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Uyuni, Bolivia, 9 gennaio 2017. Sapete cos’è il bello della Tappa Marathon? Che la sera, al Bivacco, c’è un grande silenzio. L’assenza di Assistenti e di mezzi di assistenza, poi, ingentilisce, e induce Piloti e Navigatori a ritrovare il meglio dell’ambiente e di loro stessi. Sapete come funziona. Nessun mezzo di assistenza è ammesso al Bivacco di una Tappa Marathon, e naturalmente neppure i meccanici. I Concorrenti devono provvedere autonomamente alla manutenzione del proprio veicolo da gara, e sono ammessi solo interventi in aiuto tra i Concorrenti stessi. È in questo caso che il “Portatore d’Acqua” svolge un ruolo importante, ma non è una regola così rigida e dipende molto anche dall’assetto delle Squadre, dalla posizione di classifica e dagli eventuali ordini di scuderia. Poiché di fatto, soprattutto le Moto non possono trasportare molti ricambi, una delle chiavi delle strategie di Tappa Marathon è il risparmio dei pneumatici. Anche quest’anno i Piloti moto possono scambiarsi le ruote, ma in questo caso l’operazione deve essere “denunciata” ai commissari di gara e per questo le ruote sono state punzonate.
Quando si ricomincia, con metà della La Paz-Uyuni spazzata via ancora dalla pioggia, c’è una specie di promessa solenne degli organizzatori che aleggia nell’aria: d’ora in avanti non si taglia più niente, si va avanti con il programma originale fino a Buenos Aires. È la nota che tiene in piedi le speranze del Team Honda Monster, che ha bisogno di spazi e chilometri per cercare di ritrovare quella situazione favorevole di inizio Dakar 2017. Non è facile, ma non è neanche bello correre una Dakar sapendo dopo tre giorni che è già finita.
Un altro filo di tensione interessante è generato dalla grande incertezza che la competizione di quest’anno offre ogni giorno. A parte il maltempo, ogni giorno non è mai stato uguale a quello precedente, la gara non si è mai addormentata e ogni giorno si è presentata con una fisionomia anche solo leggermente diversa, nuova. Quello che ci vuole per non fare di un Rally di due settimane una noiosa gita in pullman.
Uno degli spauracchi dell’era Coma è la navigazione. Non son tutti d’accordo sul fatto che le note del road book caschino precisissime e senza peccato, ma tutti lo sono sul fatto che la navigazione è non solo difficile, ma complicata da capire nelle sue linee generali. Quello che voleva Coma. I nuovi waypoint da scoprire sono una delle varianti, ma è proprio la ricerca delle difficoltà, di una navigazione mai banale, che fa la differenza e crea la massima incertezza.
Rieccoci al punto. Mezza Speciale, 161 chilometri, Marathon o no poteva essere una passeggiata, spesso lo è stata in passato la prova recuperata a una situazione di emergenza. Ma già nella metà della metà della Speciale della ripresa delle ostilità sono iniziate le “grane”. Prima di tutto la sabbia, dunette in successione, controluce e road book complicato. Poi i waypoint. Juan Carlos Salvaterra, Pilota di casa in Bolivia, che conosce, quindi, almeno nelle linee generali le notazioni tecniche dei suoi percorsi. È rimasto stranito. All’arrivo nel primo plotone di concorrenti, Salvatierra andava chiedendosi quanti avevano trovato correttamente uno dei waypoint. Ma tutti bravi. Ma il più bravo a spiegare come si sviluppa la Dakar di oggi è Van Beveren, l’eroe del Touquet che va rapidamente trovando una sua “ragione di esistere” anche alla Dakar. Infatti è terzo. Adrien, all’arrivo della speciale a Nord Est del Salar di Uyuni, racconta che ci ha voluto provare, che doveva tentare di fare qualcosa. La sabbia è la sua specialità, e dunque, perché no? «Tra le dunette sono bravo, e mi sono detto che se c’era un giorno per provarci era questo. Ma ho capito presto, un paio di errori di troppo, anche non gravi, e mi sono detto che è inutile andare forte se poi ti perdi. Ci metti dieci chilometri a raggranellare un minuto, ma ne perdi due o di più se cadi o se ti perdi in cento metri.»
Nella rivoluzione Coma, la Dakar perfeziona dunque la coscienza di un modo di correre che riporta all’antico, propone nuove soluzioni e va, quindi, verso la scoperta di nuovi Piloti, magari in grado di gestire meglio le nuove situazioni. Come quel Todd Smith, l’australiano che a 31 anni e alla seconda Dakar è, come si dice, nella top ten. Con il beneficio d’inventario di una Dakar che troppo presto ha perso o rigettato indietro i suoi protagonisti più solidi, Price, Barreda, Botturi o Cerutti, Walkner, Svitko o Pedrero, solo per fare un esempio, questo è un filone da seguire. Intanto però, è la Dakar più strana da quando si corre in America del Sud, basata sui colpi di scena e sulle sorprese, buone e cattive. Sam Sunderland è una di queste, non c’è dubbio. Ricordate che l’anno corso il britannico di stanza negli Emirati aveva dovuto dare forfait per un incidente al Rally del Marocco? Spesso una brutta frattura lascia un segno indelebile, e in ogni caso quella di Sam ha richiesto molto tempo e molto lavoro da parte del Pilota. Che però ha recuperato completamente, compreso il morale, e sembra uscito dall’esperienza, come si dice? – Rinforzato.
Ma a Uyuni la gara delle moto l’ha vinta Ricky Brabec, il Pilota Honda HRC che non ha mai auto una posizione chiaramente delineata, una sorta di ospite americano, e che quindi doveva trovare da solo la sua quadra. Ecco, a Uyuni Brabec ha trovato il bandolo della matassa e ha vinto, davanti a Gonçalves, Sunderland e Barreda. Non ha sbagliato, ha navigato bene ed è stato veloce abbastanza, perché se Sunderland poteva aver deciso di controllare la situazione, lo stesso non si ouò dire dei suoi compagni di Squadra.
Strana anche la classifica generale che si genera all’inizio della seconda e ultima settimana di gara. In mezz’ora ci sono solo cinque Piloti, in un’ora se ne aggiungono altri due soltanto. Sunderland è in una specie di botte di ferro con 17 minuti di vantaggio su Van Beveren e addirittura ventidue su Quintanilla, eppure nessuno si sente al sicuro, e tutti pensano ad attaccare ma anche ad aspettarsi un errore fatale dell’avversario come migliore soluzione. Solo Barrreda pensa che attaccherà fino alla fine, e che la sua sfortunata gara non deve lasciar posto alla resa.
La gara delle auto “diversamente interessante” è presto detta. Peugeot su tutti, o meglio sui pochi che restano, ma non è un demerito, anzi. Per stare dietro alle 3008DKR si è dovuto rischiare o innervosirsi, e le conseguenze sono chiare. Adesso è bello seguire il duello tra Peterhansel e Loeb. Al momento la spunta “Peter”, quello che non aveva più niente da dimostrare e che correva per il solo piacere di farlo. Accidenti! Vuol dire che la Dakar si vince meglio in modalità relax? Peterhansel sdrammatizza anche in questo senso. Ieri ha detto bene di Despres (che oggi però ha finito in ritardo e si è fatto sbattere giù dal podio da Nani Roma), oggi richiama l’attenzione sulla bellissima gara di Sébastien Loeb, cauto tra le dune, preciso nella navigazione, velocissimo nella parte finale più veloce. Però, alla fine, ha vinto lui, Monsieur Dakar. Di misura, ma quando basta per incrementare il vantaggio e doversi “fare una ragione”. “Prendo tutto quello che viene” – Dice il Fuoriclasse. In verità, ci pare che continui a prendere tutto.
Beh, almeno la gara delle Auto è comunque più “tirata”. Due Peugeot e un outsider. Due 3008KR e u terzo incomodo. Diciamo che, con il ritardo di Despres, l’outsider è Devilliers, che ritorna con la Toyota su un podio di giornata, che il terzo incomodo è Nani Roma, sul podio provvisorio a spese di Despres. Tra Peterhansel e Loeb, intanto, appena due minuti, scarsi, di differenza. Chissà che non si resti così fino a Buenos Aires.
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