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12- Tupiza-Salta, 15 Gennaio. Mr. Franco si accomoda meticolosamente sul sedile di guida. Apre una nuova confezione dei suoi ormai famosi guanti da lavoro, 2018 edition in giallo Acerbis. Regola distanze e inclinazioni di sedile e volante della 3008, la luminosità della strumentazione, specchietti e temperature. Tutto al rallentatore. Si allaccia la cintura di sicurezza come fosse una cravatta. Preme il pulsante di avviamento, impugna il volante e mi guarda sereno, olimpico: “Vamos!”
Di solito il protocollo è più sbrigativo, anzi non c’è nessun protocollo. Questa volta è quasi cerimonioso. Chissà, penso io, forse Mr. Franco è in giornata liturgica. Mentre il motore viene aiutato ad andare in temperatura lentissimamente, anche questo è un rituale insolito, Mr. Franco apre la grande carta stradale del Cono Sud, sempre a portata di mano tra tetto e aletta parasole, e scorre con il dito la rotta. Lentamente. Poi il dito si ferma. “Salta!”
Il tono con cui ha detto “Salta!” dirada la nebbia di colpo, finalmente capisco, mi ricordo e approvo: “Salta!”.
Sono circa 500 chilometri. Niente di che, siamo abituati a ben altro, ma il fatto è che sono anche quei 500 chilometri che sembrano cambiarti la vita. Lo diciamo, e lo sentiamo, a ragion veduta, perché ci son motivi oggettivamente forti e altri psicologicamente sottili, che si intrecciano fittamente in un nodo che si sbroglia man mano che si attraversa l’ultimo tratto di Bolivia e si entra in Argentina.
La prima sensazione che ci viene in aiuto è la progressivamente migliore ossigenazione man mano che si scende di quota. Si passa, come abbiamo visto, dai 2.850 metri sul livello… andino di Tupiza ai 1.150 di Salta, con un differenziale di ben 1.700 metri che si sentono subito. Dopo i giorni dell’altura, è una sbornia di aria, di ossigeno. Cambiano radicalmente il paesaggio, la temperatura, i colori. La direttissima percorre dolcemente una lunga valle che incatena paesi, villaggi, campi coltivati e cittadine meravigliose. Se, invece, avessimo voluto variare ancora di più, c’è sempre il periplo a Ovest, dal Salar Salinas Grandes, direzione San Pedro de Atacama, Cile, e svolta secca a Susques sullo sterrato che porta a San Antonio de los Cobres, Santa Rosa e, infine, Salta abbordata da Ovest. Non solo 150 chilometri in più, ma gran parte del tragitto in fuoristrada, su sterrati e sassi, qualche guado che è sempre fonte di inquietudine e molto tempo a velocità relativamente ridotta. È il percorso che abbiamo fatto un anno prima, andata e obbligatoriamente ritorno in un giorno di tempesta sub andina. Certo, questo viaggio richiede un altro… stato d’animo, che non è quello che traspare dallo sguardo di Mr. Franco e che, ovviamente, è perfettamente in sintonia con il mio.
I primi cento chilometri sono ancora di ambientamento, di acclimatamento. Abbiamo chiaramente in testa, al centro dei nostri pensieri, il nostro obiettivo, ma facciamo ancora finta di essere in piena avventura e di non sapere dove andremo e per dove passeremo. Aiuta a non farsi prendere dalla fretta.
A la Quiaca, subito dopo Villazon, attraversiamo la frontiera tra Bolivia e Argentina. È l’ultima del viaggio, abbiamo lasciato alle spalle il Paese più duro della Dakar degli ultimi anni e entriamo in quello che abbiamo visto più volte, in lungo e in largo. È un po’ come tornare a casa, rientrare in un contesto più familiare e, per questo motivo, più facile da gestire. In realtà la prima impressione che si ricava dal passaggio di quel confine e in quella direzione, è che la vita diventa enormemente più facile. A parte il fatto di respirare meglio e di sentire sulla pelle e nell’aria il tepore di una quota assai più “umana”, la vita si anima. Più gente per le strade, traffico, paesi vivaci e operosi, mercati, edifici addobbati e ben mantenuti, le vie dei villaggi, asfaltate, in pietra o terra, che diventano il centro di un generale pullulare di attività. Anche mangiare, bere, dormire, rifornirsi è più facile e piacevole, più vario nelle scelte e godibile nei risultati. Argentina batte Bolivia. Ci fermiamo al primo villaggio, Abra Pampa, e giù empanadas e birra.
A parte il fatto di respirare meglio e di sentire sulla pelle e nell’aria il tepore di una quota assai più “umana”, la vita si anima. Più gente per le strade, traffico, paesi vivaci e operosi, mercati, edifici addobbati e ben mantenuti, le vie dei villaggi, asfaltate, in pietra o terra, che diventano il centro di un generale pullulare di attività
Poi ci soffermiamo a Tres Cruces, a Humahuaca, deviamo leggermente sulla vecchia rotta del deserto di sale e ci fermiamo, questa volta con intenzioni più chiare, a Purmamarca. Ne soffrirà un poco la tabella di marcia ma ne gioirà lo spirito, intensamente. Purmamarca è il Paese che abbiamo eletto, arbitrariamente e facendo torto a Humahuaca, a Capitale della bellissima regione della Quebrada che è una sorta di fascia di demarcazione, circa 150 chilometri, tra gli altopiani andini e le valli più a Sud nella provincia di Jujui. La gola è caratterizzata dalla conformazione e dai colori delle rocce, autentici caleidoscopici naturali visibili che caratterizzano la Serrania di Hornocal, la “Tavolozza del Pittore” e, affacciandosi da qualsiasi finestra o porta di Purmamarca, un’esemplare sequenza di paesaggi mozzafiato. La vista di tali meraviglie merita una visita prolungata, che abbracci almeno un ciclo di sole in modo tale da apprezzarne i cambiamenti. Noi ci siamo riusciti… in un anno. La prima volta con il maltempo dal tramonto all’alba, la seconda quest’anno a mezzogiorno e dintorni, con il sole alto e forte. Se dovessimo darvi un consiglio, e ve lo diamo, Mr. Franco e io, diremmo che è imperativo passare nel pomeriggio giù da Humahuaca e Tilcara, andare oltre e fermarsi a Purmamarca con l’intenzione di restarvi fino al mattino successivo. In questo modo e con queste tempistiche, così come lo è stato per noi un anno prima con il cielo da grigio e plumbeo, è possibile apprezzare l’effetto di saturazione dei colori, immagazzinare sensazioni da capogiro e passare una serata magnifica. In ciascuno dei Paesi citati, in ogni caso, è possibile fermarsi e godere della migliore tradizione locale in termini di ospitalità e ambientazione, atmosfera.
Ci fermiamo per una lunga ora di pranzo a Purmamarca, poi la siesta per le vie della cittadina un po’ “hippy”, infine ripartiamo.
Passiamo da Volcan, il paese travolto dall’inondazione che ci costrinse alla rotta di Salinas Grandes e San Antonio de los Cobres un anno prima, e saltiamo a pie’ pari San Salvador de Jujui per gli ultimi 150 chilometri, che questa volta ci beviamo tutti d’un fiato. Facciamo anche uno sforzo immane e passiamo dall’immenso Centro de Convenciones dove è stato fissato il Bivacco più rilassato della storia della Dakar sudamericana. Annullata, infatti, la Tupiza-Salta, i Concorrenti hanno avuto in “regalo” una giornata di riposo straordinaria.
Passiamo oltre, direzione aeroporto e, infine, House of Jasmines. Il nostro obiettivo da sempre, da quando siamo nati.
Il perché è chiaro. Un anno prima ci siamo capitati per caso all’andata della Dakar e non ci siamo potuti tornare per l’uragano del ritorno, così la sosta nella ex Fazenda di Robert Duval, ora Estancia de Charme della Famiglia Fenestraz, è rimasta come una cosa in sospeso. E non si dovrebbe mai lasciare in sospeso la possibilità di passare anche poche ore soltanto in un luogo simile, e di conseguenza rinunciare alla migliore ospitalità possibile, il miglior vino argentino, la miglior carne argentina, il miglior suono della notte e la più bella luce dell’alba.
Non si dovrebbe mai lasciare in sospeso la possibilità di passare anche poche ore soltanto in un luogo simile, e di conseguenza rinunciare alla migliore ospitalità possibile, il miglior vino argentino, la miglior carne argentina, il miglior suono della notte e la più bella luce dell’alba
Raoul e Stephanie Fenestraz non ci sono, sono rimasti all’altro paradiso, l’Estancia di Jesus Maria che gestiscono non lontano da Cordoba, ma noi siamo una volta di più a casa nostra. Facciamo ancora un salto a Salta, scusate il penoso gioco di parole, due passi nel centro storico, poi torniamo per calarci nella straordinaria atmosfera della House of Jasmines. La Dakar è lontana. Anzi no.
La carovana della corsa è tutta al Bivacco di Salta. Tutta meno due Equipaggi dissidenti che si sono dati alla macchia. Uno è il nostro, l’altro è quello di Eugenio Amos, che si è dovuto ritirare, suo malgrado, dalla Corsa, è stato raggiunto dalla moglie e, come noi, ha scelto di passare quelle ore con lo stesso desiderio di clima, di relax, di atmosfera. Ne esce una interessante intervista all’uomo e al pilota, soprattutto il piacere di aver conosciuto un po’ meglio la persona. Ne esce anche un’ancor più interessante forma di… assoluzione.
Pur decisi a evadere per un giorno dalla Dakar, l’incontro con gli Amos ci ha dato la possibilità di non trascurare la missione e di lavare la coscienza sporca. Ecco, ci è toccato lavorare anche in quel giorno di legittima ribellione!
Foto: Piero Batini - Nikon