Dakar 2018 Il Viaggio. Decimo Cielo (Piste Parallele) - Decima puntata

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Mr. Franco, una Peugeot 3008 “Campione in carica”, tre Paesi da scoprire sulle tracce (e fuori pista) della Dakar. È l’Avventura “parallela”, viaggio sensazionale accanto a una Dakar Perù-Bolivia-Argentina eccellente. L’ultima di Marc Coma Organizzatore
31 maggio 2018

10- La Paz-Uyuni 13 Gennaio. Lasciare la densità di La Paz e aprirsi all’altopiano boliviano in tutta la sua grandeur fa una certa impressione. È come uscire dallo stretto e ritrovarsi in mare aperto, passare da una stanza angusta al salone delle feste, scacciare l’oppressione della claustrofobia e combattere l’agorafobia. Per fortuna c’è sempre la pioggia, almeno a tratti, che ti distrae tenendoti occupato mentre sei lì a sciropparti tutti migliaia di chilometri quasi in cielo, sfiorando la superficie del deserto e con la messa a fuoco fissa sull’infinito. Tutto questo si scopre in fretta, non appena fa giorno, non troppo dopo la partenza da La Paz.

La nostra strada si biforca da quella della Dakar, Viaggio e Corsa seguono direttrici diverse, entrambi verso la sorpresa di non procedere come nell’immaginazione. Per noi la bella sorpresa è, non ce lo ricordavamo, che la direttissima che punta a Uyuni, e poi a Tupiza attraversando tutto il territorio Boliviano, è bella, quando non magnifica. Per i Concorrenti la brutta sorpresa è scoprire che le piogge hanno devastato la pianura in quota, trasformando vaste aree del percorso in un vietnam di fango. La ciliegina sulla torta è quell’intermezzo cinico inventato da Marc Coma & Co., un lungo tratto di dunette e sabbiette molli, da capogiro, da braccia spezzate, da isterismo collettivo. Così la La Paz-Uyuni si trasforma in un’imboscata, e il principio non scritto per cui i “Dakariani” devono pagare, a un prezzo elevatissimo e fuori dalla portata di molti, la loro giornata di riposo già difficile da guadagnare, viene applicato allo stato dell’arte. Il massacro ricomincia. Per noi si tratta di coprire 550 chilometri di strade, come detto buone, per la Corsa il tracciato è di 725 chilometri, di cui 425 di Prova Speciale. Fino a Oruru, Città famosa per il Bivacco acquatico della Dakar 2017, una Waterworld che nemmeno Kevin Costner era riuscito a rendere così bene, convoglio e Corsa procedono verso Sud sulla stessa autostrada in trasferimento. I motociclisti si bagnano. Dopo Waterworld gli Assistenti, e anche noi, continuano sulla strada lasciando i laghi Uru Uru e Poopò sulla destra, mentre i Concorrenti piegano a destra, lasciano il primo lago a sinistra e affrontano il calvario della prima frazione della Tappa Marathon. Come sapete, si tratta di raggiungere il Bivacco e, sostanzialmente, provvedere da soli, o tra Concorrenti, all’assistenza del mezzo di gara. Gli Assistenti e i mezzi di assistenza arrivano fino a Challapata e poi prendono per Tupiza. 800 chilometri, però laggiù, in fondo alla Bolivia, si fermeranno un giorno di più aspettando i loro Piloti che, il giorno successivo, arriveranno da Uyuni completando la Marathon.

La strada di sabbia e sale scivola dolcemente verso la spianata allagata e da compatta diventa sempre più soffice. L’avamposto “asciutto” termina con un grande spiazzo occupato per intero dalle ondate di turisti che si danno il cambio al limitare dell’acqua

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Noi scegliamo, come al solito, una via “ibrida”, fino a Challapata nel “gruppone”, poi, invece di continuare verso Sud e la triste Potosì, pieghiamo a Ovest. Prua a Uyuni.

Altra corsa contro il tempo. La strada è buona, i chilometri scorrono veloci. Abbiamo il Salar di Uyuni nel mirino, e nel frattempo la Gara si avvicina alla metà della strada verso… la mèta. Vorremmo visitare il Salar ma non fare troppo tardi per intercettare gli Equipaggi, a caldo, all’arrivo di tappa. sbagliamo le… proporzioni. Nel senso che la visita al Salar sarà compressa in una toccata e fuga sulla distesa di sale più vasta del Mondo, questa volta allagata e cionondimeno affascinante e istruttiva, e a Uyuni arriveremo con molto anticipo rispetto alla Corsa, perché nel frattempo questa ha accumulato un ritardo mostruoso a causa delle diaboliche difficoltà disseminate sul percorso.

La suggestiva vista del Salar de Uyuni
La suggestiva vista del Salar de Uyuni

La visita al Salar è centrata su Colchani, venti chilometri a Nord di Uyuni. L’anno prima l’abbiamo “attaccato” da Nord scendendo da Garci Mendoza a Tahua, attorno al Vulcano Cerro Tunupa, in un periplo faticoso e interminabile che, in cambio di un’esperienza unica, ci aveva chiesto in cambio di guidare per 23 ore di fila per raggiungere la Dakar che sembrava scapparci inesorabilmente di mano. La spianata di diecimila chilometri quadrati per cento metri di spessore di sale bianchissimo, una delle più grandi riserve di litio del Pianeta, con due isolette che si perdono in lontananza e che si percepiscono come un miraggio tra i riverberi di rifrazione della superficie, è allagata anche quest’anno. Non ci voleva molto a immaginarlo, la Bolivia è un’arca di Noè sotto un instancabile diluvio universale, ma abbiamo sperato fino in fondo, fino a quando l’immagine della distesa non è andata a fuoco al centro della scena. L’immagine è comunque incredibile, vale tutta la fatica del mondo per raggiungerla e calarsi nella scena. La strada di sabbia e sale scivola dolcemente verso la spianata allagata e da compatta diventa sempre più soffice. L’avamposto “asciutto” termina con un grande spiazzo occupato per intero dalle ondate di turisti che si danno il cambio al limitare dell’acqua. Ci fermiamo un attimo alla statua di sale che raffigura il logo della Dakar. Due foto e siamo piantati nella sabbia salata che, lo scopriamo muovendo appena dopo aver messo in moto, era un velo di solido sull’acquitrino. La 3008 è intrappolata, nella morsa fino alle orecchie. Fuori la corda di traino, che lanciamo al primo che passa. In un attimo siamo fuori. Per fortuna non ci ha visto nessuno. Evitiamo così che l’immagine della Peugeot ufficiale del Viaggio della Dakar, piantata ai piedi dell’immenso logo di sale, possa fare il giro del Mondo in uno di quei dannatissimi fenomeni “virali” che mettono a nudo ef espongono le tue debolezze all’intera umanità, in un’esperienza dalla quale non ti sollevi più!

Sufficientemente al largo ci fermiamo in contemplazione dell’infinita acqua davanti, dietro e di lato, la Macchina in mezzo al mare, solo le gomme appena sott’acqua

Rincuorati dal fatto di essere riusciti a farla franca, ma non paghi, “sfidiamo” il Salar allagato. Due anni prima la distesa era asciutta e siamo andati avanti per chilometri e chilometri in una specie di scorrevole immobilismo. È la strana sensazione che si prova a correre in uno scenario che non cambia mai, come sentire di essere fermi a cento all’ora. L’immensità che ti fa sentire piccolo e immobile. Con l’acqua è diverso, prima di tutto perché non raggiungerai mai quella velocità, impossibile, e poi per l’ansia crescente che ti prende man mano che avanzi. Il livello di acqua salata è di pochi centimetri, ma non si è abituati a “navigare” su una batimetrica così bassa e si pensa sempre che di lì a qualche metro la Peugeot si inabisserà, con noi dentro. Tuttavia, tutto succede rapidamente. Mr. Franco si ferma un attimo, si guarda intorno, scruta davanti oltre il cofano, mette la prima e via, dentro il Salar. Sono (relativamente) tranquillo, ormai ho imparato a fidarmi più di lui che di me stesso, un’esperienza irrazionale difficile che trova conforto nella sicurezza con cui il “Comandante” sa muoversi. Procediamo lentamente, sappiamo che è meglio non mettere in salamoia la Macchina, le “leggende” raccapriccianti di certi guasti a orologeria, anche giorni, settimane dopo, ci convincono che è meglio essere prudenti. Sufficientemente al largo ci fermiamo in contemplazione dell’infinita acqua davanti, dietro e di lato, la Macchina in mezzo al mare, solo le gomme appena sott’acqua. “Non è magnifico?” – suggerisce Mr. Franco – “Mi pesava starmene come un ebete a farci fotografie in mezzo ai turisti, come turisti!”. Sono d’accordo, cento per cento estatico in ammirazione dell’infinito, ma poi suona un campanello. E se finissimo la nostra meditazione impantanati laggiù in mezzo al nulla? Metto Mr. Franco a parte dei miei timori. “Certo non ci hai pensato molto a infilarti nel lago! Bene che ci siamo già stati, ma se poi finivamo in una trappola?” “Nessun problema” – risponde con il migliore sorriso fintamente stupito di chi casca dalle nuvole – “Non hai visto quel trattore gigantesco al limitare delle acque? Quello aspetta solo che ci mettiamo nei guai per rispondere al nostro S.O.S., venirci a salvare e guadagnare così la giornata. Anzi, la settimana.” Incomparabile, Mr. Franco! Demi-tour e rientriamo.

Allora, detto tra noi, si può fare. Si può avanzare nell’acqua salata e provare una ebrezza decisamente particolare. Ma in verità non è un’esperienza del tutto consigliabile e “sicura”. Meglio sapere dove si mettono le ruote, indipendentemente dal timore di essere inghiottiti dai leggendari Ojos del Salar.

I piloti in lizza arrivano esausti al bivacco della Dakar 2018
I piloti in lizza arrivano esausti al bivacco della Dakar 2018

Il contesto del Bivacco è avvilente. Una scena già vista cento volte. La Dakar! Arrivano alla spicciolata, i più imprecando. I Motociclisti sono bagnati, fradici, infreddoliti, sfiniti. Non si fanno domande, è chiaro che ne hanno abbastanza. Si aiutano a sfilarsi gli stivali, a stendere ad asciugare all’ultimo sole la “biancheria”, vanno in camerata a recuperare il Kit Uyuni, quattro cose se non altro calde e asciutte per la notte, e passano alle tavolate della mensa. Quando iniziano a scuotere la testa vuol dire che si stanno riprendendo. Le imprecazioni diventano… più lucide, circostanziate. Il massacro gratuito non è stato gradito. Ancora una volta, la colpa degli organizzatori non è la premeditazione, ma il fatto di non aver saputo, o potuto, predisporre un efficace piano B. I colpi di scena aggravano la situazione rendendo l’atmosfera tutt’altro che piacevole. Barreda ha vinto ma è caduto e si è fatto male. Non recupera il comando del Rally, che torna a Van Beveren, e sparisce in hotel a farsi curare. Si teme che non ce la faccia a ripartire. Stephane Peterhansel, con la Peugeot 3008 DKR Maxi, era in testa, largamente. Ha fiondato l’anteriore su un sasso nascosto nel fango. È ripartito due ore dopo, grazie all’aiuto dell’”assistente veloce” Cyril Despres. Anche “Peter” si eclissa in hotel. In testa alla Corsa delle Auto sale Carlos Sainz.

L’aria di caserma non ci fa bene, ovvio, usciamo e andiamo oltre. Troviamo l’”albergo”, è l’unico che abbiamo prenotato con largo anticipo, visto che a Uyuni sono pochissimi, scegliamo la stanza meno peggio, depositiamo i bagagli e verifichiamo che sia possibile fare la doccia. A Uyuni va in scena lo spirito di adattamento. La città si è addormentata e risvegliata più volte, crocevia o avamposto, poi inutile, poi di nuovo d’attualità. Ora è il turismo del Salar, degli hotel di sale, dell’Isola del Pescado, un tempo è stata la stazione di passaggio della ferrovia tra le miniere di Potosì e il Cile, l’Oceano. Ci siamo mossi per questo, a Sud Ovest della città c’è un singolare cimitero dei treni. Locomotive e convogli sono stati mandati a spegnersi oltre i binari morti ai margini della città, e compongono uno spettrale spettacolo di ferro antico e ruggine, di macchine a vapore e caldaie sventrate. Singolare spaccato di storie politiche ed economiche, imprenditoriali, di lavoratori, passeggeri e contrabbandieri tra le Ande e il Mare del XIX secolo. La ferrovia collegava Uyuni ad Antofagasta ma, persi la guerra e l’accesso al mare, i convogli, privi per sempre di uno dei capolinea, erano stati condannati a morte e “affondati” nel deserto. È una visita che fa parte del “programma” standard di Uyuni, una mèta frequentata che fa da sfondo a migliaia di selfie. Il giorno in cui siamo andati vi abbiamo trovato i componenti di un gruppo musicale peruviano, i D’Amantes, che vi registravano un video.

Foto: Piero Batini - Nikon

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