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L’ansa protetta della Baia di Asunción è immobile, gonfia di caldo. Le sue acque la fanno somigliare ad un mare. È la darsena naturale dove il fiume lambisce la sabbia di Costanera, la spiaggia della Capitale. Più in là, il profondo respiro del Paraguay è la vita che scorre lentissima, e potente, di una Nazione che per la prima volta si affaccia sulla sponda dell’Avventura per definizione. È la prima volta che la Dakar parte da Asunción, la prima che è ospite del Paraguay, la prima che il Cono Sur proietta l’immagine del bouquet dagli eccezionali toni di colore di un grande disegno. È il piano sfumato di sfondo di un’edizione, la 39ma nominale, che si preannuncia memorabile. Come tutte, ma chi è “dentro” sa riconoscere già nella forma la differenza con la sostanza, quando questa è così intensamente intrigante. Ed è così, l’edizione 2017 della maratona motoristica inventata da Thierry Sabine 40 anni fa si fa inquietante in una vigilia carica di tensione.
Ogni anno è una Dakar diversa, ma solo più tardi rivela il suo vero volto, implacabile o indulgente. Ogni anno, Etienne Lavigne, il “Boss” di ASO, ha presentato una Dakar dura, ma quando è finalmente Marc Coma, il nuovo Direttore Sportivo del Rally, a dirlo, quando afferma che sarà a Dakar più difficile da quando vive in Sud America, allora le parole pesano come macigni. Ma non è solo questo. I giorni di Asunción sono carichi della solita attesa, ma in un clima nuovo e non del tutto immaginabile. Si è distratti anche dall'eccezionale disponibilità, dalla gentilezza della Gente che disarma, ti costringe a porti degli interrogativi. Ma siamo stati anche noi così, una volta? Le operazioni preliminari, forse per questo, si sviluppano flemmatiche, prendono il loro tempo senza generare gratuiti isterismi, anche se sono state organizzate con una centrifuga in mente. Le amministrative all’altare del Calcio, il Conmebol, le verifiche e il “bivacco” di attesa alla base della Fuerza Aerea Paraguaya, il podio della partenza formale a Costanera, “downtown” emblematico di una Città dai tre volti di un Paese che sta bene e che vuole star meglio, che ospita un evento di caratura planetaria per farsi notare. Chilometri di traffico, anche caotico tra i “poli” dell’attesa, che se non è estenuante è solo perché c’è una tensione di fondo, questa sì nuova, quasi palpabile, che descrive nelle facce dei Partecipanti i tratti di un evento dai contorni sconosciuti.
Tre Paesi, tre Capitali. Paraguay, Bolivia, Argentina, Asunción, La Paz, Buenos Aires. Tre perle incomparabili di un diadema agonistico ogni anno senza precedenti, di un’Avventura che mantiene ogni anno solido il mito dell’ultima Prova con cui l’Uomo può misurarsi senza sconfinare nella follia fallimentare dell’irragionevole. Tra le gemme della collana, 8.800 chilometri, di questi la metà di Prove Speciali nelle dodici tappe raccolte nei due capitoli dell’Avventura 2017.
Per i quasi cinquecento Concorrenti, provenienti da sessanta diversi Paesi del Globo, saranno due settimane separate dalla giornata di riposo di La Paz, la Capitale boliviana anch’essa della prima volta, del Lago Titicaca prima di scendere attraverso la dorsale del Salar e tornare in Argentina. Due settimane e due “inferni”, dicono ma c’è da crederci, che segneranno due episodi concettualmente opposti della Dakar “più difficile da quando si corre in Sud America”. Nessuno è mai stato a correre per una settimana così vicino al cielo, nessuno sa come potrà reagire a una intera settimana agonistica alle alture del plateau boliviano, come sentirà la fatica e il freddo, come vivrà la vertigine di correre tra le nuvole. E non è dato sapere in che condizioni i “sopravvissuti” scenderanno nella fornace dell’estate argentina, in quanti saranno in grado di superare la Prova e di raggiungere la terza Capitale, l’ormai storica Buenos Aires, dalla Dakar.
Tensione, palpabile, abbiamo detto. Non è solo quella dell’attesa, in quel caso snervante. È qualcosa di nuovo che accompagna le novità dell’edizione siglata da Marc Coma e Tiziano Siviero, una coppia “micidiale” che può unire le esperienze, “sinistre” e complementari, di un grande Organizzatore e di un Pilota leggendario. Per questo non c’è da fidarsi, e per questo neanche il più flemmatico degli esperti può vivere in modo sostanzialmente sereno e senza pensieri la vigilia della Corsa. Possono esserlo un po’ di più coloro che devono difendere un Titolo ma non a pugni, e che non hanno niente da dimostrare che non abbiano già messo in mostra sotto forma di qualità straordinarie. Stephane Peterhansel, l’abbiamo già visto, ha una ragione di più per abbandonarsi alla fatalità dell’Evento così come sarà. Ha già vinto dodici volte, ha regalato alla Peugeot del ritorno quel successo mai scontato, e torna per il piacere che gli dà una passione smisurata. Ma non è tranquillo nemmeno Monsieur Dakar, non dà a vederlo ma sa che la grande curiosità è figlia della tensione generata dalle incognite. E quest’anno, di cose “poco chiare” ce ne sono! Allo stesso modo Toby Price, l’istrionico fuoriclasse che ha regalato il primo successo della Dakar agli australiani, si dilunga sulla necessità di stare in guardia. Non è da lui, l’australiano rivelazione ha dimostrato che può prendere a sberle qualsiasi prova. Questo vuol dire che aver imparato a vincere la Dakar non è, oggi, una credenziale sicura, una “raccomandazione” dell’esperienza vincente.
È vero, tuttavia, che da molto tempo non si potevano scorrere i nomi di una lista così equilibrata e avvincente di candidati, di contendenti “veri” al successo finale. Peterhansel vivrà la Dakar forse più omogeneamente forte della sua storia, e avrà nei tre compagni di Squadra del Team Peugeot Total i “cani gentili” pronti a divorarne l’osso preferito. E non è tutto: le nuove Toyota si propongono nei modi anch’essi gentili di Nasser Al Attitah e Giniel de Villiers, ma tutt’altro che rassicuranti se si parla di “concessioni” e Mikko Hirvonen, il finlandese nuova “arma” di Mini, è da sempre la faccia gentile di un’aggressività che sulle piste del WRC ha saputo essere implacabile.
Toby Price, per parte sua, si è sempre guardato intorno, ma solo perché quelle facce non le conosceva. Oggi sa che cosa vuol dire un Barreda punta di diamante di un Team Honda Monster rinnovato a affilato come mai prima d’ora, o valutare meglio il sorriso “brutale” del nuovo Campione del Mondo Pablo Quintanilla, la nuova era cilena che, come più volte ha dimostrato la storia della Dakar, è qualcosa che nasce dall’aridità dell’Atacama ma diventa terribile, micidiale.
Non è tutto, certo, non è che l’inizio trasformato in traccia e ristretto come un indizio, ma state certi: state per seguire una Dakar come non avete mai potuto immaginare!
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