Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Quando a Buenos Aires dici che sei italiano la gente si illumina. Già “accesi” da una passione per i motori che è atavica, e surriscaldati dalla Dakar che parte tra poco, gli argentini, moltissimi dei quali hanno un’intera batteria di cromosomi e un codice davinci di DNA italiano, reagiscono al calor rosso, ricordando la Ferrari prima di tutto, ma poi i Rally, la Dakar e i “Dakariani”, che ritengono anch’essi codificati esclusivamente in lingua italiana. Oggi non è esattamente così ma, diciamocelo, siamo pur sempre una parte importante Storia, ed oggi portiamo la testimonianza attraverso la sete di avventura di un gruppo di combattenti di primordine.
Appassionati e tifosi, o tutti e due, a questi livelli diventare competenti ed esperti è un attimo. Per cui sappiamo già tutto di tutti, e di come sarà. Bello il disegno dell’immaginazione ispirato dalla musa della passione per lo Sport, partorisce solo capolavori. Vecchi e nuovi appassionati sono concordi nel ritenere, per esempio, che a Alessandro Botturi bisogna dare il massimo della fiducia, praticamente quella stessa e infinita che il Gigante di Lumezzane nutre per le sue possibilità e per la sua nuova Yamaha, “riscritta” totalmente dopo gli errori della scorsa edizione e pronta al grande salto grazie all’aiuto di Helder Rodrigues, il “padre naturale” anche della Honda che adesso, e per una bella botta di fortuna date le circostanze, sarà guidata da Paolo Ceci.
Dopo anni di assenza, ecco a voi il ritorno di Manuel Lucchese, che dopo aver fatto il Cicerone per i VIP della Dakar, mestiere ingrato, riparte dalla sella della sua Yamaha
Paolino sa stare al suo posto, questo lo riconosce il modenese tra le sue virtù, ma è un autentico asso della navigazione e diventa così uomo dal contributo essenziale per il Team HRC che punta “solo” alla vittoria. Con la Honda sembrava che dovesse correre anche la rivelazione “azzurra” dell’anno, Jacopo Cerutti, ma il giovane talento non è sfuggito alle grinfie dei talent scout di Mattighoffen e corre con una Husqvarna (si tratta della versione bianco-giallo-celeste di una nota moto arancio, che tra l’altro vince ininterrottamente dal 2001) ufficiale. Bel colpo, e con una Husqvarna, fino a prova contraria, debutta anche il forte e simpatico Simone Agazzi. Dopo anni di assenza, ecco a voi il ritorno di Manuel Lucchese, che dopo aver fatto il Cicerone per i VIP della Dakar, mestiere ingrato, riparte dalla sella della sua Yamaha con rinnovate velleità e l’idea di rimandare la pensione. Di tutt’altra caratura è il ritorno di Diocleziano Toia, un “duro” che l’ha già spuntata da solo e contro tutti, anche contro una moto che cadeva a pezzi, lo scorso anno, e che per la verità aveva subito promesso, nel caso di una recidiva, di partire con una moto un po’ più nuova.
Lasciati a dormire i suoi Cavalli, Diocleziano si sveglia per uscire dal letargo invernale. E ancora un ritorno da applaudire con la pelle d’oca e che fa solo un gran piacere, come quello di Harrison Ford al primo fotogramma che lo riporta nei panni di Han Solo, per Federico Ghitti, professore, pilota, scommettitore, filosofo (molto) e matematico (poco) della vita, l’ideale background per vivere da uomo vero l’avventura della Dakar. Dopo aver preso la Dakar nel muso per due volte, Francesco Catanese torna anche lui per fargliela vedere, e per vederla dalla sua insostituibile prospettiva a due metri e passa dal livello del mare.
Italiani come Livio Metelli sono la storia naturale della Dakar, falegnameria e famiglia lasciati da parte per un momento della vita per realizzare un sogno, sostenuto finanziariamente dalla falegnameria e moralmente dalla famiglia, che già lo scorso anno aveva capito che, una volta “mandato” ad assistere Botturi, il destino di Livio era segnato. Così come il fato di Alessandro Barbero, piemontese che a furia di ospitare Piloti e Dakariani nella sua attività sarda di San Teodoro, alla fine ha contratto la sindrome e, serafico come uno che sembra averci pensato a lungo, parte insieme a Metelli nella missione che contempla anche il più italiano degli iberici, il tecnico e guru Fernando Prades che, avanti con la Storia, è una pietra miliare della Dakar.
E dov’è Franco Picco, storia nella storia della Dakar? Non c’è? Sì che c’è, ma bisogna girare pagina e leggere tra i quad. Tra i quad? Sì, sconcertantemente, fatalisticamente, incredibilmente, qualunquemente il Franco del tifo di generazioni di appassionati ha raccolto il guanto di sfida di un’avventura atipica, e une delle poche che ancora mancano a uno dei nostri portacolori per definizione. Con un quad, in compagnia della regina delle dune, Camelia Liparoti, che corre quest’anno utilizzando il passaporto francese in luogo di quello italiano, al contrario dell’argentino Carignani che sembra aver deciso di utilizzare la nostra opzione. Bella squadra, comunque, l’Italia delle piccole quattro ruote.
Tra le grandi quattro ruote, o le meno piccole di quegli strani e divertenti oggetti che rispondono al nome di SSV, gli italiani non sono molti
Sì, perché tra le grandi quattro ruote, o le meno piccole di quegli strani e divertenti oggetti che rispondono al nome di SSV, gli italiani non sono molti. Eugenio Amos, Michele Cinotto e Maurizio Dominella, il prototipodotato Gianpaolo Bedin e l’equipaggio del Granducato di Toscana Marrini-Sinibaldi, al quale all’ultimo momento si è aggiunto il “tattico” Matteo Casuccio che, nonostante la promessa solenne al termine della sofferta, ma molto bella Dakar 2015, non ha saputo sottrarsi all’impegno che fa degli uomini, un bel giorno, dei Dakariani.
E che c’entra allora, direte voi, questa sfilza di Italiani? Da che cosa sono accomunati? Dal fatto di essere iscritti e in procinto di partire per l’Avventura della Dakar? Anche, certo, ma la vera, unica, cerimoniale ragione perché sono tutti qui, compresi quegli eventuali che a una Dakar spuntano sempre anche all’ultimo minuto, da un’iscrizione all’ultimo tuffo ad un ritorno di memoria, è che volevamo fare una “esecuzione” di auguri. Buon Anno Italiani!