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Salar di Uyuni, Bolivia, 9 Gennaio 2017. La Dakar riparte, ancora qualche intoppo in vista, ancora maltempo. La Tappa Marathon è a rischio. Destinazione Uyuni, la città di frontiera tra la Bolivia e… il Salar omonimo, negata alle assistenze. Giustamente, nonostante le rassicuranti promesse, Uyuni è vietata anche a noi, noti e pericolosissimi contrabbandieri di pezzi di ricambio e abilissimi spacciatori di strategie di gara. A raggiungere il bivacco della Tappa Marathon sono autorizzati solo ufficialmente innocui cani e porci! Pazienza. Ma quanta ce ne vuole! Comunque, immaginando che di certe garanzie francesi è meglio non fidarsi, avevamo già fatto il nostro programma. Mr. Franco studia le carte, riconosce il “segretissimo” punto di partenza della Speciale e fissiamo gli obiettivi. Un saluto a sorpresa, arriviamo sempre così, sbucando dal nulla, ai Concorrenti alla partenza della Speciale e via, verso l’Ovest a Nord del Salar di Uyuni. Da La Paz a Salinas de Garci-Mendoza sono circa 500 chilometri, per lo più di strada buona, ma già oltre 120 fuori rotta che dovranno essere “restituiti” alle indicazioni originali del road book. Dopodiché, sulla carta, ce ne restano 300 fino a Uyuni e da lì 700 fino a Salta per ricongiungerci con la carovana. Teoricamente i Concorrenti saranno di ritorno in Argentina il pomeriggio del giorno successivo, quindi abbiamo 24 ore per andare sul Salar e fare 1.000 chilometri. Ergo, la visita al Salar dovrà essere un lampo.
Da La Paz a Salinas de Garci-Mendoza sono circa 500 chilometri, per lo più di strada buona, ma già oltre 120 fuori rotta che dovranno essere “restituiti” alle indicazioni originali del road book. Dopodiché, sulla carta, ce ne restano 300 fino a Uyuni e da lì 700 fino a Salta per ricongiungerci con la carovana
A Garci-Mendoza ci fermiamo a chiedere quale è l’accesso più breve e diretto alle rive del Salar, che immaginiamo essere a venti-trenta chilometri verso Sud-Est. Francisco, che conosciamo in una piccola bottega di alimentari, ci dice che la strada la conosce lui, benissimo, e si offre di guidarci. Saluta la moglie, dalla quale riceve un bacio che sembra d’addio e un fagotto di cose da mangiare. Sarà! Francisco sale in macchina e al primo bivio, dove pensiamo di dover girare a sinistra, fa segno di tirare dritto. Capiamo presto che ci sta portando in un ben più ampio periplo del Cerro Tunupa, un magnifico vulcano che si insinua nel Salar, ma continuando a dar fiducia alla nostra “guida” supponendo che la strada sia più scorrevole. Siamo tratti in inganno dal fatto che lo è, solo che diventa bruttissima e piena di deviazioni quando è troppo tardi e non è più conveniente tornare indietro. Andiamo avanti, non sia mai! Ma il tempo vola a trenta all’ora al massimo, e la giornata va lentamente, ma inesorabilmente verso il tramonto.
Dimentichiamo ogni riflessione velenosa quando ci affacciamo finalmente sulle rive del Salar di Uyuni. Mr. Franco aveva ragione, il Salar è pieno d’acqua, una distesa d’acqua calma come olio a perdita d’occhio con un orizzonte appena sfumato, toni di colore dal bianco del sale affiorante all’azzurro tenue del cielo. Qualche nuvola. Lo scorso anno siamo entrati nel Salar asciutto e piatto come un biliardo da Colchani, una mezz’ora a Nord di Uyuni, quest’anno vi entreremo dal Sud di Tahua, un villaggio semi deserto a pochi passi dalla distesa salata. Entreremo? Ho capito bene? “Certamente” – risponde risoluto Mr. Franco – “Non saremo venuti sin qui per rinunciare al nostro battesimo del Salar!”
No certamente, ma l’operazione mi mette un po’ di apprensione. Io sto a terra per fare le foto di rito, e va bene, ma se per caso la macchina andasse a fondo o rimanesse impantanata nell’acqua salata, non saremo mai in grado di tirarla fuori, non c’è un’anima viva per cento chilometri e tornare al punto di partenza di Garci-Mendoza vuol dire, a occhio e croce, un giorno di cammino. La “classica” stupidaggine che potrebbe farci chiudere lì la nostra Dakar e diventare gli zimbelli dell’ambiente. L’errore che faccio è quello di sottovalutare le capacità della Peugeot 3008 e di Mr. Franco “Makinen” Acerbis, il quale non si affida mai al calcolo delle probabilità, e quindi sa misurare i propri, e gli altrui, limiti, con precisione assoluta. Sale a bordo, regola sedile e volante, e parte in mezzo al lago salato. Un largo giro, poi un altro ancor più largo. Il SUV Peugeot non perde trazione per un solo attimo, e lo spettacolo nello spettacolo è sublime. Il fondo salato tiene e sono sicuro che, se volessimo, potremo attraversare il Salar da Nord a Sud e uscirne in prossimità del confine argentino risparmiando un sacco di chilometri. Mr. Franco frena l’entusiasmo: “Non mi risulta che ci sia una stazione di servizio all’Isola del Pescado o all’Hincahuasi!”
Il SUV Peugeot non perde trazione per un solo attimo, e lo spettacolo nello spettacolo è sublime. Il fondo salato tiene e sono sicuro che, se volessimo, potremo attraversare il Salar da Nord a Sud e uscirne in prossimità del confine argentino risparmiando un sacco di chilometri
Non si può scherzare. Dicevo per dire. A fine giornata finalmente riconosciamo i tetti del villaggio da cui siamo partiti, salutiamo la nostra guida “esperta” e ci prepariamo al lunghissimo trasferimento non stop, che sarà… con stop e ancora più lungo di quanto ci eravamo preparati ad affrontare, visto che la giornata “lampo” si apre ora su una specie di maratona fuori programma, la nostra telethon tra due Paesi e oltre due giorni di cammino imprevisto e imprevedibile. Nessun rammarico, ci guardiamo e ci stringiamo la mano, lo rifaremmo anche domattina, esattamente allo stesso modo. L’esperienza è stata di quelle immancabilmente indimenticabili, semplice e grandiosa come tutte le Avventure del Deserto, ed entra di diritto nel dossier dei viaggi consigliatissimi.
Anche l’ultima preoccupazione, la “marinatura” della 3008, passa in archivio: ricomincia a piovere, e il primo acquazzone è talmente forte che ci sembra di passare tra le spazzole dell’autolavaggio!
Foto: Piero Batini, Nikon