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14- Cordoba, Buenos Aires, 20 Gennaio. Improvvisamente, la Dakar scende a “fittone”, indisturbata e in buca come la pallina persa del flipper. E noi dietro, di rincorsa. Da Tinogasta dritti a San Juan, festeggiamo il mio compleanno on the road. 600 chilometri sulla infinita Ruta 40 nel tratto cruciale del buon Vino argentino. Ci fermiamo a far gasolio in un crocevia in mezzo al nulla, attorno a un micro centro abitato… da una sola famiglia che ha installato distributore, alimentari e emporio. Di passaggio o per necessità, per un mate, un pezzo di ricambio, per rifornirsi o solo per un break, tutti arrivano a Salicas e incontrano i componenti della famiglia Reyes. La capostipite è arrivata qui dalla Basilicata, oltre cinquant’anni fa, si è sposata e ha dato origine, con il marito, alla Famiglia e alla stazione multifunzionale di Salicas. La sosta si prolunga e festeggiamo ancora a casa di Annunziata. Riprendiamo il cammino, quasi al traguardo nuova sosta sulla strada, al comedor la Soniada dove formalizziamo l’anniversario, poi via fino a San Juan. Visita accurata al “bivacco” sulla pista di El Zonda e notte veloce al piccolo Civico Art Hotel in Città, meraviglioso. Della Corsa restano da espletare le scenografiche formalità finali. La Tappa, la dodicesima e terzultima, è stata annullata ancora per le Moto, e vinta da Al Attiyah per le Auto, in un inutile canto del cigno che non fa altro che mettere in evidenza l’inarrivabilità delle Peugeot. Anche Benavides ha visto respingere il suo reclamo per la faccenda del discusso Waypoint di Belen. Non c’era da sperarci, impossibile rimettere in gioco un finale di Rally che è già consolidato ed è praticamente in archivio. Il Pilota Honda ci ha provato, probabilmente dal suo punto di vista giustamente, ma è Walkner che si appresta a consegnare a KTM la diciassettesima vittoria consecutiva.
Da Tinogasta dritti a San Juan, festeggiamo il mio compleanno on the road. 600 chilometri sulla infinita Ruta 40 nel tratto cruciale del buon Vino argentino. Ci fermiamo a far gasolio in un crocevia in mezzo al nulla, attorno a un micro centro abitato… da una sola famiglia che ha installato distributore, alimentari e emporio
Pensando allo spessore del dominio Peugeot/KTM sulla quarantesima edizione, il tempo passa dolcemente e siamo già sulla strada per Cordoba, ultima mèta geografica della Dakar Perù-Bolivia-Argentina. La penultima Tappa di una Dakar che se la prende con i sopravvissuti, ancora una trappola fatale. Ben 900 chilometri tra San Juan e Cordoba con una Speciale “media” di 400 per Auto, Moto e Camion. Escono si scena a un passo dall’epilogo Ten Brinke con la Mini, Brabec con la Honda e Vilagra con l’IVECO, un ritiro importante per categoria. Peterhansel, invece, clamorosamente vittima di un nuovo incidente, se la cava come a Uyuni, con l’aiuto dell’Assistente Veloce Despres. È strano, sembra quasi che solo i primi si sentano in dovere di conservare la posizione, mentre tutti gli altri annusano ancora l’aria alla ricerca di una preda. È interessante anche osservare come Peugeot e KTM proteggono la leadership. C’è una tensione enorme tra le file dei Team, palpabile, che si converte in una maniacale attenzione, un controllo esagerato e quasi scaramantico, è la Tappa numero 13, di tutte le operazioni, dalla partenza all’arrivo. Il risultato è un silenzio pesantissimo, di massima concentrazione, pochi sorrisi. Nessuna strategia d’attacco e largo all’esperienza di gestione della Gara in una fase determinante, cruciale. La Dakar… fino all’ultimo metro… quante volte l’abbiamo ripetuto? Lo stillicidio consuma, ma funziona, Sainz e Walkner, Peugeot e KTM, sono ormai a tiro del successo. Ultima Tappa, l’anello Cordoba-Cordoba con arrivo a La Cumbre, 120 chilometri appena, e per i “predestinati” è trionfo. Carlos Sainz, Peugeot, poi Al Attiyah e De Villiers. Walkner, KTM, poi Benavides e Meo. Nikolaev, Kamaz, poi Viazowich e Mardeev. Casale, Quad Yamaha, poi Cavigliasso e Ferioli. Volete anche gli SSV? Varela, Can-Am, poi Garrouste e Fournier. Fine. È l’ultima Dakar di Marc Coma, lo sapremo poco più avanti, la più bella in Sud America, la più difficile.
A Cordoba abbiamo trovato alloggio in un loft vicinissimo allo Stadio Kempes, ultimo bivacco della Dakar. Punto d’appoggio comodo, ma torrido. Del resto siamo sempre in giro. Al mattino, finita la Corsa, ospiti della famiglia Carignani a La Cumbre. Argentini, italiani, sovrani del Gelato, sono divisi tra Argentina, Italia e Germania, ma fantasticamente uniti e appassionati attorno alla partecipazione di Juan Carlos. Aperitivo indimenticabile. A sera, invece, a cena con l’affascinante icona di Acerbis Argentina, Corina, e suo marito Marcelo. Inutile precisarlo, onnivori, sì, ma da qualche giorno ormai fortemente polarizzati in senso carnivoro. Forse a causa della straordinaria comunione con straordinari Malbec argentini incontrati sulla nostra strada la serata è dolcissima.
E non è finita. Partiamo di buon mattino. Per prima cosa visita all’atelier del nostro ospite, Antonio Tocho. Il nostro anfitrione è, infatti, il Titolare di VBM, Vida Bandida Motocicletas, e il realizzatore di singolari custom café racer post atomiche. Poi lasciamo Cordoba. Nonostante l’atmosfera di assoluto relax che ci accompagna, voliamo sugli 800 chilometri che separano Cordoba da Buenos Aires via Rosario. Ripensandoci, in effetti abbiamo le ore contate, ma non è per quello. Succede che a Cordoba riconsegniamo il Tripy, angelo custode giallo che ci ha seguiti, controllati e istruiti sull’itinerario della Dakar. Tra le altre informazioni e funzioni essenziali, quelle che fanno del particolare strumento GPS un gioiello, una e una soltanto non ci è mai andata giù: il controllo della velocità. Utile, sì, per la sicurezza, ma un capestro per gente come noi che, comunque, è ligia al dovere e al buonsenso. Fatto sta che sui due rettilinei, Cordoba-Rosario e Rosario-Buenos Aires che uniscono le tre Città argentine, liberiamo finalmente la nostra Peugeot 3008. Ed ecco perché voliamo, rapidissimi e sicuri, leggeri e liberi.
A Buenos Aires, headquarter all’Aeroparque Inn & Suites, “storico” hotel e campo base delle nostre esplorazioni argentine, e 30 ore di tempo. E ora vi diciamo noi quante cose si possono fare in 30 ore… se si ha la fortuna di consegnarci nelle mani di una guida appassionata come Juan José “Gato” Barbery. Gato ha fatto tre Dakar, dal 2011 al 2013, ha concluso la terza e ha appeso il casco al chiodo, ma non la passione. È diventato uno dei più quotati giornalisti sportivi sudamericani, semplicemente perché ha talento, passione e quella sensibilità che ti viene solo stando vicino, sempre più vicino alle cose che ami. Insieme a Maradona, la Dakar è una di queste, ed ecco perché il giornalismo argentino e Fox TV hanno tra le loro file un commentatore competente e prezioso almeno quanto… la nostra guida! Gato Barbery, so che l’avete immaginato, è amico di vecchia data di Mr. Franco.
La mattina ci occupiamo della nostra Peugeot. Ha finito il suo “lavoro” e, con un vero dispiacere, la portiamo a Campana per imbarcarla sul Cargo che la riporterà in Europa. 10.500 chilometri di compagnia perfetta, senza un solo guaio e solo una modestissima richiesta di bevanda. Nel momento in cui consegniamo le chiavi al funzionario spedizioniere siamo a piedi, letteralmente, ma lo sentiamo come una privazione psicologica. La 3008 è stata, più di un veicolo o un mezzo, la piattaforma a levitazione magnetica della nostra Avventura. Adesso ci tocca tornare con i piedi per terra, bus, taxi, treni, tram, roba da età della pietra, ma l’avventura della 3008 continua. Rientriamo a Buenos Aires alla velocità del fax e organizziamo le tappe preliminari del nostro rientro. I bagagli, operazione che riporta alla luce cento souvenir del nostro viaggio, quasi dimenticati, la cura del corpo, una celebrativa doccia con barba e shampoo (Mr. Franco, io ne faccio a meno), un poco di lavoro.
Nel frattempo ci ha raggiunto Fernando “Pikolo” Prades. Lo spagnolo è il prototipo, ma anche il fenotipo, del Meccanico della Dakar. Insieme a Heinz Kinigadner è il tecnico che ha dato vita alla KTM da Rally, ora è un freelance al servizio degli appassionati, ma in cantiere ha il rientro ufficiale di SWM. Fernando è più che un amico, un fratello. Completata la formazione, affrontiamo la sfida della cena. Siamo d’accordo con Gato, all’andata in campo nostro, ritorno su un campo di sua scelta. Il nostro è il Mirasol de la Recoba, osannato e collaudato tempio dell’asado argentino in tutte le sue possibili, e religiose declinazioni. Io punto dritto al “mil” (sta per grammi), che quest’anno ha preso il nome di “Baby”, concerto e sintesi di una filosofia gastronomica che abbraccia storia e tradizione, ma soprattutto estro lapidario e qualità. Mr. Franco sceglie il Malbec, di modo che la notte passa su un livello di levitazione addirittura superiore rispetto a quello consentitoci della 3008 abbandonata in banchina a Campana, ma diverso.
All’alba, è ormai un’abitudine e poi abbiamo dormito ben sei ore, partiamo da Buenos Aires per… Buenos Aires. Battiamo passeggiando i luoghi del Tango, le vie del centro, ci tuffiamo nelle origini di Buenos Aires al Barrio de la Boca, il quartiere che deve la propria identità all’immigrazione genovese della fine dell’ottocento. Percorrere il Caminito, la via più caratteristica del Barrio, è un salto indietro nel tempo e un corridoio verso un presente tutt’altro che secondario. Il Caminito porta dritto alla Bombonera, lo stadio Alberto José Armando sede operativa dei Boca Juniors e uno dei templi più famosi ed evocativi del Calcio mondiale. Attraverso le meraviglie de La Boca si passeggia con la mente continuamente in avanti nel tempo e indietro, come guidare con il road book con lo sguardo alle note e alla pista, ed è un’esperienza, singolare e significativa. Da un’epoca a un’altra, ci spostiamo in centro per il caffè. A La Biela, naturalmente, centro motoristico storico della Recoleta, via Quintana, all’ombra del gigantesco albero della gomma o all’interno, dagli anni cinquanta frequentato dai Campioni del Motorsport, a partire da Manuel Fangio. Gato ci porta anche in un altro luogo che merita la nostra attenzione a poco più di un chilometro, in via Santa Fe. È l’ex teatro Grand Splendid inaugurato nel 1919, cento anni dopo gigantesca e originale libreria El Ateneo Grand Splendid.
La sabbia della clessidra sta finendo tutta nel bulbo inferiore, ci restano pochi granelli di tempo per hotel, taxi, Ezeiza, Madrid, Parigi, casa. Il volo di ritorno è un po’ come una parabola di sintesi sull’intero viaggio, di riflessione e di propositi
Da ventiquattrore Gato ci racconta di Buenos Aires e della sua storia, le sue curiosità, il suo… Maradona intrecciato a quest’atmosfera di aneddoti così intrigante. È l’ora di leggere la sua versione, “Yo soy el Diego (de la gente)”, che Gato cita ogni tre minuti. Chiedo al commesso, poi a un altro. Spiacenti, il libro è esaurito. In quella, dai meandri degli scaffali, spunta Mr. Franco, occhialetti sul naso e un libro in mano. “Dovresti leggere questo…” “Yo Soy El Diego (De La Gente)” Mi commuovo.
Rivincita a la Parrilla, la “Cancha” scelta da Gato. Né vinti né vincitori, certe partite su un altro livello non si concludono con l’avvilimento di un punteggio, e poi il piacere ha così tante sfumature equivalenti. La sabbia della clessidra sta finendo tutta nel bulbo inferiore, ci restano pochi granelli di tempo per hotel, taxi, Ezeiza, Madrid, Parigi, casa. Il volo di ritorno è un po’ come una parabola di sintesi sull’intero viaggio, di riflessione e di propositi. Dove andiamo la prossima volta, Mr. Franco?
Ah, un’ultima cosa: non è finita…
Foto: Piero Batini - Nikon