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Cordoba, 19 Gennaio. Mister “Ecatombe”, il tizio che ammoniva, il vate che intimava attenzione e rispetto per la Dakar che miete le sue vittime fino all’ultimo chilometro, aveva ragione. O per lo meno ha indovinato, perché anche la penultima Tappa del Rally si è dimostrata totalmente refrattaria a ogni tipo di stabilità, anche di assestamento. Lunga, sì, ma tutto sommato non micidiale nella prima parte prima e nel trasferimento tra San Juan e Cordoba, l’impegno si è rivelato ancora una volta una tagliola per le ultime astuzie dei sopravvissuti della Corsa. Completamente fuori controllo per quanto riguarda una logica conservativa, quest’ultima sostituita con la più assoluta, leggendaria imprevedibilità dakariana, anche il pre-finale del Rally ha messo a nudo la sua spietata durezza.
Ne hanno fatto le spese, più o meno pesantemente, un buon numero di concorrenti, i più in vista dei quali finiscono sulla prima pagina dei giornali, ma che in fondo rappresentano solo la parte emersa dell’iceberg visto che, a notte fonda, ci sono ancora alcune diecine di indifese vittime della Dakar che cercano di raggiungere Cordoba per partecipare al gran finale. Presto detto, 31 Macchine, 83 Moto, 27 Quad, 4 SSV e 9 Camion sono al Circuito El Zonda della Città, dove è stato allestito l’ultimo bivacco. I numeri non sono definitivi fino all’ora di partenza della Tappa successiva, l’ultima, ma rendono perfettamente l’idea degli effetti della febbre da Dakar original. 91, 137, 49, 11 e 44 erano le unità, rispettivamente, alla partenza da Lima il 6 Gennaio.
Penultimo giorno. Strapotere all’imprevisto, e anche alla falcidie. A mezzogiorno si ritira l’americano Ricky Brabec, ufficiale Honda he occupava la sesta posizione della classifica delle moto, pare con il motore, o una sua parte, rotto. Alle 17:54 si ritira per una panne meccanica l’olandese Bernhard Ten Brinke, autentica rivelazione dell’Edizione in corso che, con una delle Toyota ufficiali, era quarto assoluto nella classifica delle Auto e ancora in lizza per il podio. Ore 10:04, è la vota dell’argentino Federico Villagra che, on corsa con un IVECO, occupava alla vigilia la seconda posizione, un solo, miserabile secondo alle spalle di Nikolaev. Problema meccanico, riferiscono dal team dell’idolo locale, anche se Villagra era al centro dell’immancabile interrogativo al riguardo di un rifornimento supposto sbagliato.
Ma la notizia che vola nell’etere e che sconvolge gli appassionati è quella che si diffonde alle 10:48 e che riferisce del nuovo errore in cui sarebbe incorso Stephane Peterhansel. Il secondo incidente, è questo che lascia sconvolti. Monsieur Dakar che si permette di sbagliare, e per ben due volte nella stessa Dakar. È da non credere, e le circostanze attenuanti chiamate in causa sono ancora una volta deboli. Questa volta un albero, una botta dell’avantreno sinistro e via una sospensione e la guida assistita. La scena è già stata provata: arriva Despres, che ormai è Assistenza Veloce del Team Peugeot Total, e i due Equipaggi si mettono al lavoro. I miglioramenti si vedono subito, e questa volta ci vuole solo un’ora per rimettere in pista la 3008 DKR Maxi numero 300. Un’ora e tre minuti che valgono il ventesimo posto di tappa e che pesano sul capo di Peterhansel, sbattuto giù dal podio e ora al quarto posto con oltre otto minuti da recuperare, in 120 chilometri, per risalirvi e sostituirsi a De Villiers.
Ecco il primo sconvolgimento di classifica, non più “Peter” sul podio, ma il consistent Giniel. Non più una doppietta Peugeot in testa, ed è stata anche un tripletta, bensì la numero 303 di Carlos Sainz seguita, a debita distanza, d’accordo, da due Toyota. Ecco che i giapponesi possono rialzare un poco la testa, ma con estrema attenzione. Possono sperare, questo sì è lecito e pertinente con l’andamento di questa sciagurata Dakar.
Ora basta, diremmo. Sainz conserva la bellezza di tre quarti d’ora di vantaggio su Al Attiyah, e Matthias Walkner oltre venti su Kevin Benavides. Dovesse succedere ancora qualcosa sarebbe effettivamente troppo.
Eppure anche i Fuoriclasse possono risentire dell’atmosfera. Sainz è sorridente, ma non solare come a Uyuni quando è andato in testa. Pare molto concentrato, questo sì, e non disposto a cedere, per nessuno motivo. Più “tirata” l’atmosfera respirata dai Motociclisti di testa. I più sereni sono quelli più indietro, ma non troppo. Espressioni compiaciute e soddisfatte si possono trovare sui volti di Meo, Farres o Aubert, Piloti che si accingono a compiere la missione sll’altezza dellgli oiettivi, o di uno come Oriol Mena, che è andato addirittura oltre, è ottavo assoluto al debutto. È sereno anche Price, che è terzo che non può aspirare a un posto migliore. L’australiano ha già vointo la Dakar, e quindi non deve dimostrare nulla, e ha digerito l’errore di Belen che gli preclude il bis.
Non sorridono Benavidese e Walkner, che si giocano l’intera posta. L’argentino si sente ancora all’attacco, l’austriaco già sorride poco, figuriamoci quando è così concentrato.
Dall’altra parte, quella delle Auto la situazione non è troppo dissimile, ma più inretressante sotto il profilo delle emozioni non celate. Sainz, per esempio, trattiene a stento la felicità, mentre Al Attiyah si fa vedere sempre sorridente e filosofico, ma sis a che dentro bolle come una pentola a pressione: troppi giorni di frustrazione per starsene tranquilli a rispondere alle domande sulla competitività delle Toyota! De Villiers? No, anche quello non sorride mai.
Dopo aver coperto circa 7.000 chilometri, adesso alla Dakar del decennale sudamericano mancano solo i 120 chilometri all’epilogo. Ecco che qualcuno dice che saranno micidiali, il forno nel quale cuocere le ultime resistenze. No, non è così, il percorso dell’ultima Speciale dell’Edizione 2018 è il giardino dell’Enduro di Tiziano Siviero, il tracciatore della Dakar sudamericana che ha vissuto proprio a Cordoba. Su questo tracciato, un giorno di qualche anno fa, lo scout della Dakar aveva invitato Colin McRae a fare una passeggiata con le prime KTM da enduro che Tiziano aveva portato in Argentina. Siviero sperava di poter dare una piccola lezione all’amico fuoriclasse, ma aveva dimenticato che prima di diventare il leggendario fuoriclasse del WRC, McRae era già stato un fenomeno anche in Moto.