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Tom Tjaarda alcuni mesi fa, raccontando la nascita della “sua” Fiat 124 spyder mi descrisse con un aneddoto molto divertente quale fu il suo curioso punto di partenza.
Per trasmettere cosa pensò tra se e se di fronte al nuovo incarico, Tom descrisse il portamento rozzo della 124 berlina vista da dietro mentre partiva, descrivendolo come una donna che cammina goffa sui tacchi per la prima volta.
Dopo aver disegnato la Corvette Rondine, vero crogiuolo di innovazione e stile, in Pininfarina chiedono a Tom l'impossibile: ridurre di scala il progetto e carrozzarlo sulla 124 berlina.
Ci fu sgomento ma immediata raccolta del guanto di sfida e i lavori iniziarono subito, col valido appoggio del bravissimo Renato Sconfienza alla parte tecnica: divenne lo spyderino Fiat migliore di tutti i tempi e tra i più bei lavori della storia car design.
Tjaarda è un protagonista d'eccezione della storia dell'automobile e in questa ricca occasione, grazie alla sua gentilezza e disponibilità, si è potuto raccontarne uno scorcio prezioso e rappresentativo della sua personalità attraverso un dialogo lontano dai toni di un intervista.
Tom è un architetto di padre olandese che ha iniziato a lavorare prestissimo in America come car-designer nel periodo in cui l'automobile americana iniziò il suo irreversibile declino. Dato il talento e la personalità del suo tratto però Segre chiama Tom a lavorare lontano dall'America, assumendolo in Ghia a Torino.
Tom trova il suo spazio lavorativo in Italia – concetto difficile al giorno d'oggi – giungendo a corte della Pininfarina. Una figura internazionale dunque, che giunge in un ambiente “sartoriale” ed estremamente nazionale, l'Italia dei carrozzieri, ove porterà un messaggio così deciso, equilibrato e “a tutto campo”da rendere Tom un outsider per alcuni aspetti del suo pensiero, ancora da scoprire.
Tom è molto attento alle richieste del cliente, attorno al quale proporziona il suo progetto. Lo calibra in tutti i suoi aspetti: dalla valutazione del budget, ai requisiti dimensionali, giungendo allo stile, personalissimo e dotato di un eleganza sobria e tagliente.
Il progetto rispetta le imposizioni normative e di mercato, considerandole stimoli con cui si confronta e plusvalenze dell'oggetto finale. Ben altra musica dunque in un momento in cui i parametri di sicurezza – così sacrosanti - vengono definiti dai designer come limitazioni allo stile, mediocrità leggibile in svariate riviste di settore.
Forse il segreto è che Tom non si sente un protagonista solitario ma un competitore inserito in un contesto complesso in cui la focalizzazione del progetto deve essere integrale: si valuta perfino lo stile del portamento in corsa dell'auto che si vuole disegnare, quali saranno le persone-tipo che le guideranno prima di arrivare ai particolari. A tenere unito il filo rosso del progetto Tjaarda indica come chiave progettuale l'impostazione delle proporzioni. Questo è l'unico gesto che definisce effettivamente artistico in un ambito che sottolinea industriale. L'automobile non è un gesto fine a se stesso ma un prodotto industriale di massa che deve essere sicuro e deve funzionare. Questa definizione è importante da conoscere perchè è il punto di partenza di Tjaarda. C'è chi al giorno d'oggi progetta automobili decontestualizzate dalla società contemporanea o dalla tecnologia stessa.
Si assiste a fari di posizione posti sul cofano che nella notte abbagliano, a lunotti posteriori da cui è impossibile vedere fuori, tutto in base al protagonismo del tratto anzicchè ad una risposta logica del designer. In questo approccio il messaggio di Tjaarda è ancora tutto da scoprire: il suo progetto è affrontato così profondamente da portare direttamente a centrare la finalità del prodotto, indipendentemente da particolari, vezzi e finiture. Tom è regista integrale del progetto e il suo progetto è dedicato al committente ed al cliente.
Visitando lo studio vedo meravigliato progetti di automobili, ville , elicotteri, interruttori, motoscope, arredi, quadri e lavori di grafica. Penso alle moto e in silenzio Tom con un sorriso mi passa le tavole di una Benelli da gara . I progetti sono tutti ordinati in faldoni messi via con semplicità: è tutto sottomano, tutto lì e tutto estremamente denso di sostanza.
Alle pareti vi sono quelle che Tom mi indica come prove grafiche e che il mio occhio considera invece autentici quadri: lavori di chiaro-scuro con visioni di città, tele astratte a colori, un ennesimo elemento che contraddistingue una personalità a 360° .
Questa poliedricità mi rimanda inaspettatamente a Giorgetto Giugiaro, sebbene i percorsi e lo stile siano ben diversi. Entrambi hanno un approccio completo al progetto, che gestiscono integralmente.
Entrambi dipingono e se Giugiaro grazie ad Aldo Mantovani trova subito un sostegno incredibile per poter decollare autonomamente, Tom collabora invece con i grandi carrozzieri a cui dedica il suo lavoro senza firmarlo.
Questo grande bivio che allontana i due è apparente in quanto il lavoro di entrambi ha regola comune di asservire al meglio la necessità del cliente con grandissima umiltà, determinazione e disciplina.
Entrambi fecero le prime ed uniche word car di successo enorme e imperituro, Fiesta e Golf ed entrambi hanno operato in svariati ambiti del design. Entrambi a volte lavorarono nell'ombra senza firmare progetti anche famosi.
Godiamoci delle immagini per leggere meglio questi interessanti punti di contatto quasi inosservati quanto evidenti.
Queste due auto sono emblematiche, il classico caso di idee vicine senza ombra di plagio. Le proporzioni sono le stesse, la coda della “Ghibli” sembra ricalcare quella della “365 California” al punto di averne mantenuto pure il paraurti a lama, assente invece nel frontale. La griglia di estrazione d'aria della “Ghibli” manca nella “California” che resta più pulita e sposta nella portiere una scalfatura che per posizione sembra controbilanciare il peso del motore sull'anteriore. L'impostazione di parabrezza e deflettore è la medesima ma Giugiaro taglia dritto l'apice del parabrezza e inclina il deflettore rendendo la “Ghibli” tagliente rispetto alla “California” decisamente elegante con il suo applomb. La bugna sul cofano e la proporzione del frontale sono interscambiabili, ma i fari di Giugiaro sono a scomparsa, il frontale continuo e due estrattori compaiono ai lati della bugna.
L'assetto delle due auto e dunque il portamento è totalmente diverso invece: la “365” è un disco volante mentre la “Ghibli” un puma pronto a scattare. Linee così simili, per personalità si discostano e restano due capolavori ben distinti proprio per la forte personalità degli artefici.
Anche la “Pantera” di Tjaarda e la Bmw “M1” di Giugiaro sono linee che dialogano in modo simile: il plasticismo del cofano motore della Pantera anticipa quello della M1 e questa volta nell'assetto vi sono ancora diversi punti di contatto.
Tjaarda mi palesa come lo studio della proporzione sia il fulcro del suo percorso lavorativo. Di colpo si apre un varco e si schiude una visione meravigliosamente equilibrata del progettista.
Gli confesso di paragonarlo simpaticamente ad un moderno Gianbologna alla corte di Pininfarina, considerando questo raro straniero così ben inserito tra i maestri della carrozzeria italiana degli anni d'oro. Ma calo subito le ali alla risposta. Per Tom l'automobile non è un opera d'arte ne' una scultura.
Il suo approccio non è distaccato né passionario e miope: l'auto è un prodotto industriale fatto per funzionare sempre ed essere sicuro come premesso. Questa è la chiara posizione di Tjaarda in contrasto alla mia mistificazione esagerata dell'automobile di design. L'alchimia dell'auto è la sua Proporzione, non l'arte.
Quello che fa uscire l'auto dal mero ambito ingegneristico consegnandola al piacere di un cliente rendendolo felice di acquistarla è il suo canone compositivo. Il proporzionare un veicolo lo sdogana, lo rende appetibile, bello. Tom però non mi spiega a quante discipline applichi il suo concetto di proporzione: dice che è il suo solo gesto “artistico” dell'auto. Dunque proporzionò con gusto e basta mi chiedo? I trofei della 124 Abarth e della Pantera dicono altro, e dimostrano che questa proporzione permeava integralmente il progetto: nei suoi pesi, nella sua postura e dunque anche nelle prestazioni. Ma con discrezione, senza far chiasso, proprio per questo con maestria.
Tom muove i primi passi in America dove nel tempo si scontra con l'establishment: i vertici delle case automobilistiche americane ripudiano tassativamente l'idea della proporzione come canone stilistico: essa porta a linee senza tempo, sempre belle. Occorre invece disegnare mode, forme che risultino subito gustose ma presto sorpassate e inappetibili. Dei veri “fuochi di paglia” del design. Solo così si può alimentare meglio il consumismo: calo della raffinatezza qualitativa e progettuale, prodotto generico usa e getta.
Negli anni in cui Piech rimaneva perplesso per la “Golf” dicendo a Giugiaro “non mi piace me è lei il progettista e vada avanti, io sono solo l'A.D”, Tjaarda desta perplessità in Ford in quanto la Fiesta è piccola e per questo secondo i dirigenti non può interessare. Il concetto di automobile di piccole dimensioni non fa parte dell'America di quegli anni: doveva esserci solo il grande o il più grande.
La Fiesta era troppo piccola per piacere.
Ma Tjaarda quando viene notato e traghettato in Italia alla Ghia da Segre, con la sua “Sport Wagon” aveva già intuito e realizzato il canone delle station wagon sportive compatte appunto, per il quale si attesero altri vent'anni per vederle diffuse su strada con enorme successo con per prima l'Alfa 33 Sportwagon, e poi BMW serie 3, Subaru Impreza e Audi A4.
Tom racconta le diferenze tra America, Italia di allora e i tempi odierni con l'esempio della “Corvette Rondine”. Secondo un moderno costruttore questa concept sarebbe totalmente sbagliata: della Corvette questa macchina ha infatti solo la meccanica e non si percepisce alcun “Family Feeling” con la precedente versione. Sul mercato questo sarebbe un gesto spiazzante, controproducente e oggi temutissimo.
Invece la Pininfarina di allora esigeva dal progettista il concetto di Nuovo come imperativo, disinteressandosi dei maldipancia degli uomini marketing. Il creativo doveva avvicinare sempre di più il futuro ai giorni nostri, doveva correre avanti e portare ai produttori nuovi traguardi da immettere sul mercato.
Questo ordinamento delle gerarchie ci spiega quell'epoca e come mai sia finita: se una volta il costruttore doveva seguire il creativo, al giorno d'oggi l'ordine si è opposto e si è giunti a presentare nei saloni concept ordinari simili al prodotto definitivo. Ma se la tecnologia ha liberato molte forme una volta irrealizzabili, ora questi concept sono molto severi, di preserie, privi di quell'innovazione di cui una volta erano manifesto. All'oggi si è giunti ad un autentico terrore perfino a cambiare il solo nome di un veicolo.
Indicando alla stradale una Clio durante una rapina ad un ambulante non si sa se dovranno inseguire uno scatolino di tre metri e qualcosa dell'86 o una moderna...utilitaria...larga quanto quella che nell'84 era l'ammiraglia della stessa Renault, la “25” .
Questo metodo di Pininfarina racconta bene l'Italia di quell'epoca. Tom approfondisce e sottolinea con entusiasmo quanto non si debba comunque pensare ad un epoca ma ricordare sempre le autentiche radici socio-culturali fondative dello stile italiano. Scontato? Forse, chi lo ricorda nei fatti e non per darsi tono come Tom è paradossalmente sempre più raro nel trovar voce in Italia.
Questa consapevolezza culturale è illuminante e di nuovo penso a Giugiaro a quando in tono informale disse poco tempo fa che non rammentava architetti nel mondo del car design. Tom invece dimostra di esserlo con questo background e mi parla con trasporto da uomo del suo tempo di quanto in Italia sia congenita l'attenzione unica al mondo per la Proporzione, madre di ogni forma, in quanto i romani compresero e fecero propri i concetti di proporzione, armonia e arte proprio dalla Grecia antica. Furono autentiche teorie, figlie dell'arte, della matematica, dell'astronomia, della medicina e della democrazia a forgiare la base dell'Arte Italiana. Non sono concetti da ricordare ma da sentire, perciò sempre vivi, accessibili e sempre attuali che possono essere propri per chiunque cerchi una visione complessiva del mondo e non settoriale, miope.
Da questa poliedrica conversazione non emerge alcun attaccamento particolare di Tom ad un dato prodotto, che magari gli era riuscito al meglio come ci si aspetta che sia.
La passione vera è evidente quanto sia invece il lavoro, l'espressività e la sfida di un nuovo tema. Tom è un creativo che ha grande attenzione per la contemporaneità. Mi sottolinea quanto la velocità della comunicazione sia uno dei grandi accelleratori dell'evoluzione stilistica attuale, e questo è un potentissimo stimolo germinativo di cui non vi è da aver paura ma anzi che apre nuovi orizzonti.
Queste affermazioni mi sembrano molto positive e portatrici certe di rapide innovazioni ma constatiamo tutti che non sia così oggi, e chiediamo una spiegazione in merito.
Tom è molto elegante ma l'atteggiamento politically correct di un timoroso non gli appartiene e risponde con determinazione che quello che noi chiamiamo in Italia mafia nel resto del mondo si chiama lobby, senza lasciar troppo spazio alla mediazione: queste lobbies influenzano al giorno d'oggi nello specifico gli esiti delle ricerche, travalicano i propri ruoli e agiscono ormai senza criterio nella struttura del lavoro andando ad ostacolare o bloccare la spontanea evoluzione della progettazione creativa in tutti i settori.
Un esempio di cosa e come alcuni chiedono un nuovo prodotto ci è fornito da questo curioso caso: un cliente indiano che chiede a Tom il progetto di un'auto che sia molto simile all'Audi A1. Ad ogni incontro Tom presenta progetti che siano vicini nei contenuti vengono rigettati in quanto stilisticamente assomiglia troppo poco all'Audi A1 e i contenuti non interessano. Alla fine il progetto venne rigettato perchè assomiglia troppo all'Audi A1.
Inorridisco e ammiro Tom: chiedere al papà della “365 California” di imitare un Audi che imita la vecchia Austin Allegro è terribile. Ma Tom non prende paura, non si sente minimamente umiliato e si mette al lavoro per il clliente, come sempre.
Poniamo una domanda pesantissima e direi non poco antipatica a chi al solo nominare “Pininfarina” dimostra ancora commozione e grandissima stima. Chiediamo per amor di verità come mai la carrozzeria più prestigiosa del mondo abbia subito il tracollo che tutti abbiamo tristemente visto.
Le condizioni al contorno difficilissime dell'epoca ci sono chiare e ovvie ma vogliamo smitizzare e vedere se oltre alla nera panacea de “la crisi globale”vi siano altre ragioni più sottili, concretamente lesive che biologicamente ne abbiano eroso la struttura agendo dal profondo.
Senza minimamente polemizzare – e da un“epurato” ci si asppetterebbe il contrario -, senza sottrarsi alla spiacevole domanda Tom risponde con tristezza quanto anche in Pininfarina optarono per strategie e strateghi che allontarono diversi talenti in cambio di personalità meno inclini a dimostrarsi creative. Erano gli anni delle bolle economiche e della santificazione del marketing a discapito dei contenuti e si fecero errori strategici di fronte ad una nuova concorrenza inusitatamente agguerrita. Di fatto un azienda di concetto dovette fronteggiare l'offensiva delle mode sempre più imperanti dell'usa e getta. Così alcune commesse troppo impegnative furono accettate con gravi ripercussioni economiche insanabili: si avviarono catene di montaggio per cinque modelli in contemporanea come strategia di mercato, col risultato di indebitarsi irreversibilmente . Tra queste catene citiamo noi quella della “Brera” spyder, nefasto esempio di meraviglioso prodotto stilistico senza contenuti né qualità meccanico-dinamiche che non riuscì a gettare fumo negli occhi sul mercato come speravano i suoi strateghi.
Non vi fu un solo facile colpevole dunque ma diverse scelte e fattori esterni negativi.
Certamente, perchè il prodotto attuale è ormai troppo noioso!, risponde Tom quasi con sfogo. Appena chiuderanno i centri stile e si elimineranno le figure fittizie dei chef-designer le cose riprenderanno un buon piglio. Nulla di personale contro figure che spesso sono incompetenti, ma è proprio il metodo che i cheef designer hanno istituito ad essere errato: le “regole di mercato” portano a sorteggiare repentinamente a random nuovi disegnatori per il medesimo progetto. Così, oltre a nascere prodotti senz'anima si mescolano convulsamente figure professionali che migrano da un marchio all'altro. Questi responsabili stile andranno a lavorare inevitabilmente miscelando stilemi di marchi, generando prodotti che risulteranno collage delle precedenti esperienze.
Pensiamo a chi con superficialità ma emblematicamente definisce stilisticamente la nuova Mercedes Coupè un'ottima Bmw serie 3, La Kia Sportage un buon restyling della prima Cayenne, le Renault delle Citroen che funzionano e così via...
In sintesi un bel giocattolo, certamente. Funzionerà bene. Ma la prima richiese uno sforzo di criterio immenso che questa non ha. Si è ricarrozzato la nuova Mazda in alcune sue parti. Il progetto originale impose di scalare la Corvette Rondine e ridurla al telaio della piccola 124. Più o meno come mettere la Ds del '54 sulla attuale Ds 3. Tom e Renato Sconfienza erano in due, con meno di trent'anni ciascuno e lavorarono alacremente a tale difficile obbiettivo. Ci fermiamo qui, non sembra un tema degno di stimoli in quanto privo di ingegno.
Una rapida occhiata scorre sulla proposta che Tjaarda aveva inviato su richiesta a Quattroruote ma da questa si capisce che un epoca è finita. La proposta mostra ancora una voglia di ricerca del nuovo mentre dall'alto sembra calare una voce che dice “siamo stanchi”, godiamoci i vecchi stilemi su nuovi telai e chiudiamoci nei bei tempi che furono, vivendo il giorno d'oggi dissociati dalla realtà. Verrebbe voglia di eliminare questi disgustosi servosterzi elettrici e vedere se qualche fan dei tempi che furono osasse gradirli ancora...
Mentre racconta di questo progetto ci si rendo conto della spesa irrisoria sostenuta dai dirigenti dell'epoca per ottenere un prodotto di tale prestigio. Piacerebbe avere i numeri per fare un paragonare con i costi della nuova avventura 124, ma non li abbiamo. Il prodotto “nuova 124” dunque c'è ma la sua storia fatta di marketing non potrà mai...consegnarlo alla storia. Non sarà questo il rinascimento della carrozzeria italiana, piuttosto il manierismo.
Nessuna via è inpraticabile per colui che è tenace. Questo è il motto che appariva sulle Spyker, auto di lusso fondate dagli avi di Tom in Olanda a fine Ottocento. Senza dubbio Tom lo ha fatto suo e la mole svariata dei suoi lavori ne sono testimonianza felice.
Una foto in ingresso ritrae il padre di Tom vicino alla sua creazione funzionante, oltre che ovviamente progettata, che fu costretto a presentare a tal Ferdinand Porsche. Ne era contrariatissimo per il timore di essere copiato dell'ingegnere tedesco. Foto e disegni proseguiranno silenziosamente questo argomento ed il confronto con il celebre “tedeschissimo” maggiolino...
Effettivamente come la strepitosa Voisin C25 sembra aver in parte ispirato la 2CV anche questa vettura a motore e trazione posteriore è innegabilmente una matrice del Maggiolino...con una porta in più.
A propoito di strategie commerciali chiedo con grande curiosità a Tom di raccontarmi di De Tomaso e della “Pantera”. Un'auto che stupisce per la sua trasversalità e che solleva un certo dibattito.
Per alcuni designer puristi italiani – anche a buon diritto - la “Pantera” è troppo grezza per competere con la raffinatezza delle gt italiane. C'è del vero? Vediamo: siamo nel 1971, epoca in cui la Ferrari sta per entrare in una gravissima crisi stilistica che la colpirà per anni.
Se da un lato siamo ancora freschi dei fasti della Dino e Daytona, dall'altro si avvicina il momento della Ferrari 208 e 308 di Bertone, prima di precipitare nei momenti bui della Mondial.
Lamborghini sta volando sulla Miura e si prepara con la Countach ad entrare nell'iperspazio. Il “sottobosco” di Espada, Jalpa, Jarama ed altre sono meravigliose sportive.
De Tomaso si mette di traverso e propone GT dalla portata almeno estetica ancora incompresa: di nuovo Giugiaro e Tjaarda si avvicinano e nascono le auto con più testosterone che il mercato abbia visto: la Mangusta e la Pantera.
Nulla a che vedere con le muscle-car americane, la Pantera infatti stava anche in strada mentre la prima è un capolavoro e lascia ancora in silenzio critici e designer che ne vogliano proseguire lo stile. Non sbocciò mai per la sua telaistica incerta. Saggiamente Giugiaro ne ha comprata una.
Anche in questo “duello” Tjaarda – Giugiaro la posta è altissima. Queste due supercar non sono simbolo di status ma di potenza, dei motori e delle matite.
Splendido sarebbe per un povero miliardario costretto ad andare in grattacielo con la sua anonima auto di lusso poter scegliere anche oggi tra stilisti di questo calibro incredibile. Del resto forse sono proprio questi miliardari a non fare più da mecenate: subitevi dunque la nuova suv Bentley!
Due ragazzi sui trent'anni, Dallara e Tjaarda, ricevono l'incarico della “Pantera” da De Tomaso. De Tomaso è un rude imprenditore che ama correre e non vuole delusioni. In due cuciono la macchina attorno a questa personalità: Alejandro guida e vuole un'auto da gara. Si mette dunque in campo un auto sportiva concreta, priva di fronzoli e corsaiola. Il progetto definitivo è dunque perfettamente rispondente alla volontà del committente e questa è maestria. Poco contano le poche cromature o i primi profili neri di finitura: l'auto è un successo.
Così, nella rosa delle lussuose gt di cui una parte è appena elencata sopra, la Pantera si trova sola sulla griglia di partenza, perchè tutte le altre restano nei garage di facoltosi appassionati. Con la crisi petrolifera la Pantera rimane ancora più sola a continuare a calcare le piste nel mondo mentre gli altri motori si spengono restando ormai fini a se stessi come bene di lusso.
La Pantera allora dimostra di essere oltre che maledettamente bella un prodotto di mercato azzeccatissimo, migliore di molti suoi altri contemporanei rimasti sul piedistallo, nonostante le sue roccambolesche vicissitudini aziendali. Parlare in questo caso di “prodotto di mercato” vuole valorizzare la qualità del progetto e dimostrare che un progetto è bello quando è completo.
Tom adopera strumenti di lavoro sofisticatissimi e, a detta dei programmatori della Ibm, irraggiungibili per qualsiasi computer: cervello e mani. Vi sono due enormi pannelli a muro nel suo studio ove realizza a mano i suoi modelli 1:1. Questo perchè ovviamente a mano si lavora con rapidità superiore rispetto al computer ed il dettaglio delle curvature avviene in modo molto più preciso e libero. Aggiungiamo pure ad un costo irrisorio in confronto. Il tutto viene poi “ricalcato” al computer per proseguire lo sviluppo del progetto lavorando normalmente con i software di turno.
Questo metodo è importante: non parliamo di un “vecchio”che prosegue “all'antica”ma di un architetto che pone l'uomo al centro della contemporaneità. Al giorno d'oggi veniamo rapiti da immagini fotorealistiche come i trogloditi dell'Ottocento rimanevano esterefatti di fronte alle prime fotografie. L'immagine quasi tangibile non sarà mai tangibile, neppure con gli ologrammi. Credere alle infatuazioni tecnologiche significa perdere di vista il progetto. L'uomo padroneggia spontaneamente un infinità di parametri che inserisce spontaneamente in ogni centimetro di disegno che compie. La macchina impegna tempo per produrre una curva, che spesso è vincolata ai parametri del software, non certo alla cultura e al gusto.
Tom ha passato gli ottant'anni e non lo si direbbe. A dimostrazione di ciò gli poniamo alcuni quesiti che ci tormentano, di dannata attualità.
TS - L'auto si guida da sola fin dal 1969, il tema non è certo attuale ma è ricaduto sotto la lente di un enorme business: cosa ne pensa della guida automatica?
TT - tremendamente noiosa e per certi aspetti ha l'utilità dello sbarco sulla luna. Qualcuno vive sulla luna al giorno d'oggi?
TS - Magari per qualche anziano può essere utile...
TT – Pensa che una persona con difficoltà sappia gestire o farsi gestire da un mezzo autoguidato su strada? Prima ancora di poter vedere un'utilità dei mezzi autoguidati stiamo assistendo a sempre più diffusi pericolosissimi attacchi hacker al funzionamento dei veicoli, andando ad aggredire in remoto freni ed accelleratore. E' un progresso?
TS – Credo di guidare l'ultima auto completamente meccanica del 21 secolo, una vecchia Legacy...ma qualcuno auspica da gerarca che la guida non automatica a breve diventi addirittura fuori legge.
TT – Megalomania, sarà autonoma dove e se richiesto e libera altrove. Perchè deve essere tutto uniforme? Che ne sarà delle auto sportive? I diversi sistemi operativi per primi renderanno differenti le guide autonome. Alcuni saranno più aggiornati, altri meno...un disastro.
TS – ogni veicolo autonomo avrà un freno d'emergenza e nessuno – nell'emergenza – sarà pronto ad azionarlo, intento a far altro. Pertanto nel caso di un ciclista investito contromano all'angolo la colpa ricadrà sul conducente...di un robot che lo conduce...
Chiudiamo questo argomento socialmente complesso concordando che per chi non ha piacere di guidare ci sono ottimi mezzi pubblici-anche autoguidati per i palati fini- e sanissime passeggiate da fare.
Tom ha deciso di vendere tutti i suoi disegni ad un asta. Sapersene separare denota maestria, sebbene prima di cederli, ne abbia copiato a mano libera i pezzi migliori. Le pareti del corridoio ospitano bellissime riproduzioni delle migliori auto in due bacheche. Così un altro archivio meraviglioso sembra dover lasciare l'Italia.
Ma forse la giustizia divina a volte inorridisce pure lei dell'andamento di questo paese scalcinato e durante l'asta a Parigi qualcuno telefona e serenamente imperioso ordina “qualsiasi prezzo + 1 per i lavori di Tjaarda”.
Qualcuno ha salvato l'Opera Omnia e l'ha riportata in Italia. Qualcuno che ha creato una collezione di auto storiche da museo, eccellente, che vince premi di eleganza con le sue auto ovunque vada, sempre pronto a salvare e riportare in forma ciò che è degno di memoria. Un grazie di cuore!
Molto del lavoro è ancora custodito in fotografie ed opere personali e qui ne presentiamo alcune, a dimostrazione della poliedricità del percorso creativo di Tjaarda. Vi sono interruttori domestici, motoscope, arredi, ville di cui ne vediamo il progetto e diversi lavori di personalizzazione o nuova progettazione di automobili.
Tom mi mostra la corrispondenza con un cliente americano che gli ha chiesto di interpretare alcune parti della carrozzeria della propria De Tomaso Pantera. Varianti sul tema a posteriori, molto interessante. Ciò dimostra quanto sia ancora viva la passione per la Pantera. Una nota rivista pubblica la trasformazione eseguita su di una 124 spyder riportandola alla fase di prototipo, con diversi particolari della Rondine. Il risultato è un esemplare magnifico di concept che scappa fuori dalle ruote del tempo. Tom precisa che il mecenate dell'opera è partito da una base incidentata pur di non comprometterne una integra!
E' notevole la pulizia della coda e la ricercatezza delle lame del paraurti che vanno ad incorniciare la targa. Questo stile risulta meno caratteristico nel frontale di quello della 124 di serie ma è molto internazionale, lungimirante. Il prototipo, a confronto con l'auto di serie, denota tangibilmente quanto già allora vi fossero frizioni elevate tra creativi e ditte fornitori: quel genere di fanale a filo carrozzeria posteriore non sarebbe stato realizzabile allora in quanto i fornitori dei primi anni '70 fecero cartello e imposero in italia prodotti standardizzati e di basso profilo. La Moto Guzzi non riusciva nemmeno ad ottenere dei devio-fari competitivi con quelli giapponesi o tedeschi per le sue magnifiche V7, facendo perdere loro competitività grazie ai fornitori, autentici ricattatori. Diverse commesse delle case madri sempre sui fanali venivano ad esempio gonfiate dai fornitori inserendo i costi elevati di presunti nuovi stampi, sebbene questi esistessero già: veri furti che imposero il malcostume e rovinarono l'auto italiana nell'immagine.
Ma torniamo alle cose belle: oltre all'attività pratica Tom tiene dei corsi di design che impegnano studenti provenienti da tutto il mondo. Il lavoro di Tom è serenamente incessante e le diverse concept che illustra sono dimostrazioni di metodo e ricerca coerenti col suo passato lavorativo, ma sempre innovative. Interessante notare come in questi casi si assista ad un evoluzione di tematiche già esplorate senza cadere nel “revival”, tanto caro agli addetti marketing del giorno d'oggi.
Un magnate chiede una nuova interpretazione della Pantera ed ecco il modello arancione di un auto che non imita il passato ma anzi fa presumere un carattere moderno, con un abitacolo anche comodo e molto glamour come si chiede al giorno d'oggi. Per rendere meglio l'idea si può impostare un paragone tra la prima 911 e quella attuale: l'esigenza del cliente e della società è cambiata e il progettista ne è osservatore attento.
Una particolarità va detta sul modello della Pantera II: l'osservatore moderno non è più in grado di leggere questo genere di rappresentazione tattile. Il render, con i suoi effetti dinamici coivolge subito l'emotività offuscando la capacità di giudizio. Il modello è invece in genere un po' più brutto di quel che l'auto sarà in realtà. Il render al contrario molto più bello.
La lettura del modello, al di là del necessario colpo d'occhio, impone di saper leggere con spirito critico le linee della carrozzeria. Al contempo solamente questa lavorazione a mano del modellista consente di eliminare dal progetto le imperfezioni che si riflettono in effetti chiaroscurali errati o difetti nel disegno della piegatura delle superfici. Anche il rendering lo fa ma usa il lessico della macchina e non dell'uomo e rende tutto più lento, non tattile e costoso.
E' come se avessero chiesto ad Issigonis di proporre la New Mini: un caso raro nella storia del design. Certamente Giugiaro ha fatto Panda I e Panda II, Chroma I e II ma qui parliamo di uno spyder sportivo, dunque l'elite dell'automobile e non un utilitaria. La prima 124 la conosciamo bene, fu l'unico vero caso di Fiat di alta gamma e glamour, l'unica Fiat che preoccupò l'Alfa Romeo. La nuova 124 di oggi inizia a farsi vedere in strada con successo, ha delle belle proporzioni ed è un auto seducente. Piace a molti “ vecchi” dell'automobile. Si apre un dibattito a toni struggenti: se non ci fosse la proposta di Tjaarda la nuova 124 ci conquisterebbe, ritenendola “il migliore dei mondi possibili”. Infatti una volta l'automobile alludeva ad un ideale di velocità e di futuro attraverso le sue forme audaci, senza di certo raggiungerlo dato che spesso bastava una pioggia a fermare lo spinterogeno ed il resto dell'auto. Non parliamo poi della sicurezza precaria in caso di incidente...Riuscire ad avere il fascino di allora con la tecnologia odierne rappresenta la completezza, il massimo di un epoca.
Ma si sa, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca e dunque ci risvegliamo bruscamente da questo sogno che ci aveva annebbiato la coscienza: questo esperimento non è attinente alla raltà, in cui il tempo passa ed è impossibile riesumarlo. La nuova Bmw “serie 5” fa capire che è figlia della prima serie 5 da cui deriva con costante evoluzione. La 124 II di Tjaarda deriva dalla prima 124, da cui evolve. Rimangono le linee sinuose, rimane il musetto che “cerca la strada” come allora e la coda ha un disegno ancor migliore della progenitrice, dove concettualmente compaiono i fari prototipi della “Rondine”. La parte centrale dell'auto è allungata e racchiusa tra linee di sottoporta e tetto che restano ancora parallele. Un tratto obsoleto ormai, nell'era del tutto tondeggiante e caotico ma che staglia con carattere il corpo vettura e, a tetto aperto, ne dona un carattere particolarmente nervato. Notevole il taglio dell'musetto in resina che tra fanale antetriore e parafango fa sembrare il frontale una calotta applicata dal basso a completare la carrozzeria. Il parabrezza ed il cofano in tuttuno ricordano le proporzioni “ monovolume” elle hipercar, vedi Lamborghini, spingendo molto avanti l'asticella di questa sportiva che pare non limitarsi ad un 1400cc. Indole sportiva dunque, così come la prima 124. Dunque il progetto non evoca lo spirito della prima 124 tramite l'imitazione stilistica - o meglio rievocazione come si dice - ma attraverso un evoluzione filologica del progetto.
E questo sembra il difetto di questa proposta: spaesati, al giorno d'oggi molti vogliono rifugiarsi nella foto dei nonni sorridenti al mare negli anni '60 per non vedere la realtà . Dunque non si accettano ulteriori novità perchè diventano inquietanti elementi di ripensamento per i Cheef Designers.
Dunque sì alla new Beetle, new 500, new Mini, new 124 e no alla proposta così “old style” di innovare come quella di Tjaarda, della Jaguar a motori turbina gas combinati elettrici da 1000cv per 1000 km di autonomia , no alla miscela magra e ai mezzi pubblici fruibili. Il nuovo insomma più che avanzare rimane di avanzo.
E' forse difficile saper visualizzare attivamente questo coupè nella realtà . E' un auto che sprigiona una pulizia, una compattezza ed un carattere che non oseremmo più immaginare. Certamente non andrebbe a 400km/h come solo i più forti – di cosa? - sanno fare. Ma oltre ad essere di un eleganza rara ne avrebbe abbastanza da far scendere sempre col sorriso il suo pilota. Sarebbe insomma costruita proporzionata intorno all'uomo ed alla sua sostanza. L'anteriore mostra prese d'aria ove non risalta il vuoto ma gli elementi orizzontali delle alette che girano fino al posteriore nella parte inferiore del paraurti. I fanali hanno grande discrezione e sebbene siano tipologicamente classici, appaiono scultorei per la sagoma di quelli anteriori e la pulizia dei posteriori. Il cofano posterioire è tagliato da un elemento aerodinamico, proseguo stilistico della presa d'aria a goccia che caratterizza il tetto.
Nella vista anteriore di tre quarti è distintivo l'andamento dei parafanghi anteriori e di questa naca sul tetto che termina nel cofano posteriore, riemergendovi in aggetto. Le griglie di estrazione dell'aria del motore hanno una plasticità che rimanda alla scalinata di Michelangelo nella Laurenziana (faremo arrabbiare Tom per il paragone ardito). Il frontale vede le linee del parabrezza e i montanti del tetto specchiarsi nel cofano e terminare riaprendosi nella calandra anteriore. La scalfatura laterale caratterizza e da proporzione alla fiancata ricordando il medesimo ruolo che ebbe quella della 365 California. Ma qui la scalfatura “gira” , riportata anche sul tetto, creando tre assi longitudinali dinamici di cui il principale è centrale. Questi giochi di matita sembrano dunque intagliare un volume etereo, dandogli forma di dardo stabilendo le sue linee geometriche generatrici. Il lavoro del designer è dunque di concetto, intelligente, esperto nonchè di intuito: rende l'auto quasi astratta, staticamente scultorea, partendo e valorizzando per contrasto quelle che sono le esigenze tecniche primarie di questo ormai mitologico prodotto industriale. Con questo cerchiamo di trasmettere il “proporzianare” Tanto caro a Tjaarda nel intagliare i suoi progetti, così eleganti, dinamici e concreti. Siamo sicuri che andandole a Vedere e non guardare comunque queste opere parleranno da sole, senza bisogno di un articolo.
Chiedo a Tom che auto guidi: una Chroma II diesel, quella ammiraglietta trasversale di Giugiaro che curiosamente non ha avuto successo. Tom ne è felice, intrapprende viaggi di qualche migliaio di kilometri al colpo e, con nostro divertimento, confessa di aver fatto benzina per sbaglio un po' di volte al distributore automatico ed il motore ha proseguito a funzionare senza problemi.
Suona il telefono e Tom risponde. Si lamenta animosamente che nemmeno lui riesce mai a parlare col titolare da mesi ormai. Cercano lui e sta' facendo uno scherzo all'ennesima dannata telepromozione, sfruttando l'accento americano. La pronuncia americana è una vera ginnastica per le mandibole ed è impossibile da perdere mi dice. Con questa pronuncia mi spiega ciò che stavo osservando dalla finestra: la prima officina in cui nacque un auto a Torino, per opera della famiglia Racca. Un misto di commozione e meraviglia mi pervade.
Il discendente della prima casa automobilistica olandese mi mostra la prima officina torinese fuori dal suo prolifico e solare studio. Siamo fortunati, come tutti quelli che hanno potuto incontrare una persona eccezionale come Tom.
Alessandro Sammartini