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La Paz, 12 Gennaio. La carovana lascia il Perù a Disaguadero, cento chilometri da Puno sulla strada che costeggia il Lago Titicaca. Dopo i passi andini gelati e sferzati da pioggia e neve, la vista del Lago rincuora, ma ci sono ancora trecento chilometri prima di arrivare a La Paz. La stanchezza arriva presto, è già in Macchina da giorni. E l’arrivo a La Paz è un po’ come un miraggio. Il sogno della giornata di riposo. Si entra nella mezza Capitale boliviana scendendo da El Alto, la nuova urbanizzazione che sovrasta la vecchia città e che ormai conta quasi gli stessi abitanti dell’abitato che occupa l’intera, sconfinata valle.
Da El Alto a La Paz, alla caserma Gualberto Villaroel che ospita come lo scorso anno il bivacco della giornata di riposo, sono una trentina di chilometri. È un tunnel di gente in delirio, si fa fatica ad avanzare, e per quei trenta chilometri si è tutti degli idoli. Benvenuto commovente, da far accapponare la pelle.
La giornata di riposo è cortissima, il mattino si salva ma la sera piove. Gocce grosse, fastidiose, fanno rabbia. Non c’è pace. Tutti al lavoro. Alla sera le facce sono rasate, ma non hanno l’aria riposata di altre occasioni. Il Perù e le sue stupende, infernali dune ha lasciato tracce vistose. Il Perù fantastico, vero ritorno all’essenza originale della Dakar, ha falcidiato la “Carovana Multicolor”. 150 tra Moto e Quad, 70 tra Auto e SxS, 30 Camion hanno il diritto di lasciare La Paz continuando la Corsa verso il Salar di Uyuni e il Sud della Bolivia, quindi in Argentina entrando da Salta e arrivando a Cordoba. Per tutti gli altri è la disfatta, mai come quest’anno con onore.
Tra le Moto è bagarre aperta e franca. Kevin Benavides sostituisce un altro leader, Adrien Van Beveren che ora è secondo a un minuto. Terzo Mathias Walkner, suo podio senza aver vinto una sola Tappa. È un segnale anche questo, ma l’allarme rosso è il Barreda troppo veloce che nell’ultima Tappa peruviana ha fulminato gli avversari e recuperato due terzi del ritardo con il quale si era punito sbagliando strada. È a nove minuti, vediamo cosa sa fare il catalano. È la sua occasione, diciamo l’ultima Gli italiani alla partenza da Lima ci sono tutti, Botturi e Cerutti nei primi 30, Gerini e Ruoso tra i 40, Vignola, Metelli, Bertoldi e Minelli sgranati più indietro. Bravi tutti. No, bravissimi. Se ci fosse un premio alla qualità la loro Dakar l’hanno già vinta. A memoria mi viene in mente l’ex motociclista, poi fuoriclasse con i Quad, ora transfuga tra i Side by Side, Camelia Liparoti, che corre insieme a Angelo Montico. A La Paz a mezzanotte, in lavorazione al capolinea di una Dakar impietosa per troppi. Ce la facciamo?
Le Auto. Stephane Peterhansel è lanciato verso il 15° Titolo. Se non dovesse arrivare certamente farebbe più notizia, ma la mezz’ora di vantaggio su Carlos Sainz sono il tesoro dei Pirati. Non ci sono grandi alternative all’orizzonte. Le Toyota di Ten Brinke (bravissimo), Al Attiyah (nervoso) e De Villiers (il solito), fanno mucchio ma poca scena con un ritardo che va dall’ora e venti all’ora e mezza. un abisso. Il resto della concorrenza è sparito. L’unica Mini “tradizionale sopravvissuta alla clamorosa disfatta è quella di Przygonsky, il buggy di Hirvonen è un’altalena di alti e bassi, interessanti ma fuori gioco. Meglio concentrarsi sull’Italiano. Eugenio Amos ha fatto furore nella penultima peruviana, poi ha sofferto un problema al cambio e l’altitudine, ma è ancora nei dieci e ormai fa coppia fissa con la Peugeot privata di Al Qassimi. Bella storia tra i due gentlemen, ma la notiziona da ritagliare è quella dell’Italiano che si fa notare. Stefano Marrini è fuori dalla seconda Tappa, le dune hanno ucciso il motore della sua Macchina.
Il Camion è un’altra storia, e questa volta pesante come quelle delle altre categorie. Nikolaev è in testa con un’ora di vantaggio. La novità è che è da solo. Alle sue spalle tre Marche, l’IVECO di Villagra, il Maz di Viazovich, il Liaz di Macik prima di trovare l’altro Kamaz di Sotnikov. Gara dura, quante volte l’abbiamo già detto? Una di più, per dirvi che anche gli Elefanti del Deserto devono rispettare la legge della decimazione. Meno sarcasmo, e più sfortuna. L’anno scorso Varzeletti & Co. sono riusciti a portare al traguardo le Panda, quest’anno sono stati fermati da un fuori tempo massimo di venti minuti! Fuori, dunque, gli Unimog di Cabini-Verzeletti-Cabini, di Calabria-Fortuna, di Montecchio-Calubini-Cabini. Cose che capitano.
Ancora tanta strada da fare. Sei giorni andati ma ne restano otto, fatti poco più di tremila chilometri ma altri quattromila davanti alle pagine del road book, Lima, Pisco, San Juan de Marcona, Arequipa e La Paz alle spalle, ma Uyuni, Tupiza, Salta, Belen Chilecito, Fiambala e San Juan prima di Cordoba, il Perù su passaporto ma non ancora Bolivia e Argentina
Ancora tanta strada da fare. Sei giorni andati ma ne restano otto, fatti poco più di tremila chilometri ma altri quattromila davanti alle pagine del road book, Lima, Pisco, San Juan de Marcona, Arequipa e La Paz alle spalle, ma Uyuni, Tupiza, Salta, Belen Chilecito, Fiambala e San Juan prima di Cordoba, il Perù su passaporto ma non ancora Bolivia e Argentina. Sulla carta, insomma, solo un terzo di Dakar in Archivio. Ma quel terzo è stato micidiale. Che non sia un timore da portarsi dentro anche nei prossimi giorni? Intanto, adesso le lunghissime tappe boliviane, tempo incerto, freddo che annuncia più freddo, lunghe distanze da coprire in poco tempo per “scappare”. E intanto la prima Marathon, a Uyuni.
Peccato La Paz e le sue meraviglie d’intorno, inaccessibili ad una vacanza corta e nervosa, con il sonno rimasto addosso e l’ansia di non essere che all’inizio. L’avventura continua, questo è certo. Molti se ne lamentano, per lo più quelli che non sono mai contenti, che non avevano mai conosciuto la Dakar o non avevano potuto ancora sapere di che si tratta veramente.