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La Paz, 11-12 Gennaio. Saltiamo sulla Macchina, la 3008 è ormai stipata di ricordi del Perù, per un pelo non abbiamo caricato sulle barre del tetto un barchino di Totora degli Uros. Scendiamo lungo la 3S, a volte quasi sulle rive del Titicaca che stiamo per lasciare, il paesaggio si dirada in una sequenza di villaggi sempre più isolati, e il cielo sembra calare sul cofano della Macchina, gonfio e pesante di nuvole. C’è grande differenza tra i paesaggi dell’altopiano e la sensazione di “livello del mare” del Lago. Lassù è come stare davanti a un gigantesco altare naturale, una sensazione di rispetto quasi liturgica ad ogni colpo d’occhio, sempre sensazionale, che si apre allo sguardo dopo un dosso o al superamento di un tornante. Quaggiù è più… deserto, più “niente” a perdita d’occhio, e solo la vista del Lago incute un certo “timor di dio”. Non è difficile, tuttavia, riunire le sensazioni dell’altura e del Lago magico nel grande senso di bellezza silenziosa che ispira l’immenso affresco della natura peruviana. E non è che una parte, un angolo dell’immenso tableau. A Desaguadero attraversiamo il ponte sullo stretto braccio di Lago che separa Perù e Bolivia. Sappiamo cosa ci aspetta, è una linea di confine più netta di quanto la rapida burocrazia faccia credere. Andiamo avanti. Siamo rimasti ancorati con la mente a quello che abbiamo visto e vissuto alle nostre spalle, e non ci siamo ricordati che, andando in Bolivia, è sempre meglio prendere… provvedimenti. Cambia tutto. Non solo la moneta, quasi quattro Nuovi Sol Peruviani per un Euro, ora oltre il doppio di Bolivianos, o il costo della “vita” che scende grosso modo di un altro terzo, o la benzina a un terzo. Urge una precisazione. Parliamo di costo della vita, ma il riferimento è impreciso. Si tratta piuttosto del costo… della vacanza, ovvero di quanto costa a noi stare in Perù, in Bolivia o in Argentina. Per peruviani, boliviani e argentini, quel terzo o i due che risparmia un europeo sono valori privi di sostanza, e importa loro ben poco quanto sia forte uno stipendio europei… in trasferta. Senza addentrarci in una materia che deve tenere conto di un’infinità di fattori, soprattutto sociali, geografici, economico-politici, vi suggeriamo, a titolo puramente indicativo, di spulciare un poco, vedere quanto e come si guadagna nel Mondo, e condividere un certo imbarazzo.
D’improvviso il problema non è quanto spendere, ma… come. Se non hai fatto gasolio devi contare sull’’autonomia” residua, per fortuna la 3008 ha quasi 1.000 chilometri nel suo pieno, se non hai rifornito la cambusa dovrai razionare le ultime provviste, e se non hai cambiato i soldi…
Dai, dimentichiamoci dei problemi dell’Umanità e torniamo ai “drammi” del nostro Viaggio. D’improvviso il problema non è quanto spendere, ma… come. Se non hai fatto gasolio devi contare sull’’autonomia” residua, per fortuna la 3008 ha quasi 1.000 chilometri nel suo pieno, se non hai rifornito la cambusa dovrai razionare le ultime provviste, e se non hai cambiato i soldi… poco male, non c’è verso di spenderli e non passerai mai per uno scialacquatore. Io ho la tendenza a preoccuparmi, un po’ ansioso, Mr. Franco è la “medicina”: “Abbiamo tutto e molto di più, tutto quello che arriva davanti agli occhi di chi ha il privilegio di viaggiare!” Felici, comunque fino a La Paz andiamo in sospensione, veleggiamo. Poco carburante, patatine già finite e rotoli di Nuovi Sol ormai inutilizzabili. Certo, è spesso la regola dei lembi di terra di nessuno, ma tra Perù e Bolivia è una “caratteristica” che si “nota”! Scendiamo rapidi e decidiamo di passare per El Alto, la città “fantasma” cresciuta come un fungo che domina su La Paz. Rispetto all’impressione desolante che conservavamo dal precedente passaggio, le cose sembrano migliorate, come se l’urbanizzazione selvaggia e incontrollata avesse generato una sorta di reazione di rigetto e, ora, la nuova città cercasse di correre ai ripari. Sia chiaro, un po’ più di ordine e un po’ meno caos, tutto lì. Sostanzialmente resta molto, forse troppo da fare, contro il tempo e l’espansione che gioca contro. L’accelerazione di crescita di El Alto non si può fermare. L’agglomerato eternamente provvisorio nato dal lavoro di ferrovie, gas e aeronautica civile, e cresciuto nell’intolleranza delle sue rigide dissidenze, ha sorpassato La Paz da tempo e viaggia spedito verso i tre milioni di abitanti. È facile capire come… non si possano più affrontare problemi che solo una accurata pianificazione preliminare avrebbe consentito di evitare. Noi, in ogni caso, nessunissima voglia di fermarsi e, ancor più forte, la sensazione che meno resti e meglio è. È possibile che il “periferone” si sia dato una pulita al viso per il passaggio della Dakar, ma penso che la buona impressione dipenda più dal… meteo, questa volta sole pieno invece della pioggia torrenziale, e dalle strade di terra invece che di… fango. Passiamo veloci e scendiamo nel “catino” di Nuestra Señora de La Paz, confidenzialmente La Paz.
Come l’anno precedente la Città è paralizzata per l’arrivo della Dakar anche se, nei giorni precedenti, ci sono stati dissenso e manifestazioni di protesta, più per richiamare l’attenzione sfruttando la cassa di risonanza che veramente contro la Dakar. Comunque, quando arriviamo noi, Evo Morales ha già messo le cose a posto e ci facciamo largo a fatica tra due ali di folla in delirio. È ancora l’autentica , strepitosa festa nazionale che dura per tutto il tempo in cui il Rally vive in Bolivia. Scesi fino al Colegio Militar Villaroel, “bivacco” della 40a Dakar, la nostra Peugeot entra in modalità Wende. Altro che parcheggio o guida autonomi! Fermiamo e salgono a bordo Kenny e Yannick Wende, i padre e figlio “Corleone” che già hanno guidato la nostra avventura nella (quasi) Capitale Boliviana un anno prima. Se avete degli amici come Yannick e il padre siete in una botte di ferro. Dopo una settimana di viaggio e migliaia di chilometri, la tensione crolla a zero. Relax assoluto, poche istruzioni e ci mettiamo nelle mani di Yannick, che assume il comando dell’Astronave. Come al solito il problema, per i nostri anfitrioni, è il pass. La Dakar è spietata e non basta essere disposti a pagare il biglietto per visitare lo zoo. In realtà i lasciapassare sono bene in vendita, nulla è gratis alla Dakar e tutto è commercio, ma solo a determinate figure “professionali”. Otteniamo i Pass da una di queste, uno scambio di favori tra amici, e risolviamo. In Bolivia piove. Questo lo abbiamo accertato con precisione, e con altrettanta precisione possiamo affermare che anche d’estate fa freddo. La ragione principale è l’altitudine e lo scontro dei sistemi metereologici alle quote dei Paesi andini, poi c’è l’”estate boliviana”, infernale Bastian contrario meteo, e infine la variabilità tipica dei fine stagione. Morale: questa volta abbiamo le tute da acqua!
Anche la Dakar si ferma a La Paz. Nell’ultima Tappa prima del riposo vincono Antoine Meo, KTM, e Carlos Sainz con Lucas Cruz, Peugeot. In testa alla corsa delle Moto è salito l’argentino Kevin Benavides, Honda, due e quattro minuti a Adrien Van Beveren e Mathias Walkner, Joan Barreda è quinto a nove minuti. La Gara delle Auto sembra stabilizzata. Al comando due Peugeot 3008 DKR Maxi, Stephane Peterhansel con Jean-Paul Cottret e Sainz-Cruz separati da mezz’ora, e per il terzo posto se la giocano ancora, una bella ora indietro, le tre Toyota di Ten Brinke-Perin, Al Attiyah-Baumel e De Villiers-Von Zitzewitz.
Siamo a casa. Strana sensazione, quella di arrivare in un luogo visto un anno prima per un giorno, un luogo tanto complicato, intricato, “denso”, e sentirsi perfettamente a proprio agio. A casa. È quello che chiameremo “Effetto Wende”. Kenny e Yannick, padre e figlio. Yannick, 31 anni, è l’ultra Campione di Downhill del suo Paese, promotore di importanti progetti di conservazione ambientale legati alle Ande Boliviane e inventore della Las Animas Challenge, crono scalata in mountain bike ormai mitica. Kenny, 65, anch’egli di La Paz, è il "Monsieur Downhill", pioniere dello Sport e figura storica delle competizioni di Mountain Bike in Bolivia. Se l’altopiano incute una forma di rispetto religioso, La Paz incute rispetto… pratico. Una città perennemente impressionante. Spalmata sulle pareti dell’immenso “imbuto” dominato dal tridente innevato dell’Illimani, La Paz è la vittoria dell’ingegneria urbana sulla legge di gravità, delle casine incollate alle pareti della montagna e l’una all’altra, e poi una sopra e una sotto per stipare il galoppante milione di abitanti sempre più stretto nella vallata circolare. L’effetto imbuto è chiarissimo quando piove. E la pioggia a La Paz, e in Bolivia in generale, non è mai “all’inglese”. Centinaia di corsi d’acqua si gonfiano all’inverosimile, le strade vengono in aiuto al defluire delle enormi masse d’acque, il senso di bagnato è quasi di immersione. Il “bivacco” della Dakar è allagato, una situazione grottesca, quasi comica di irrimediabile disagio, che proprio perché tale diventa tollerabile. Rinunciamo alla “mensa ufficiali” e andiamo a fare la spesa, si mangia dai Wende.
Scaffali pieni di pasta in tutti i formati conosciuti, ma nessuna marca che ci dica qualcosa. Solo la grafica del package ci riporta vagamente ai riferimenti delle nostra “cultura”, ma resta una questione d’immagine
Supermercato di La Paz. La Squisita, La Napoli, la No So Che. Scaffali pieni di pasta in tutti i formati conosciuti, ma nessuna marca che ci dica qualcosa. Solo la grafica del package ci riporta vagamente ai riferimenti delle nostra “cultura”, ma resta una questione d’immagine. È il cibo “parallelo”, basato sull’esportazione e lo sfruttamento dell’immagine, ma non della qualità. Quella resta a casa. Come la pasta, così i “chianti”, nome proprio degenerato in decenni di allegre e disinvolte falsificazioni, o come la Sambuca “italiana!” offertaci a Buenos Aires e distillata nei pressi di una raffineria (di petrolio) livornese! L’italiano all’estero fa gola, ma spesso l’italiano all’estero, inutile indorarci la pillola, fa schifo.
Tiriamo qualcosa giù dagli scaffali, distrattamente perché improvvisamente alla ricerca di un buon esempio di Tarija per un incontro felice con il vino d’altura. Yannick ci aiuta e finiamo fuori dalla regione magica con un 1750 di Samaipata, che non è l’anno di produzione ma l’altitudine a cui Uvairenda coltiva la sua uva Tannat. Si rivelerà eccellente. Parlando del più e del meno gastronomico nasce una singolare soluzione di cena. Yannick, atleta di riferimento del suo Paese, è sponsorizzato da un’Azienda che distribuisce la Quinoa. Veniamo a sapere che nel Nord del Salar di Uyuni, e solo lì, si coltiva la migliore qualità del pianeta, non per caso chiamata Quinoa Real. È il particolare microclima, temperature e umidità, soprattutto la salinità dell’aria e l’effetto dei venti. Una tantum, il nostro abituale menù pagano diventa sacro, e nutriamo contemporaneamente stomaco e anima!
Immagini: Piero Batini – Nikon