in favore di un ritorno della Formula 1, e dei chiacchierati sei “Palos” neanche parlarne. Resta una porta socchiusa, la possibilità di una partecipazione ridotta, questa volta di “transito” e a carico non più del Governo centrale ma delle Provincie interessate, tipicamente Salta, Catamarca o Jujui.

Inizia il braccio di ferro con il Cile. All’inizio pare solo una questione di tempo, di poltrone, di ricostruzione definitiva dello scenario della negoziazione. Poi si riaffaccia il problema economico, ma sembra sia solo questione di giorni, di trovarsi per sistemare i dettagli e apporre la firma del ritorno del Cile nel grande circuito della Dakar. Ma la firma non arriva, e le voci si rincorrono dondolando un’altalena di offerte e controfferte. Si sarebbe scesi abbondantemente al di sotto dei 5 “Pali”, ma alla fine invece di convergere, sarà l’enfasi del gioco delle parti, le posizioni divergono. Si dice che ASO offra una tariffa iper-scontata a quattro, ma che il Cile non sia disposto a pagare un “verde” più di due “pali”.

Se la Dakar resta solo in Perù c’è già stato l’Incas Rally di Mr. Franco. Se va in Brasile c’è già stata la Lima-Rio di Mr. Franco. Per una Dakar originale, sempre stando così le cose, ci vuole almeno la Colombia

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È l’impasse, e in 24 ore si avvicendano certezze opposte, apparentemente inspiegabili. Al mattino Cile sì, chissà quale compromesso per far incontrare due “interlocutori” così distanti, nel pomeriggio Pauline Kantor, Ministro dello Sport del Cile, anticipa con un tweet la decisione definitiva, poi confermata a livello governativo: è il “no”, accompagnato da motivazioni rapide, che suonano di circostanza ma non saprei, misure di austerità, bambini e anziani, investimenti nello Sport e non in un solo Sport. Se ne riparla per il 2020, a patto che si faccia la massima attenzione ai patrimoni culturale e ambientale.

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Un’altra voce si solleva alta sul “dramma” cileno. Anche la Bolivia starebbe facendo marcia indietro. Effetto domino? Che anche Evo Morales abbia deciso di “valorizzare” l’essenzialità del Paese reclamando, anche lui, lo “sconto” indecente? Altro che volo Santiago-Lima-Quito! Il Perù dell’unico “sì” è ora circondato, assediato dai “no” e dai “forse” di Cile, Bolivia, Equador. Stando così le cose non se ne esce. Da capo. La delegazione ASO riparte per La Paz. La Bolivia è necessaria se si ipotizzano due tappe in Argentina e un arrivo per esempio a Salta.

Le iscrizioni si aprono il 15 Maggio, lunedì 14 è in programma un annuncio ufficiale di Lavigne nel quale Etienne Lavigne deve svelare il percorso, almeno quello di massima, della Dakar 2019. La conferenza è annullata. “Los países anfitriones nos han trasladado elementos nuevos que obligan a posponer el anuncio del recorrido 2019”. L’Italiano non è tra le lingue di diffusione ASO delle ultime news.

Colombia e Brasile, per ritrovare a denti stretti e casse vuote quel sorriso sognato qualche anno fa? Paesi che hanno i loro problemi, ma se la Dakar resta solo in Perù c’è già stato l’Incas Rally di Mr. Franco. Se va in Brasile c’è già stata la Lima-Rio di Mr. Franco. Per una Dakar originale, sempre stando così le cose, ci vuole almeno la Colombia.

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