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Belen, 16 Gennaio. È la Tappa del caos. O dell’apocalisse. Da Salta a Belen, decima Tappa il giorno dopo l’annullamento della nona. Siamo da capo. Se per un giorno Piloti e Equipaggi erano stati graziati e avevano potuto godere di una giornata supplementare di meritatissimo riposo, l’indomani è spietato. Non tanto per le distanze, comunque ormai vicinissime alla soglia degli 800 chilometri in un clima improvvisamente torrido, quanto per la Speciale in due tronconi per un totale di 370. Caldo, piste di polvere, spesso ricavate o scelte nei letti sconfinati dei fiumi che in questo periodo sono per lo più in secca. Le cornici del tracciato variano, bellissime, tra vigneti e dune di sabbia, e canyon rocciosi di colori che vanno dal rosso al verde, dal grigio al tetro nero. Solo tetra, terrificante, è la decima Tappa del Rally. Il livello di durezza di questa edizione non accenna a calare. Probabilmente tra tre o quattro giorni si dirà che chi è arrivato sin lì non avrà più nulla da temere, ma l’audience sarà decimato e sconvolto. Questo è sicuro.
È importante chiarire subito una cosa. La rivoluzione che ha stravolto la classifica della Gara della Moto potrebbe non essere ancora arrivata al suo momento di tregua, tanto meno di pace. I Concorrenti all’arrivo mentre scriviamo sono poco più di settanta, la classifica è irriconoscibile. Altri ritiri, importanti, affettivi, altri incidenti, ritardi clamorosi, hanno cambiato ancora una volta la faccia della Dakar Perù-Bolivia-Argentina. La numero 40, memorabile nelle intenzioni celebrative e indimenticabile negli sconvolgimenti sportivi e ogni giorno al confine con il dramma, continua a dare il… peggio di sé.
Solo un accenno di sintesi. A Salta era in testa Adrien Beveren. Al secondo posto c’era Kevin Benavides. Al terzo Mathias Walkner. I tre migliori erano in un fazzoletto di cinque minuti. Poco più. Poi Price, Barreda, Meo.
A pochi chilometri dall’arrivo cade in volata Adrien Van Beveren. Il francese poteva controllare la corsa. Aveva da far fuori Kevin Benavides, d’accordo. Un osso duro, Pilota di Casa. Dura ma possibile. Un po’ troppo forte nel letto del fiume, ormai in braccio al pubblico sovreccitato di Belen. Un sasso sotto la sabbia. Ci sta anche quello, eccome. Adrien vola via e si fa male. Clavicola, costole, commozione cerebrale. Out. Anche la Squadra Yamaha è azzerata.
Via libera a Benavides. Basta il cognome, il fratello Luciano è già fuori. Si corre in casa, ma a volte non basta. Benavides si perde e lascia in pista più di quaranta minuti. Lasciamo perdere gli spiccioli. Una disfatta.
Botturi. Alessandro Botturi. Anche lui. Come Van Beveren. Solo meno veloce, più prudente. Ma non basta. Stesso sasso. Scoppia la ruota anteriore. Qualche costola, un colpo bassissimo del destino al morale. Non ci voleva, ma purtroppo ci sta. E in questa tappa di questa Dakar sembra essere la regola.
E avanti. Price, cinquanta minuti al pascolo. Barreda, quaranta. Alberto Bertoldi dov’è? A Belen si arriva tardi, o non si arriva. I motivi sono chiari. È la tappa più micidiale del Rally. Perché? Per i sassi sotto la sabbia, abbiamo detto. E se si corre nel letto del fiume, secco, i sassi sono tutti lì, invisibili. Ma anche perché c’è da navigare molto. Ora ci sono quei dannati waypoint nascosti, specie di timbri virtuali che devi andare a prendere con precisione. Solo che il commissario con il timbro in mano lo vedi, anzi si fa vedere, il timbro GPS non lo vedi. Fa bip se ci salti sopra, come una mina, altrimenti non ti considera nemmeno. C’è chi è contento di impiegare dieci minuti a trovarli, chi non si dispera per mezz’ora. Gran senso di mal comune. Comunque, oggi, navigare è un inferno.
In Macchina non è troppo diverso, ma sono in due, naturalmente, e l’operazione viene di solito meglio. Anche di molto.
Peterhansel e Cottret lo dimostrano. Fanno vedere come si fa a prenderli in fila senza sbagliarne uno soltanto, come al tiro a segno. Il fuoriclasse dei fuoriclasse, ben assistito dal fratello di carriera automobilistica, non sbaglia un colpo. Eppure non dev’essere un’impresa facile, se ci si è intestarditi ad azzerare il ritardo per cui ora c’è Al Attiyah al secondo posto. Per la prima volta, a vederlo passare nel letto del fiume, ho sentito dire da uno accanto a me: “Quello è matto!” riferendosi alla velocità della #300 nel fiume, e alla precisione dei cambi di direzione, fulminei, infallibili. Oggi la Dakar impossibile fa vedere anche questo. Si parte dietro e si vince, come un tempo. Si parte davanti, si sta davanti e si vince lo stesso. Come “Peter”, Sainz. Roba di questi giorni. Un grande cambiamento. Non è nuovo che “Peter” vinca un’altra Tappa, che scavalchi l’Al Attiyah bonificatore di campi minati virtuali, e che torni al secondo posto in un battito d’ali. Sainz, naturalmente, si frega le mani. Gli hanno piantato un casino ridicolo, facendolo passare da bullo o da disonesto, e non appena può lo spagnolo risponde con il volante in mano. Terzo, pian piano, solo una volatina nel finale. In testa più sicuro, cala il numero delle Tappe da disputare, il suo vantaggio cresce invece di diminuire. Non c’è niente da fare, queste Peugeot continuano a spiazzare. Inarrivabili.
Tanto di nuovo e di difficile. Purtroppo è nuova anche la psicosi da waypoint mancato, o preso con troppo tempo speso nella ricerca. Nessuno è in grado, insomma, di controllare la gara con elementi concreti. Uno arriva lì – Ma dove sono gli altri? Vedi gli altri che diventano matti nel fiume, e tu vai a palla sull’argine, ma sei fuori dal road book, non puoi vedere quei sassi, all’improvviso, grandi come tavolini. Magari la loro parte la fanno anche i MapMen, figure che mentre dormi, nell’ombra del motorhome studiano il percorso. Si fanno tutta la Tappa su Google Map, e al mattino ti dicono dove devi andare, dove devi stare attento. Purtroppo per tutti il percorso ora è opera di Marc Coma, che ne sa una più del diavolo e come metterti nei guai.
La psicosi funziona così. Una perdita di tempo mette tensione. Una grande perdita di tempo genera panico. E la risposta al panico è la manetta. Ma il panico è contagioso, come l’errore.
Dicevo che non capivo dov’era KTM, perché non usciva allo scoperto. Oggi lo ha fatto. Walkner è andato meglio degli altri, ha vinto per la prima volta una Tappa e ora è in testa, da solo, quaranta minuti, pensa te, su Barreda che dopo aver sbagliato di tutto e di più torna viceré.
Però la vittoria di Walkner non è così “limpida”. L’austriaco, bravo, Campione del Mondo, freddo, intelligente, oggi è anche fortunato. Mathias si è perso subito. Un errore di navigazione. Così si è inevitabilmente staccato dalla muta selvaggia che era partita ringhiando e con la bava alla bocca a caccia del Waypoint. Che non era uguale agli altri. Non ci si poteva cascare sopra. Così in quel momento, mentre un bel gruppetto di fenomeni macina tempo e chilometri inutili, Walkner è costretto a smettere di interpretare la Corsa, e per rientrarvi non gli resta che seguire alla lettera il road book.
Così si arriva sui waypoint. È Marc che si frega le mani ora. Anche questo è un ritorno alle origini. Difatti basta dare un’occhiata alla classifica per notare che ci son dei nomi non così in evidenza fino a ora che hanno fatto faville. Pablo Quintanilla, bravissimo ma mezzo morto a questo giro, secondo. Gerard Farres, terzo, Oriol Mena, quarto, Cornejo, Pedrero.
Gara un po’ meno aperta. Ora Walkner può far da balia al suo primo Titolo. Beh, già troppi non sono riusciti a far bene questo mestiere antico, quindi aspettiamo. E aspettiamo anche che le vicende della decima tappa siano vidimate. Non si sa mai. GPS, reclami, tracce, troppe cose da controllare ancora, bene o su “richiesta”!
Se poi non si fosse ancora convinti che questa è un’edizione un po’ speciale, ricordiamoci che ora tocca al “catino” di Fiambala.