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Somewhere, some days after. Dakar 2019. Dopo tre anni di dominio assoluto Peugeot, per l’edizione 2019 c’erano in ballo due posti lasciati vacanti, quello del Marchio che sarebbe succeduto al “Leone” nell’albo d’oro e quello della configurazione tecnica vincente: due o quattro ruote motrici, Buggy o 4x4.
C’era anche una terza possibilità, in verità, ovvero che una delle Peugeot recuperate e gestite privatamente potesse ribadire il concetto dei tre successi di Bruno Famin, in particolare l’”ultima arrivata”, quella di Sébastien Loeb assisitito da PH-Sport.
Il “colpo” più importante del mercato Piloti era stato messo a segno da Mini, che aveva rilevato quasi integralmente la formazione Peugeot, Sainz, Peterhansel e Despres, per trasferirla ai comandi del nuovo Mini John Cooper Works Buggy, realizzato all’ultimo tuffo anche per Peterhansel. Il problema del Buggy, immediatamente evidenziato, era la gioventù del progetto che, seppure già in auge un anno prima, Mikko Hirvonen, non aveva evidentemente beneficiato di abbastanza chilometri. Poco male, il futuro è ancora aperto, e come sempre incerto.
Fuori gioco anche le Peugeot dalla terza, discussa Tappa, il nodo della Dakar 2019 si è sciolto con la vittoria della Toyota di Nasser Al Attiyah e il secondo posto della Mini John Cooper Works Rally di Joan “Nani” Roma. Sono due 4x4, al primo e al secondo posto. Il prototipo Hilux sviluppato sostanzialmente negli ultimi due anni, e la “vecchia” Mini All4 Racing aggiornata e rilanciata con un’iniezione di… fiducia. In comune, il doppio successo delle 4x4 “tradizionali” hanno la perseveranza e la fiducia riposte nei rispettivi progetti dai… rispettivi Piloti, Al Attiyah e Roma.
Di Al Attiyah si è già detto molto, di “Nani” no. Eppure il catalano merita la massima considerazione perché è stato uno dei protagonisti assoluti dell’Edizione numero 41, e senz’altro il Pilota più “a lungo” coerente con le proprie scelte e la propria filosofia. Il secondo posto assoluto ne premia la bravura ma anche e soprattutto una enorme intelligenza… dakariana.
Già l’anno scorso Mini aveva puntato forte sul nuovo Buggy, contrapponendolo idealmente alle 3008 DKR, ma già l’anno scorso Joan Nani Roma aveva preferito continuare a correre con la Mini JCW Rally 4x4. Alla base della scelta, allora, c’era la fiducia in una maggiore affidabilità, in quel momento garantita dalla continuità data al progetto proprio nei termini della sua comprovata affidabilità.
Quest’anno Roma si è presentato ancora al volante della Mini JCW Rally. Una presentazione in sordina, messa in ombra dal Dream Team, dal relativo Sponsor e dal battage sul nuovo, evoluto Buggy Mini (quando arriva uno bravo come Sainz si è inevitabilmente portati a pensare a una forte accelerazione). Sembrava quasi che Roma fosse stato messo in disparte, relegato a un ruolo di comprimario in una Squadra che puntava ormai più in alto, in tutti i sensi.
In realtà l’ombra c’era, ma era soltanto quella imposta da Red Bull nei confronti dell’omologo Monster che campeggiava sulla tuta di Roma e sulla Mini #307 di Joan Roma e Alex Haro.
Non era il Pilota dunque, messo in ombra, ma il contesto. Nulla era cambiato e, anzi, le scelte di Roma restavano perfettamente coerenti con quelle operate un anno prima. C’erano alcune differenze con le quali prendere le misure. Ed ecco il grande Nani Roma al lavoro.
Per prima cosa “Nani” aveva sollecitato un’evoluzione tecnica della Macchina, in termini di otimizzazione. lo spostamento di pochi centimetri, indietro e in basso, delle geometrie di motore, radiatori e cambio, un affinamento di quelle delle sospensioni, e soprattutto una cura al Motore, per il risultato quasi eclatante di ringiovanire” la “vecchia” Mini All4 Racing, ora di nuovo attuale nella versione Mini JCW Rally. In particolare, al turbo diesel di 3 litri era stato associata una nuova, singola unità turbo, ottenendo in un colpo solo una migliore trattabilità del propulsore, elemento chiave in una Dakar in gran parte sabbiosa, e una riduzione di peso di circa 40 chili. Vitale.
Parallelamente Roma aveva imposto all’Equipaggio il credo del 4x4. Ora, dopo due dozzine di Dakar, e due vittorie, Nani era più che mai convinto che il suo stile di guida si addicesse molto di più alla logica 4x4 che al concetto di Buggy, dal punto di vista della guida molto diverso. C’era il nodo della nuova flangia e la caratteristica 70% dune della Dakar 100% Perù, due elementi che sulla carta favorivano nettamente i due ruote motrici, ma per quello sarebbe dovuta bastare una attenta strategia di Gara.
Ecco come ha funzionato. Nani non ha mai commesso grossi errori, rendendosi protagonista di un Rally eccellente penalizzato soprattutto da un eccesso di… generosità. Quando infatti Nani ha deciso di “allungare” la propria cinghia di traino al compagno di Squadra Peterhansel, piantato in mezzo alle dune, non immaginava che quei 5 minuti teorici si sarebbero dilatati fino a mezz’ora, prima per la rottura della cinghia, e poi per una toccata, nel tentativo di recuperare il tempo perso, che era costata una foratura da sistemare. Le vere, uniche differenze tra la sua Gara e quella di Al Attiyah, il vincitore, Roma le inquadra nelle eccellenti e imbattibili doti di guida del Principe del Qatar sulla sabbia - come un finlandese sulla neve – e nel fatto che se Roma-Haro hanno fatto una Gara “quasi” perfetta, Al Attiyah-Baumel l’hanno compiuta semplicemente alla perfezione. Per il resto il risultato parla chiaro, e la dice lunga…
Roma, persona eccezionale e critico sempre costruttivo, si sofferma poi sulle caratteristiche di questa Dakar e riflette sul fatto che fosse, sì, una Dakar più corta e compatta, ma proprio per questa ragione anche una Dakar in realtà più dura del solito, soprattutto costantemente molto “tesa”, “tirata”, nervosa. Road Book? Non perfetto, anzi perfettibile, e maggiore attenzione dell’equipaggio apripista auspicato. 100% Perù, va bene, ma in questo caso la Gara era troppo Buggy “oriented”. A tale proposito Roma richiama l’attenzione sulla necessità di un regolamento più stabile e a lungo termine. Pensa che forse il regolamento Dakar dovrebbe favorire l’utilizzo della 4x4, più costosi e complessi, per i Piloti cosiddetti prioritari, e magari lasciare lo sviluppo dei Buggy alla partecipazione e alla fantasia dei privati. In ogni caso Roma pone l’accento sulla necessità di un regolamento stabile sul quale puntare il compasso per un futuro più a lungo termine.
Dakar in Sud America o di nuovo in Africa? Roma dice che non è il momento di rispondere a questa domanda. In ogni caso gli Organizzatori hanno fatto un gran lavoro per mantenerla in Sud America nonostante le enormi difficoltà incontrate quest’anno. Roma, tuttavia, preferisce ancora una Dakar sudamericana in più Paesi, gli piacciono enormemente i deserti del Perù e del Cile, in luogo di una Dakar in Africa ma come una passeggiata lungo la costa per raggiungere il Senegal.
Complimenti Nani, davvero un bel colpo!