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Iquique. Per mesi una delle regole base dei test è la ripetitività. Stesse piste del Marocco o dei deserti spagnoli da spaghetti western, stessi latifondi privati del Sud della Francia o del Nord iberico, autotreni con prototipi e ricambi che fanno la spola tra il reparto corse e il teatro delle prove, ingegneri che lavorano ai computer dell’atelier e ingegneri che riversano evoluzioni di dati nelle macchine, furgoni che arrivano con pezzi nuovi o modificati, persino dhl che recapitano un aggiornamento al portale dell’officina da campo. Il tempo è a disposizione. Poi arriva il giorno che la Macchina deve essere imbarcata, o caricata sull’aereo, arrivano le verifiche, parte la prima prova speciale.
A quel punto cadono i cordoni ombelicali con la centrale del progetto, dell’onnipresenza e del tempo. La macchina prova su se stessa. Nell’abitacolo è eccitazione, trepidazione, sensazione. All’altro capo della corsa, al bivacco, è ansia, preoccupazione, attesa.
E un giorno la Macchina saluta e parte per passare la sua prima notte fuori, da sola con i suoi Piloti e Navigatori. L’ultimo cordone ombelicale che sopravvive è il telefono satellitare.
La prova della verità
La 2008 DKR sale sulle Ande, è un test che ha già fatto per entrare in Cile provenendo dall’Argentina, divora piste di pietre, di polvere, poi di sale e scende in picchiata verso il deserto stupendo del Salar, atterra a Uyuni. Al bivacco la tensione si allenta solo quando sul monitor esce il tempo, la posizione di classifica, il dato certo che la Macchina è al bivacco. Ogni giorno è così. Ogni giorno della Dakar la verifica più importante è quel passaggio accanto alla fotocellula dell’arrivo. Figuriamoci che importanza ha quando è la prima volta che tutto questo si ripete come un purgatorio di quindici giorni.
Solo allora si spende volentieri qualche dollaro di iridium per sapere come è andata, che cosa è successo e cosa poteva succedere alla 2008 che affronta per la prima volta una Tappa Marathon. Ne viene fuori un racconto inaspettato.
Stephane Peterhansel è ancora allibito. Qualche giorno fa pensava di cuocere come un panettone dentro l’abitacolo che tratteneva il torrido respiro del deserto argentino, oggi ha la sensazione che gli organizzatori del tempo gli abbiano voluto giocare alla commedia. Non ha mai visto tanta acqua tra una battuta e l’altra delle spazzole tergicristallo, non ha mai sentito martellare a mitraglia la grandine sulla… cassa armonica in carbonio della 2008, mai sentito il sibilo di una tromba d’aria che irrompe nello stretto cunicolo dell’oblò.
Il fango della Bolivia, un test inatteso
La 2008 DKR lascia larghe tracce nel fango delle piste boliviane, divide le acque dei guadi gonfiati dalla tempesta di pioggia, avanza con la stessa velocità spazzando con la deriva delle grandi ruote camionate di acqua e fango. L’esperienza forgia. E diverte. “Peter” non sa che la sua media è tra le più alte della prima parte della PS, si scorda che stanno volando sulla prima metà di una tappa che non hanno mai affrontato con quella macchina. Glielo ricorda “Polo”, il Navigatore inseparabile di mille successi. Ritornano sul ritmo di sicurezza concertato al bivacco della partenza di Iquique, contornano il Salar a media sostenuta lasciando scivolare la macchina e riportandola con la coppia sulla traiettoria, arrivano a Uyuni. Peterhansel “Parcheggia”, si estrae dall’abitacolo, scende dall’astronave. “Eccoci qui, Polo, non ce la caviamo tanto male, noi… tre…”
Poco dopo arriva l’altra 2008 DKR, quella del debuttante, quel ragazzo col pizzetto che ha vinto solo cinque Dakar, ma tutte in moto.
Cyril Despres sembra vedere in questa Dakar solo lati divertenti e racconta a Stephane e Jean-Paul: “Ho infilato il “muso” della 2008 in un torrente d’acqua. Credevo che il fiume se la portasse via. Invece no, siamo usciti come un siluro, la Macchina se la cava benissimo anche con le sole due ruote motrici”.
E Gilles: “Quando siamo usciti, ecco un’altra onda, più grande e potente di quella precedente”.
“Ah, scusate, siete qui giù da un po’? Come siete arrivati?".
“Siamo arrivati da un po’, hai detto giusto, non c’era tanta altra gente qui a Uyuni prima di noi. Siamo arrivati… bene, ora vado a vedere. Adesso però, scusate, vado a lavare la 2008 DKR, a toglierle di dosso qualche quitale di fango. Poi tagliando!”