Dakar 2014. Sfinente conto alla rovescia, non solo per gli Italiani. Poi 9.000 km di avventura

Dakar 2014. Sfinente conto alla rovescia, non solo per gli Italiani. Poi 9.000 km di avventura
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3, 2, 1... Prima del via “vero”, il conto finale alla rovescia diventa un incubo, quasi come il conto alla “dritta” di un KO. Poi il via, un taglio netto alla tensione. Salvati dal gong, insomma. Gli Italiani in gara | <i>P. Batini</i>
4 gennaio 2014

Quanto tempo si aspetta una Dakar? I più vi diranno “una vita”. Ci sono “Dakariani” che l’hanno sognata per un’intera carriera, figli di Dakariani che l’hanno sentita sognare prima ancora di capire e imparare a parlare, per continuare a sognare essi stessi e, a volte, realizzare il proprio sogno e “vendicare” quello del padre.  Ci sono padri e figli che hanno avuto la fortuna di partecipare alla Maratona dell’Avventura per definizione presto, da giovanissimi, e altri che hanno dovuto aspettare che il corso della vita aprisse loro un varco, talvolta, e in più di un caso, in corsa contro il tempo libero, il conto in banca e i risparmi, ma prima di tutto contro il “sopraggiungere dei limiti di età”. Non sono casi sporadici, sogni la Dakar da bambino, ti sembra a portata di mano quando sei nel fiore degli anni, ma magari devi aspettare ancora, e intanto gli anni passano.

La lunga attesa prima dell'inizio

Ma per tutti la lunga attesa, nel “concreto” della gara, inizia mesi prima, prima ancora dell’iscrizione, molto prima dell’accettazione di quella richiesta di partecipazione, e spesso continua affiancandosi alla vita o addirittura fagocitando per intero il quotidiano. Non è solo questione di essere professionisti o ufficiali, è che la Dakar finisce per assorbire completamente per mesi, talvolta per anni. Ma l’attesa peggiore è quello stillicidio dei giorni che precedono la partenza della corsa. Giorni che possono essere quasi trasognati, quando si raggiunge la mèta preliminare, in questo caso l’Argentina, e quindi Rosario da dove il 5 mattina tutto avrà inizio. Per qualche ora, per qualche giorno, molti Piloti possono persino provare la sensazione che tutto è ancora lontano, soprattutto sotto controllo. Girovagano per la città, completano gli acquisti, mangiamo al ristorante e in compagnia, staccano dagli scaffali anche qualche souvenir.

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Per molti partecipare alla Dakar rappresenta il sogno di un'intera vita

 

Poi, all’improvviso come un gancio alla mascella, arrivano i tre giorni delle verifiche finali. È la bolgia totale. Verifiche meticolose, zelanti, quasi assurdamente pretestuose, o apparentemente, volutamente estenuanti, che prosciugano le ultime gocce di tolleranza ai Concorrenti ormai al limite della pazienza. 3, 2, 1… lo stesso effetto del 1, 2, 3… scandito dall’arbitro e dal pubblico e indirizzato al pugile al tappeto. Tutto diventa nevrotico, ogni cosa sembra non poter andare al suo posto, ogni piccolo contrattempo diventa una catastrofe.

 

La tensione è palpabile. Interviste senza senso, l’impero delle frasi fatte, mandate a memoria e citate come in una lingua sconosciuta, espressioni di entusiasmo comiche o grottesche. Fotografie di tensione. Guardatele. Guardateli. Sembrano tutti un po’ più vecchi, smagriti, sì, provati. E il bello deve ancora venire. Prima che parta la Dakar, tutto è tremendamente falso, proprio perché sta per diventare tremendamente vero, di lì a tre, due, un giorno. È l’apprensione che gioca questo brutto scherzo. Nella stragrande maggioranza i Piloti sono realmente pronti, allenati, misurati nella testa e negli obiettivi, spavaldi solo quel tanto che serve per scacciare qualche ultimo dubbio o… per intimidire psicologicamente l’avversario.

Italiani, non sono moltissimi alla Dakar 2014. Alcuni hanno una storia, altri hanno deciso finalmente di scriverla. Una propria Storia di Dakar, s’intende

L'Elefante del deserto: com'è cambiato

Italiani, non sono moltissimi alla Dakar 2014. Alcuni hanno una storia, altri hanno deciso finalmente di scriverla. Una propria Storia di Dakar, s’intende. Una quindicina in Moto, solo quattro equipaggi in Auto, ancor meno con i Camion. Quest’ultima voce ha un suo perché. Prima, in Africa, il ruolo dell’”Elefante del Deserto” era fondamentale per trascrivere la corsa da una tappa all’altra, per portare uomini e mezzi al via, per trasportare ricambi e pezzi speciali, alimenti e carburante. Molti dei Camion in corsa erano in realtà al “lavoro”, dedicati a uno o più piloti in corsa che di conseguenza dipendevano, nella loro riuscita, dalla buona corsa del loro Camion di Assistenza. In Sudamerica le cose sono molto cambiate, anche in questo senso. I grossi camion sono meno utili, i furgoni e i mezzi anche più leggeri prendono il sopravvento, le Assistenze, insomma, adempiono sempre più esclusivamente al loro compito. Molto dipende anche dalla natura del terreno, e… dalle strade.

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Quest'anno partecipano una quindicina di Italiani in moto

Ma eccoli, gli Italiani in gara. Chi in moto...

Con il numero 21, il primo è Alessandro Botturi, alla terza Dakar. Paolo Ceci, numero 31, è nello stesso Team Speedbrain e anche lui guida la “ex” BMW ed “ex” Husqvarna, quella che in realtà è sempre stata la moto di Wolfgang Fischer, ma con il compito di assistenza veloce del boliviano Juan-Carlos Salvatierra, il vincitore della Coppa del Mondo Open. Francesco Beltrami ha il numero 81, e Gaetano de Filippo l’88. Il primo è in corsa con una Honda, il secondo con la seconda delle TM ufficiali, l’altra essendo assegnata al sammarinese Alex Zanotti, numero 43.

 

Con la Beta numero 94 Giulio Napoli, e ancora con una moto accudita da Boano Luca Viglio, #173. Per Paolo Sabbatucci, uno dei partenti “assetati di vendetta” dopo la sfortunata edizione 2013, una delle Yamaha di Franco Picco, quella con il numero 123. Per Paolo Libralesso quella con la tabella 178. Modi diversi di arrivare alla Dakar. Debuttare in coppia “cromosomica”, come i fratelli Alberto e Marco Brioschi che ci pensavano e vi lavoravano da anni e sono finalmente al via le KTM ##162 e 163, o come “Fratelli di Sangue e di Sogno”, che hanno dovuto aspettare ancor di più ma che non hanno mai “mollato”, come Filippo Talini, KTM numero 142, o Carlo Seminara, Yamaha #156. Più in fretta ha potuto fare Diocleziano Toia, KTM 138, ma lì centra anche un fisico bestiale, e ancora nella “norma” è la tempistica di realizzazione del sogno del monumentale Francesco Catanese, Yamaha 177.

Come dimenticarsi della Piccola Regina delle Piccole due Ruote, Camelia Liparoti? C’è certamente anche lei, la quattro volte Campionessa del Mondo


Detto dei Motociclisti, come dimenticarsi della Piccola Regina delle Piccole due Ruote, Camelia Liparoti? C’è certamente anche lei, la quattro volte Campionessa del Mondo, con un Quad Yamaha che scrive di rosa il numero 259.

... e chi in auto (e in camion)

Tra le Auto, la Toyota Land Cruiser 120 numero 356 di Pietro Cinotto, in gara assieme al decano Maurizio Dominella, e la gemella con il numero 412 di suo padre, il famoso Michele, ancora dentro un abitacolo da corsa insieme all’amico e navigatore Fulvio Zini. Con il Buggy numero 430 Gianpaolo Bedin e Fulvio Richiardi e, per concludere la corta lista degli automobilisti italiani, la PanDakar numero 454 di Giulio Verzeletti e Antonio Cabini. Loris Calubini e Paolo Calabria con il Mercedes numero 551, Norberto Cangani è sul Mercedes 552 di Marco Piana e Stephane Trote. Marino Mutti, Giuseppe Fortune e Eleonora dal Prà, per concludere la lista flash dei “camionisti” italiani, compongono l’equipaggio tutto italiano del Mercedes numero 558,

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