Dakar 2013. Franco Picco: «Pronti a riprendere»

Dakar 2013. Franco Picco: «Pronti a riprendere»
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La Leggenda si ferma. Ma non perché è sconfitta dalla Dakar. Il ruolo di Franco Picco nella Storia è adesso un altro. Ecco l'intervista a Franco Picco e Paolo Sabatucci | <i>P. Batini</i>
14 gennaio 2013

Il terzo giorno si è fermato Franco Panigalli, il sesto Paolo Sabatucci, ce l’aveva quasi fatta, e il lituano Igaris Gintautas, assistito speciale del Team Franco Picco Racing. Fabio Mauri non l’ha fermato, invece, neanche il freddo sulle Ande affrontato gioco forza in tenuta da… spiaggia. E per Franco Picco è arrivato il momento del ritiro, con una decisione sofferta, “contro natura”. Ma è la logica dei buoni.

 

Franco Picco, è arrivato il momento del ritiro...

Franco Picco: «È una logica semplice, e basta. Il nostro camion di assistenza si è guastato ancor prima di Calama e abbiamo scoperto che il ricambio necessario per ripararlo non si trova in Sudamerica. Non solo non ci può essere di nessun aiuto, non solo non trasporta più meccanici, ricambi e i “bagagli” di tutti, soprattutto dei Piloti, ma bisogna anche pensare a come “recapitarlo” a Santiago, per imbarcarlo e riportarlo in Europa».

 

«I nostri Piloti, anche quelli ritirati, sono a San Miguel de Tucuman, e solo io conosco la lingua e ho i contatti in Argentina e Cile, perché vi organizzo i miei Tour per i clienti, per organizzare un’assistenza, diciamo di fortuna, per consentire a Fabio Mauri di proseguire. Non posso telefonare dalla moto o mandare un fax, e al bivacco della sera sarebbe poca cosa o non abbastanza per garantire il “servizio”. Ecco che la decisione è logica: ho organizzato la spedizione ed ho il dovere di assistere i miei “soldati”. Per questo ho deciso di ritirarmi, di svestire i panni del Pilota e proseguire esclusivamente come Team Manager».

franco picco dakar 2013 2
Picco ha scelto logicamente di ritirarsi per assistere meglio i piloti del suo team

 

Ma sei un Pilota, ti sarà intimamente costato parecchio…
FP: «Mi è costato starci a pensare mentre percorrevo la sesta tappa, ma la decisione era già lì, chiara che mi veniva incontro sulla pista. Mi sono aiutato cercando una scusa, e l’ho trovata nell’anca che mi fa un po’ male per una caduta. In questo caso è un pretesto ideale, classico. Mi piace andare in moto, e ho costatato ancora una volta che potevo andare un po’ più forte, non fosse altro per stare alla larga dall’inferno delle retrovie, disastrate dall’arrivo delle auto e dei camion, in mezzo alla polvere e in compagnia dell’urlo assordante del Sentinel, che mi avvertiva che stava sopraggiungendo un altro concorrente alle mie spalle. Ma andare piano era una scelta obbligata che mi consentiva di controllare i miei “ragazzi”. Un po’ di malincuore, certo, ma sono partito per stare con i miei e se fossi rimasto in gara sarebbe stato un problema per tutti. Ho fatto la scelta giusta. La Dakar di quest’anno è più impegnativa, ma si poteva fare…».


Paolo Sabatucci, ritirato, è lì accanto e subentra…
PS: «Impegnativa? È un inferno. È molto più dura di quanto si pensasse e di quanto si potesse vedere. Le immagini della TV indulgono sui passaggi più suggestivi e romantici, paesaggi, lunghe distese al tramonto, passaggi soft sulle dune. Non ti fanno vedere quei canaloni in picchiata che ci hanno fatto fare all’inizio, null’altro da fare che chiudere gli occhi, lasciare andare la moto e sperare in dio. Non ti fanno vedere quelle tappe, definite corte, ma che ti fanno fare un giorno di trial tra i sassi e nelle interminabili “pozzanghere” di fesh-fesh…».

 

Impegnativa? È un inferno. È molto più dura di quanto si pensasse e di quanto si potesse vedere

Franco, dunque il Pilota si è fermato…
FP: «Ma il manager va avanti. Ci siamo organizzati in fretta. Prima della partenza da Calama ho buttato due borse su un’auto dell’organizzazione, con il life-package per Mauri. Fabio è stato davvero forte, troppo forte, al punto che è arrivato sulle Andre quando ancora non avevamo recuperato la sua “dotazione” invernale, obbligatoria ma non per legge come sulle nostre autostrade. Ha stretto i denti e affrontato il passaggio in quota infreddolito, ma non ha fatto una piega. Quello non lo ferma niente e nessuno. Io intanto ho recuperato una machina qui in Argentina, stabilito il nuovo campo base che solo per la giornata di riposo è in hotel, e organizzato i movimenti per le tappe successive. Intanto provvediamo, grazie al mio PC Course in Italia, mia moglie Marzia, al recupero del camion».
 

Vista da dentro, e da “fuori”, com’è la Dakar di quest’anno?
FP: «La Dakar è semplicemente sempre più grande. Organizzativamente è una machina mostruosa. Gli organizzatori sono bravi, e affrontano con successo problematiche sempre più complesse e difficili. Dal punto di vista del percorso, la prima parte è stata ben più difficile del “normale”. Di solito i primi giorni lasciano respirare, in modo che i concorrenti si ambientino. Quest’anno no, subito difficile, anche le tappe apparentemente più corte e agevoli. Il livello agonistico si alza continuamente. Non solo quello che riguarda i Piloti “top”, ma in generale. Ci sono molti più giovani, l’età media si sta abbassando e i nuovi arrivati ci danno il gas. È un dato che deve far riflettere per la sicurezza. I “vecchi” hanno più esperienza e vanno più piano, i giovani sono spesso più bravi, ma anche più temerari».

Resoconto. Registriamo tre ritiri. Paolo Sabatucci, per un problema meccanico imprevedibile, soprattutto in una moto nuova e affidabile come le nostre. Si vede che è un caso…

 

Stiliamo il bollettino di guerra. Più che altro infermeria, mi pare, e come sta Franco Panigalli?
FP: «Resoconto. Registriamo tre ritiri. Paolo Sabatucci, per un problema meccanico imprevedibile, soprattutto in una moto nuova e affidabile come le nostre. Si vede che è un caso…»

 

PS: «Scusate, mi intrometto di nuovo. Stavo andando alla grande. Beh, alla grande grande magari no, ma bene e di sicuro il peggio era passato. Ero a due chilometri dal CP 2 della sesta tappa. Le dune erano ormai alle mie spalle, il tratto peggiore dell’ultima tappa micidiale (della prima parte di gara) ormai solo da dimenticare, e davanti a me solo distese piatte e rassicuranti. La moto si è fermata e io sono rimasto lì. Ho raggiunto il CP e sono salito su un’auto dell’organizzazione. Fine. Settima tappa, che non è stata difficile, l’ottava rimaneggiata. Sicuro: il peggio era passato. Mi fa "incazzare…"».

 

Possiamo continuare?
PS: «Sì, scusate se mi sono infervorato, ma proprio non mi va giù…».

 

FP: «Lo capisco. Continuiamo. Il nostro Pilota lituano, Igaris, è caduto e si è fratturato una mano. È già in viaggio verso casa per farsi operare e tornare alla svelta in sella. Paolo eccolo qui, fisicamente esuberante e con il morale come vedi in subbuglio, ma mi da una mano ed è entrato nella “task force” dell’emergenza. Panigalli lo sai, è caduto e ha perso conoscenza. Uno zigomo fratturato e dolori dappertutto. Doveva stare in osservazione, forse, ancora per un po’, ma non ce l’ha fatta. Ha firmato ed è scappato dall’ospedale. Si è imbarcato su una macchina con due giornalisti russi ed è qui con noi. Sta bene, gironzola per il bivacco e ci da una mano anche lui. Il team è compatto e andiamo avanti!».
 

Dai Paolo, tocca a te. Un bilancino e il programma del ritorno, please…
PS: «La mia prima esperienza è stata per certi versi allucinante. Gara durissima, tappe molto difficili, molta sabbia e troppo fesh-fesh. So che per un Pilota bravo non è lo stesso, ma per me la prima Dakar è stata così. Dovevi essere lì, sulla cresta della duna e vedere il cappottamento di Robby Gordon finito sul tetto… Adesso c’è un po’ di amarezza ma sì, penso di tornare. Prima di tutto mi piace finire le cose che comincio, e poi scatta il meccanismo della sfida, e la vuoi vincere!».
 

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