Dakar 2016: Canon Rock

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Sulle immagini non si transige: anche poche ma buone. La nostra dotazione è esemplare, e impostata su pochi, sani principi. Il gusto di spaziare nella grande qualità
25 gennaio 2016

Basta telefonino! Basta selfie. Questo era il nostro imperativo di presupposto. Basta il pretesto di raccontare con lo scopo, invece, di raccontarsi e di mettersi al centro della scena. Per questo c’è l’album di famiglia, lo ricordiamo, che è un’altra cosa. Molto più “onesta”.

Il racconto della Dakar per immagini è foto d’azione e foto d’ambiente. Il nostro è più un viaggio nella storia globale che un’indagine di testa di classifica, e dunque è colorato a pastello, con le immagini delle atmosfere. Sono quelle che rendono l’idea, per intendersi. E poi, le azioni nelle interpretazioni dei mille fotografi lungo la pista si sprecano, mentre quelle che riportano il colore fuori dalle piste sono più rare, e per noi più preziose. Sono gallery umorali, a volte un po’ invadenti, ma “live”.

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Per la “cattura” delle immagini abbiamo una vecchia storia, quasi sentimentale, con Canon. Apprezziamo il prodotto, e ci esaltiamo per il risultato, ogni volta che apriamo un file o che scorriamo impazienti nel contenuto della flash card mentre “scarichiamo”.

Abbiamo scelto due tipologie di attrezzature, anzi tre. Ovvero quattro. Lo stato dell’arte, Eos 1 Dx, e zoom di grande luminosità, privilegiando sempre l’accoppiata 16-35 e 70-210. Ma abbiamo sempre avuto al collo o a portata di mano una 5D, Mk3, o una 6D, in ogni caso full frame, spazio ai pixel. Ancora 16-35 e 24-70 da una parte e, dall’altra, l’intramontabile esempio di versatilità che è il 28-300. Un po’ pesante, ma ci puoi spaccare la roccia e lasciare a casa tre obiettivi, all’occorrenza.

Un obiettivo di “famiglia” che ha fatto furore, sempre a portata di mano e passato da un corpo macchina ad un altro senza sosta, persino all’estremo di gamma che vi racconteremo in altra occasione, è il 15mm “fish”, il modo migliore di essere direttamente nella scena.

Una questione “modernissima” è rimasta irrisolta. Obiettivi luminosi e “massicci”, oppure aperture meno importanti ma lenti più leggere. Agganciati a teorie abbastanza datate, almeno per quanto ci riguarda, c’è sempre una sorta di privilegio per i 2.8, capaci di “spaccare il capello in quattro” per definizione. Ma succede ormai d’abitudine, ormai, che l’accoppiata sensori del corpo macchina e stabilizzatore di immagini degli obiettivi abbiamo una tendenza al sopravvento. I motivi sono due. Da una parte quello terra-terra del peso, importante quando il bagaglio aereo è soggetto a un limite, dall’altra la stratosferica capacità di scendere in profondità verso le basse luci dei sensori Canon. Ecco che una focale .4 riesce oggi a conquistare valori di ISO impensabili anche solo poche stagioni fa, rendendo il mano libera un gioco da ragazzi, anche grazie alla stabilizzazione. Qualcuno sentenzierà che la “correzione” è pur sempre una caduta di qualità, parliamo del livello teorico tanto caro ai produttori di statiche di riferimento, ma l’indagine a campione e globale tra i file non ci ha aiutato ad emettere alcun verdetto di preferenza, e tutto sommato apprezziamo lo stile più moderno del concetto di ripresa.

Una cosa è importante da notare. Che sia uno o l’altro corpo macchina, dall’elite della 1 Dx, al “muletto” silenzioso 6D, nessun senso di differenziazione della produzione. È il bello del top!

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