Dakar 2016, Tappa 11. Bis di Al-Attiyah (Mini) e Meo (KTM)

Dakar 2016, Tappa 11. Bis di Al-Attiyah (Mini) e Meo (KTM)
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Terzultima tappa chiusa. Il peggio è passato ma la corsa non è conclusa, e l’eliminazione, vedi Gonçalves, è dietro l’angolo. Peterhansel e Price giocano in difesa, Al Attiya e Meo si fanno avanti. La trilogia dell’inferno è alle spalle
15 gennaio 2016

San Juan - Se in un Campionato un protagonista si fa male, o rompe il mezzo da gara, a meno che non subentrino fatti gravi o importanti, nulla è veramente perduto, una prova o due, e la sfida continua. Alla Dakar le cose stanno in maniera molto diversa. Ad ogni guaio serio, meccanico o fisico, corrisponde l’eliminazione dal gioco. E se ne riparla l’anno dopo. In un anno molte cose possono cambiare, e saltando la continuità ecco che ogni edizione della Maratona inventata da Thierry Sabine è un evento a sé e un caso a parte. Nessuno, o quasi, capisce fino in fondo cosa significa tutto questo, e molti si adattano a priori all’idea che le disgrazie, per definizione, capitano agli altri. È la ragione per cui la Dakar spesso non è altro che una cinica gara ad eliminazione. 

KTM ha costruito un nuovo dominio dopo l'addio di Coma
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Una Dakar a eliminazione

Facciamo un esempio, con la sesta tappa sono usciti di scena Ruben Faria e Ivan Jakes, uno che si era messo in testa che si poteva riuscire attaccando subito, e un altro che forse non avrebbe vinto lo stesso, ma che negli scorsi anni non aveva mai forzato riuscendo a farsi notare. Alla settima tappa sono usciti di scena Mathias Walkner, due tra i maggiori favoriti alla vittoria finale, e Javier Pizzolito. Tappa dieci, e sono fuori in quattro, De Soultrait, Pedrero, Metge e Botturi, tappa 11, ed è fuori anche Paulo Gonçalves. Il portoghese è anche l’emblema dell’insufficienza della fortuna contro il destino quando questo si profila avverso e particolarmente “competitivo”. Finiti i Jolly, infatti, il portoghese si è dovuto arrendere, a due tappe dalla fine, quando comunque aveva in tasca ancora un buon risultato. Una caduta nei primi chilometri della prova speciale, lo svenimento, lo… sfinimento, la preoccupazione, il recupero in elicottero e il ricovero in ospedale. Non passa neanche un giorno, e sei definitivamente fuori. Anche se per quattro giorni sei stato il leader del Rally. Alla Dakar non interessa affatto che tu sia stato in testa per quattro giorni, ma che tu tagli per primo il traguardo dell’ultima tappa l’ultimo giorno.

Tra i motociclisti l’eliminazione è più “violenta”, definitiva. Testate, femori, perdite di coscienza, ma anche centraline, teste e motori

Tra le auto le cose non sono andate in modo molto diverso. Meno incidenti e conseguenze alle persone, ma una bella gara ad eliminazione, anche lì. L’elenco l’ha fatto Carlos Sainz, includendo Nani Roma, Cyril Despres, Sébastien Loeb, Nasser Al Attiya e sé stesso. Tra i motociclisti l’eliminazione è più “violenta”, definitiva. Testate, femori, perdite di coscienza, ma anche centraline, teste e motori, mentre tra le auto non è raro che l’Equipaggio si faccia trainare alla fine della Tappa, ripari e riparta il giorno successivo. Quest’anno è successo a Nani Roma, a Loeb, a Sainz, ed è quasi routine.

Il Principe e il Campione del Mondo enduro

Tutto questo per dire ancora una volta che la Dakar si vince solo al termine dell’ultimo giorno, e che tutti gli altri che precedono il podio finale sono buoni, invece, per perderla. Un Pilota o un Equipaggio decidono delle loro intenzioni, ma non del risultato o delle conseguenze. Pochissimi, come i gatti verdi, decidono di non rischiare all’inizio, ma molti una volta là, davanti, tirano immediatamente i remi in barca e indossano il giubbotto salvagente. Quest’anno ci sono voluti tredici giorni perché la gara dei leader diventasse più accorta, che Peterhansel si accontentasse di disturbare la fuga solitaria di Loeb e che Price si facesse una bella passeggiata tra le dune bianche di San Juan.

La Peugeot è diventata protagonista nel giro di due anni
La Peugeot è diventata protagonista nel giro di due anni

A San Juan Al Attiyah ha vinto la sua seconda tappa in questa edizione, ma dista dalla testa del Rally la bellezza di 51 minuti. Normalmente è “spacciato”, ma il Principe del Qatar insiste che non mollerà e che potrebbe ancora vincere lui. Ormai, però, non intende più che la situazione possa ribaltarsi sulle speciali degli ultimi giorni, ma che possa essere diversamente “pesato” dal “tribunale” di Ginevra l’”affaire” del rifornimento di Peterhansel nella 9° tappa. Certo, è difficilissimo dire se ci sono gli estremi per dare un colpo di spugna ad un’intera Dakar, ma è ancora più difficile pensare che i giudici “portatili” della Dakar non siano riusciti a vedere chiaramente nei fatti, applicare con precisione dei regolamenti, o anche trovare una regola di giudizio inequivocabile. Già l’appello è un voler giudicare la “corte” che ha emesso la prima sentenza, gettando un’ombra di discredito sul suo operato, ma in questo caso sotto “inchiesta” finirebbe la Dakar stessa, già peraltro chiamata a rispondere di alcune scelte non molto felici. Sarebbe importante aspettare la fine della Corsa, come di fa di solito, ma quest’anno gli interrogativi hanno già iniziato a bussare.

Il Team HRC avrà in ogni caso bisogno di un debriefing approfondito

KTM sul tetto del mondo. E Honda?

Anche Antoine Meo ha vinto la sua seconda prova speciale. Non è secondo in generale come Al Attiyah, non ci pensa nemmeno a insidiare la leaderhip di Toby Price, ma il suo terzo posto attuale, pur minacciato da Pablo Quintanilla, è molto bello. Al di sotto delle aspettative i “senatori” dei Team KTM/Husqvarna, Faria (caduto) e Viladoms (inflluenza), i giovani o “convertiti” scelti dal Gruppo di Matighofen si son già dimostrati degni di succedere a Marc Coma che è diventato un Boss e un mago della pioggia. Ormai il nome del futuro è scritto, ma c’è anche da chiedersi se KTM non sia stata troppo brava a scegliere i suoi Piloti, al punto da “rischiare” altri dieci anni di stupende guerre fratricide in seno alla Squadra. In questo caso sarebbero guai per Honda, ma il Team HRC avrà in ogni caso bisogno di un debriefing approfondito, e guai anche per quelle alternative che si affacciano timidamente dall’emisfero sud, come Brabec e Benavides che hanno fatto una bellissima gara.

Supremazia francese

Se si parla di alternative, la più grossa è finalmente quella proposta da Peugeot. Le Macchine sono velocissime, hanno vinto e stravinto, e di fatto hanno polarizzato tutto l’interesse per le dinamiche agonistiche della Dakar delle Auto. Ma anche qui ci vorrebbero altri dati per essere un po’ più attendibili. Possibile che Mini e Toyota siano già “morte”? Probabilmente no, soprattutto Toyota che non è ancora all’apice del suo ciclo di sviluppo, ma di fatto è mancato quel ventaglio completo di situazioni che sono lo “standard” della Dakar, e che consente di trovare già nei fatti le risposte migliori ai propri interrogativi. Beh, la trilogia infernale delle tappe da Belen a San Juan, tutte accorciate per le Moto, è almeno servita per lanciare le candidature più forti al successo finale. Anzi, si potrebbe dire addirittura che i vincitori della Dakar sono scaturiti dalle dune di Fiambala. Il ché non è vero, naturalmente, ma chiama a riflessione sulla lunghezza inutile di molte tappe al percorso attuale.

Foto: ASO/ @World/ A VIALATTE/A Lavadinho/Frederic Le Floc'h / DPPI/Florent Gooden / DPPI
 

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