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Carlos Sainz vince la sua seconda Dakar con la Peugeot 3008 DKR Maxi. La Macchina è l’evoluzione del “dueruotemotrici” rivoluzionario realizzato a Velizy per la Dakar del 2015. L’Uomo è il rivoluzionario Pilota già due volte Campione del Mondo WRC, 1990 e 1992. È il “Matador” nato a Madrid il 12 Aprile del 1962, combattente puro e istintivo, anche Pilota aggressivo e, per questo, incline all’errore, che la Dakar 2018 e l’idea dell’ultima chance ha trasformato in un chirurgo abilissimo e riflessivo, perfetto stratega al servizio del Pilota di altissima classe. Lo spettacolo puro non ci ha rimesso, l’epopea della sua seconda Dakar vinta ci ha guadagnato in spessore, in caratura della prestazione globale. Il tutto è condensato, come gli anelli di Saturno, in una nuova aura di leggenda.
Carlos Sainz aveva già dieci Dakar sulle spalle. Nel 2010 aveva vinto con la terza serie Touareg VW, aveva il terzo posto dell’anno successivo e due top ten di inizio carriera nei Rally-Raid, ma anche ben sei ritiri, gli ultimi due da leader per un problema al cambio ma anche per una volata terrificante, ma innocua, in fondo a una scarpata a pochi chilometri dalla fine della quarta tappa. Inoltre la sua presenza in squadra era stata, a un certo punto, addirittura messa in dubbio. Il Team all’inizio dell’anno con programmi da definire nel dettaglio non lo aveva ancora confermato, le chiacchiere si erano immediatamente amplificate e lo stesso Carlos non era contento della sospensione di certezze nella quale affrontava la primavera.
Per fortuna, di entrambi, era solo questione di tempo, di ordine del giorno da definire. E di lì a poco, non pochissimo, Sainz e Cruz, il navigatore del primo successo, erano confermati e il programma validato.
Anche Sainz, come Walkner, vive la prima parte della Dakar all’ombra di avversari e compagni di Squadra. Prima di lui vincono tutti, Al Attiyah, Despres, Loeb, Peterhansel. Sainz e Cruz partono piano e questo, all’inizio, è un fatto che lascia sconcertati, incapaci di interpretare positivamente l’anomalia tattica dello spagnolo. Sedicesimo, sesto, un quarto, un paio di podi. Risultati in disordine, mai veramente eloquenti o almeno indicatori. Poi, all’improvviso e approfittando di una situazione che evolve in maniera strana, errori, errori, esagerazioni di Avversari eccitati ma anche di esperti, Sainz mette la sesta marcia e vince a La Paz. Ancora non convinti, si dice che è una Tappa favorevole. Solo che la macchina è “favorevole” almeno per un altro paio di Equipaggi, e la “stranezza” che induce a dar fiducia al Matador è che Sainz ha saputo sfruttare perfettamente la tappa andando forte, ma senza avvicinarsi pericolosamente ad alcuno dei suoi limiti storici.
Al contrario, il giorno dopo nella Tappa che porta a Uyuni, la settima che è la prima metà della Marathon, sbagliano tutti, chi meno, come Al Attiyah, Ten Brinke o De Villiers, chi… tanto, come Peterhansel che va lungo, sbatte e libera la leadership. Sainz è lì e la prende al volo. La sua Gara prende un’altra piega, facile da definire definitiva… non si trattasse dell’epico Matador.
Invece Carlos Sainz cambia completamente strategia, ovvero adotta la più “classica” tattica di gestione del vantaggio. Facile per molti, quasi tutti, ma non per Carlos. Il Pilota si consuma nella tensione del controllo del proprio vantaggio. Lo dirà alla fine, stare attenti a non sbagliare, restare concentrati e calcolare quanto tempo regalare a destra e sinistra senza che la classifica ne risenta, è una frustrazione corrosiva.
Carlos Sainz ha un atout da giocare per trasformare la sua vecchia verve in una ponderata arma letale. La Macchina.
Sainz ha visto nascere la prima Peugeot della Serie DKR. È un progetto rivoluzionario di Formula 1 del Deserto progettata dal Team diretto da Bruno Famin, che sarà anche il Manager del Team Peugeot Total. Un programma di tre anni, e un obiettivo chiaro e non negoziabile: vincere nell’arco di tempo a disposizione, poi si chiude. Altri progetti analoghi ci hanno messo il doppio del tempo.
A Sainz, che è uno degli sviluppatori di Auto da corsa più abili del Pianeta, il Progetto piace, ma non la prima Macchina realizzata, quella 2008 DKR del debutto. Bellissima, design da capogiro non ancora toccato dalle necessità dell’evoluzione, ma non così efficace come sembrava sulla carta. Difatti l’anno dopo si inizia lavorare sulla logica di miglioramento della Macchina, ma anche più recisamente seguendo le indicazioni di Carlos. L’accoppiata è formidabile, il confronto tra Famin e Sainz è una straordinaria avventura dell’evoluzione tecnica, con i suoi inevitabili momenti di criticità ma regolata e sospinta da una passione comune potentissima. La 2008 seconda generazione vince, ma al volante c’è “Peter”. Bene per la Squadra e per Peugeot, l’obiettivo è centrato. Mancherebbe una cosa.
Per quella arriva anche Sebastien Loeb. Tutti ci facciamo persuasi che sia lui il predestinato, ci dimentichiamo di Sainz e puntiamo sul duello tra Peterhansel e Loeb. È l’ora della 3008 DKR. Che vince ancora, è la seconda volta. Non con Loeb, che un bel giorno la manda in briciole, ma del “solito” Stephane Peterhansel. E due per Peugeot, e due per Monsieur Dakar.
Ecco l’enzima regolatore di eccessi. Sainz ci teneva troppo a vincere con la Macchina che ha amato e cresciuto con cura e attenzione amorevoli. È stata l’idea di vincere con la Peugeot che ha tenuto in caldo i peggiori istinti di Sainz, e l’obiettivo così configurato ha consentito al Pilota di esprimere un nuovo, quasi inedito format di Fuoriclasse. Non è stato facile, ammette Carlos, ma ha funzionato.
E chi altri poteva vincere la Dakar delle Auto, e come è andata, invece? Almeno altri tre Piloti, a patto che avessero in dote la fortuna di guidare una Peugeot, il doppio se non ci fossero state le Peugeot. Lo spartiacque della Dakar di oggi è l’imbattibilità, evidente, delle 3008 DKR. Dunque i 4 del Dream Team Peugeot, ma anche il solito Al Attiyah, 4 Tappe vinte, De Villiers, una, l’astro nascente Ten Brinke, il già a mèta Nani Roma. Più difficile definire i valori in campo delle alternative a Peugeot. Per questo ci sarà una selezione diretta una volta che le Macchine ufficiali di Velizy saranno ritirate dalle competizioni. Lo stato attuale espresso dalla Dakar non consente di fare un raffronto. Le Mini sono sparite, quasi tutte, e le Toyota sono state lì, impotenti, a guardare, e Al Attiyah, partito con il coltello tra i denti e… il dente avvelenato, ha candidamente ammesso che gli farebbe comodo una Macchina più veloce. Tipo una Peugeot?