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San Salvador de Jujui, 5 gennaio 2016. Io inizierei dalla carta del tempo e dei fenomeni. L’attualità dice che da metà della tappa tra Termas del Rio Hondo e San Salvador de Jujui, con la speciale ridotta a circa 200 chilometri degli oltre 300 previsti, ha piovuto. In tutti i modi, quattro gocce d’acqua, poi quattromila, uno squarcio di cielo aperto e bel tempo, sole feroce a 40 gradi centigradi. Intermezzo ideale per i Motociclisti che, non sapendo dove ficcarla, tengono addosso la “cerata”. E poi il crescendo finale al bivacco, una bella base militare, dove l’acqua è scesa senza sosta dalla fine del pomeriggio a notte fonda. Livelli di “umidità” da allevamento di anguille. In questo caso sono “avvantaggiati” quelli che dormono in tenda, perché possono “assaporare” l’imprevedibile perversità della Dakar, ma anche i Meccanici, i Motociclisti delle “malles”, i funzionari della Security ai cancelli di entrata e uscita dal paddock, in quanto a “privilegi” in un caso come questo, non scherzano. La festa sembra destinata a durare. L’area resta in stato di allerta meteo, e si continuano a prevedere tempestas intensas. I Motociclisti più avventurosi sperano di arrivare ai 4000 della Bolivia ancora bagnati, in modo da trasformare le tappe di Uyuni in un autentico inferno di sale e ghiaccio. Interpellato al riguardo Marc Coma, nuovo esperto meteo della Dakar, non sa che dire. Gli pare che gli abbiano teso un’imboscata. Non-se-ne-può-più. Sulla 38ma Dakar piove praticamente dall’inizio, e non è affatto una metafora. C’è il rischio che la Jujui-Jujui, inizialmente prevista sulla distanza di circa 600 chilometri subisca anch’essa una indulgente riduzione di percorso. Ma può anche succedere che si vada avanti così ancora per giorni.
Due fatti hanno distratto gli appassionati di Dakar dalle sventure metereologiche di questa edizione. Sono altri tipi di fenomeni. Uno è il miracolo Loeb-Peugeot, l’altro è il quasi miracolo Honda. Giornate così sono memorabili, perché spediscono la Dakar su un altro mondo, sbloccando un livello superiore della sfida.
Sébastien Loeb e il fido, geniale navigatore Daniel Elena hanno vinto ancora. Quelli che ritenevano impossibile che l’alsaziano potesse concedere il bis, si sono già suicidati. Non ricordo se e quando sia già successo, nella storia della Dakar. Ma non vuol dire molto, la differenza tra mai e uno o due non cambia le carte in tavola. Loeb è arrivato a ottobre, è stato confermato a novembre e un mese e mezzo dopo si permette di vincere subito la prima speciale della Dakar, che è anche la prima della Peugeot 2008 DKR, e di ripetersi il giorno successivo, quando cioè è anche costretto a far da apripista. Siamo dunque al momento della verità? Stanno cambiando u po’ di cose nella Dakar delle Auto? Stando ai risultati del 4 e 5 gennaio senz’altro sì. Pur con le circostanza attenuanti di un percorso che ricorda molto i tracciati del WRC, e del campione in carica Al Attiyah che ha preferito correre risk-free, Sébastien Loeb ha annichilito gli avversari con una prestazione ineccepibile e, soprattutto irresistibile. Non ha vinto, ha stravinto relegando all’impotenza fuoriclasse del calibro di Carlos sainz e Stephane Pterhansel. L’altra verità assoluta è che la Macchina, la Peugeot 2008 DKR realizzata sotto la direzione di Bruno Famin, è novella Super Star Destroyer del Rally-Raid. C’è da chiedersi quanto questa nouvelle vague rappresentata dal binomio Peugeot-Loeb possa pesare sulla Dakar in corso e sull’ambiente. Probabilmente molto. Due tappe vinte non sono poca cosa, soprattutto alì’inizio della contesa, e nonostante la grande atmosfera creata nel Dream Team Peugeot dai presupposti, c’è a credere che l’esplosione Loeb possa anche creare qualche malumore. Ma questo sarebbe il male minore, perché comunque siamo in presenza di professionisti che sono dei monumenti di questo Sport, e poi c’è da dire che più galli in un solo pollaio quasi sempre finiscono a beccarsi. Certo, tra i tanti problemi affrontati da Bruno Famin, certamente quello di tenere a bada i propri fuoriclasse sarebbe un impegno con un bel altro carattere di stimoli per il Direttore del Progetto Dakar di Peugeot.
la Macchina, la Peugeot 2008 DKR realizzata sotto la direzione di Bruno Famin, è novella Super Star Destroyer del Rally-Raid
Qual è la tendenza di classe? Per scoprirlo, basta guardare la classifica dei primi dieci e contare: quattro Peugeot, quattro Toyota, due solo Mini. Qualcosa è cambiato. Più nel dettaglio, a parte la competitività di Peugeot, che è descritta come un valore assoluto dai risultati ottenuti sin qui dalle nuove Macchine di Velizy, fa impressine il salto di qualità delle Toyota Overdrive. Giniel De Villiers non è un combattente da mal di testa. È piuttosto uno che sa aspettare, e soprattutto sa stare a guardare. Invece dopo tre tappe il sudafricano è già secondo. Un altro fatto inconsueto proposto dalla Dakar 4.0. Se, tuttavia, si prendono i primi cinque classificati della generale, ecco che il peso delle Mini torna ad essere rilevante, seppure non schiacciante come in passato, ed è sostenuto in maiera eccellente dal nuovo arrivato Mikko Hirvonene, che si dimostra una scelta azzeccata di “Boss” Quandt.
Parliamo di Moto. Anche la Dakar delle due ruote ha proposto, con la terza tappa, qualcosa di sostanzialmente nuovo, anche se sfumato nel corso della giornata. La vittoria di Joan Barreda contornata dal podio di Kevin Benavides e di Paulo Gonçalves. Tre Honda, in una galassia controllata da quindici anni dalle astronavi KTM, e una prestazione particolarmente consistente della sua Prima Guida Joan Barreda, sino a… sera impeccabile. Peccato che sulla classifica redatta in base alle performance sia poi scesa la mannaia delle penalità, in gran parte per eccesso di velocità, in trasferimento, in attraversamento di centri abitati, in tratti a velocità controllata. Una novantina di sanzioni, il che dimostra soltanto che sulla Dakar di oggi pesano troppi chilometri di trasferimento, “letali” quando i limiti imposti sono alienanti. Barreda scende così dal primo al quinto posto di giornata, l’argentino Benavides vince la tappa e lo slovacco Stefan Svitko, uno che non parla mai, che non si sente, che non si nota ma che da anni è un’autorità e il privato competitivo per definizione della Dakar. Tra le prime cinque moto, dalla KTM di Svitko alla Sherco ufficiale di Alain Duclos non c’è un minuto intero di differenza, e quelle di Walkner e Quintanilla possono essere considerate posizioni di agguato.
Aggiornamenti sugli italiani. Botturi ce l’ha fatta. Un polso gonfio e verde come un avocado, ma il bresciano ha resistito almeno ai primi 200 chilometro di calvario. Con tre minuti di penalità scende al 17° posto, non la posizione che si aspettava ma meglio che niente viste le circostanze. Scende anche Paolo Ceci, ssmpre per una multa, ma la sua Dakar da angelo custode Paolino l’ha già vinta “salvando” Paulo Gonçalves. Cerutti va ancora “capito”, va troppo piano per le sue possibilità, ma questo potrebbe essere il fattore più importante a suo… vantaggio mentale. Lucchese, Toia e Catanese puntano alla leadeship della categoria “Malles”, ovvero purissimi privati faccio-tutto-da-solo, Metelli e Barbero fano soria a sé sotto le grinfie di Fernando Prades, il Meccanico di PKL, e Ghitti è Lone Wolf.
La Dakar numero 38 sale verso la Bolivia, in programma subito dopo la prima frazione della Tappa Maraton sull’anello Jujui-Jujui, sotto la pioggia che non accenna a smettere di cadere.