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Buenos Aires, 17 Gennaio 2015. L’avventura dello Sport ha facce diverse. Tutte ugualmente affascinanti, ma che spesso privilegiano l’evento clamoroso, la sorpresa, il colpo di scena. Il grafico della vittoria di Nasser Al-Attiyah e di Matthieu Baumel, al contrario, presenta una curva dalla linearità quasi sconcertante. La sintesi è chiara. In testa dal secondo giorno di gara fino alla fine del Rally, sei tappe vinte, nessun errore, “zero problems” e più di mezz’ora di vantaggio sul secondo classificato, Giniel De Villiers con la prima delle cresciute Toyota Hilux di Jean-Marc Fortin.
L’olimpionico medaglia di bronzo ai giochi di Londra ha molte qualità, e tra queste c’è l’assoluta trasparenza delle sue intenzioni e il modo semplice e chiaro di gestire le proprie scelte. E una gentilezza disarmante.
Tranne quando si arrabbia, e trasforma allora la sua pacatezza in una delicata contrarietà, quanto basta, tuttavia, per mettere in chiaro che le interpretazioni o le eccezioni dialettiche non lo rendono particolarmente felice.
Una vittoria voluta, senza se e senza ma
In talune circostanze la Dakar 2015, per esempio, ha messo in luce, se non la competitività globale, almeno la velocità di Orlando Terranova, vincitore di 4 tappe ma incapace di gestire la leadership sulla lunga distanza. È giustificato che in una Dakar che inizia e finisce in Argentina, l’idolo locale venga “pompato” con tutte le risorse, ed è così comprensibile che l’ennesimo giornalista nazionale cerchi proprio nelle parole del vincitore la lusinga dell’avversario battuto.
Ma Nasser Al-Attiyah non ci casca e, soprattutto, non ci sta. Altera di un’ottava il tono della risposta e chiarisce. “Non vorrei sembrare presuntuoso, ma noi siamo venuti qui per vincere. Abbiamo costruito la nostra Dakar operando delle scelte che abbiamo ritenuto vincenti, e ci siamo prefissati di battere non Orly soltanto, ma tutti i 136 Equipaggi della lista delle Auto. Ci siamo riusciti in un modo abbastanza chiaro, e il fatto che Terranova sia nel numero di quelli che abbiamo battuto non crea, ci dispiace, nessuna forma di privilegio per il Pilota argentino”.
Il giornalista argentino cambia chiave di analisi della vittoria di Nasser Al-Attiyah e, non sapendo dove puntare, passa alla domanda di rito sull’efficienza del navigatore. Si “salva”, solo perché riporta la discussione sul terreno della semplice onestà intellettuale del “Principe” del Qatar. E infatti Matthieu Baumel sta parecchio a cuore a Nasser, ce n’eravamo accorti ancor prima della Dakar, e il fuoriclasse mediorientale ci tiene a descriverne il valore del supporto. Si scopre che Baumel è diventato un elemento chiave nell’abitacolo della macchina di Nasser, così come lo è al di fuori poiché si interessa di altri aspetti dell’organizzazione della Dakar del Principe. I due si trovano assai bene in compagnia l’uno dell’altro, al punto che la vita della Dakar in quella macchina diventa tutt’altro che quell’avventura dello stress che è per la maggioranza dei Piloti.
La vittoria di Nasser Al-Attiyah e Matthieu Baumel porta a segno l’ennesimo successo delle Mini del team di Sven Quandt. Questa volta, tuttavia, non sembra essere stato il manager tedesco a dettare le regole, ma il contrario. Nasser Al-Attiyah ha discusso a lungo con Quandt, e l’accordo è stato trovato solo dopo la vittoria dell’Equipaggio al Rally del Marocco dell’ottobre scorso. Il centro della discussione il fatto che, oltre al Paese, lo sponsor del Qatariano è la bibita energetica concorrente di quella che supporta la Squadra ufficiale X-raid.
La Mini ha voluto Nasser, a costo di sacrificare lo sponsor
Adesso, pare che Quandt non sia riuscito a “spiegare” in modo accettabile, al proprio Sponsor, la natura di quella soluzione alquanto atipica, e che potrebbe addirittura aver incrinato irrimediabilmente il rapporto.
Viene da dire che poteva facilmente pensarci prima, ma il fatto è, ancor più evidentemente, che il Signor Quandt ha preferito correre il rischio di perdere una partnership importante pur di difendere la propria leadership di costruttore.
Deve aver pensato, insomma, che era assai meglio ingoiare il rospo e correre il rischio, ma avere il Principe del Qatar tra i Piloti delle Mini, piuttosto che doverlo affrontare come avversario alla guida di un’altra macchina.
E aveva ben ragione, il signor Quandt.